Il giorno 16 luglio ho sostenuto un altro esame universitario, e sono ancora incredula per il risultato ottenuto. Doverosa premessa è che si trattava di un esame in lingua inglese in una materia ostica come “Intellectual and Cultural History”.

Come ho già spiegato, la mia strategia per arrivare a una futura laurea magistrale in Scienze Storiche è affrontare la serie di 11 esami sotto forma di corsi singoli, pagando ogni esame anziché iscriversi alla Facoltà di Scienze Storiche. Si possono affrontare fino a un massimo di quattro corsi singoli per ogni anno accademico, e avevo deciso di iscrivermi a tre corsi all’anno. Per me è molto meno stressante fare così, in fondo non mi corre dietro nessuno! Poco prima della fine, mi iscriverò ufficialmente facendomi accreditare gli esami già fatti.

Per l’anno accademico 2023/2024, avevo scelto “Storia d’Europa in età moderna” per 9 crediti (ho sostenuto l’esame, e ve ne ho parlato qui), “Intellectual and Cultural History” per 9 crediti e “Storia della Chiesa e dei movimenti ereticali” per 6 crediti.

Al momento di optare tra “Intellectual and Cultural History” e “Storia del mezzogiorno” – è un binomio di esami, uno dei quali è obbligatorio – un qualche demone si è impossessato di me, e ho avuto la malaugurata idea di scegliere il primo. E, come diceva qualcuno, “mal gliene incolse”.

I libri e lo studio

Questi sono i libri che avrei dovuto portare come non frequentante, e un commento a caldo davanti a una prima lettura della sottoscritta:

Peter Burke, What is Cultural History? Cambridge, Polity 2004

Commento: Il libro è un compendio densissimo di tutti i movimenti della storia culturale da fine Ottocento sino ai nostri giorni. Le pagine pullulano di storici, antropologici, filosofi, intellettuali accompagnati dalle relative opere con due-tre righe di contenuto, proprio un cenno. Ora, riesco a memorizzare l’opera di un pensatore – che ne so, Niccolò Machiavelli – a patto che mi si spieghi in maniera ampia, in un capitolo o due, il suo pensiero. Affrontata in questo modo, la storia culturale diventa invece una specie di “bigino” dal peso di un mattone in calcestruzzo: passi dall’uno all’altro senza riuscire a memorizzare quasi niente.

Inoltre, ti sembra che questi storici passino il loro tempo a ingoiare il cammello e a colare il moscerino, e a contraddire il lavoro dei predecessori e anche quello dei loro colleghi.

Per esempio, non appena Edward Thompson, storico di area marxista, aveva pubblicato il suo “The Making of the English-Working Class”, subito i suoi colleghi lo avevano criticato perché, a loro dire, aveva affrontato la storia della classe operaia inglese focalizzandosi troppo sulla mentalità, sui sentimenti, sui riti, anziché partendo dal materialismo storico, ecc, e via discorrendo.

La cosa incredibile è che, dopo un secolo e oltre di dibattiti, discussioni e litigi, l’ultimo sbocco qual è? Si torna a rivalutare i lavori degli storici classici da cui erano partiti per criticarli, vedasi Jacob Burckhardt e Johan Huizinga, cioè, si asserisce che non bisogna buttare via il bambino con l’acqua sporca. Ho trovato la faccenda estremamente irritante, ma ormai ero in ballo e dovevo ballare (ergo: mi ero iscritta e dovevo studiare). Ma il peggio è stato il pdf successivo, cioè…

What is Intellectual History Now? di Annabel Brett (PDF)

Commento: questo non ha copertina, perché è un capitolo estrapolato da un altro testo, che la docente aveva caricato sul portale universitario. Beh, a una prima lettura non ci avevo capito assolutamente nulla. Niente di niente. Il problema non era l’inglese che, al di là di qualche termine di cui ho cercato la traduzione, è lineare, ma per i concetti che il capitolo esprimeva. Ecco qualche esempio tratto dal file dove ho cercato faticosamente di riassumere i punti principali:

Esempio 1: Quentin Skinner took advantage of the work done in linguistic theory done by John Austin and John Searle: Austin (“How to do Things with Words”): Words can, in specific contexts, be used to do things = the speaking is or can be a doing, an action in itself. There is:

  1. a) an illocutionary dimension = what a speaker is doing in using certain words
  2. b) the perlocutionary dimension = what a speaker is doing through or by using specific words (= it goes beyond the text)

Esempio 2: Intellectual historians do not mean the natural language (French, English, Latin and so on…) BUT the different ways of talking or modes of discourses = idioms or rhetoric WITHIN natural languages. Pocock and Skinner worked mainly with modes of discourses in politics, natural science, theology.

Esempio 3: Methodology still wishes to see the language as a resource of the speaker, BUT formulations of the constitutive power of language say that language is NOT a tool. According to Gadamer, language is behind us, operating beyond our control and controlling us è We become spoken by language.

 

Potrei farvi altri esempi, ma penso che vi sia già venuto il mal di testa e siete corsi a cercare una scatola di analgesici.

Ward-Perkins, Brian, The fall of Rome and the End of Civilisation, Oxford University Press 2006

Commento: avevo scelto questo testo per il Modulo 3 da un elenco di libri, ed è stato davvero molto molto interessante, e piacevole da leggere. Lo storico critica, a sua volta, come è cambiata una certa concezione delle invasioni barbariche da un’idea cruenta a un’idea più edulcorata. Uno dei primi capitoli s’intitola “Accommodating the barbarians”, in pratica la “sistemazione” dei barbari, come se avessero prenotato per pernottare in un albergo, ed era molto ironico. Io sono convinta che questo cambio di passo, del tutto immotivato, sia anche un frutto della letale “cancel culture” in cui bisogna edulcorare a tutti i costi la realtà, e quindi anche la Storia. Offre inoltre una serie di teorie sul perché l’impero occidentale sia crollato e quello orientale no, o perlomeno non subito.

Ben-Ghiat, Ruth, Italian Fascism’s Empire Cinema, Bloomington, Indiana University Press 2015

Commento: Essendo appassionata di cinema, ho gradito moltissimo anche questo testo, da portare sempre nell’ambito del Modulo 3. Il libro si concentra sui film di epoca fascista ambientati nelle colonie; quindi, sono film di propaganda per incoraggiare gli italiani emigrati all’estero a tornare in una nuova patria, cioè le colonie di recente conquista, e gli italiani stessi a migrare là.

Si tratta di film assai ben fatti dal punto di vista delle riprese e della regia, con un misto di trama di pura finzione e inserti da documentari e cinegiornali (il famoso Istituto Luce!) prodotti con la tecnologia più innovativa. Molti di questi registi avevano lavorato all’estero, e quindi avevano appreso come girare determinate scene.

Ho conosciuto meglio i divi che andavano per la maggiore, come Amedeo Nazzari e Fosco Giachetti, ma anche Doris Duranti – e sono persino riuscita a vedere qualche film tra i più recenti, perché restaurati o non troppo rovinati (“La nave bianca”, “Un pilota ritorna”, “Vivere in pace”).

La sessione del 20 giugno

Una volta sbarazzatami dell’esame di Storia dell’Europa in età moderna, ho pensato di andare ad assistere alla sessione d’esame del 20 giugno, per vedere come funzionava, quante e quali domande faceva la professoressa. È stato davvero molto istruttivo, ho esplorato la sede di via s. Sofia e trovato l’aula giusta (questione non da poco) e ho constatato con sollievo che la docente inglese era molto simpatica, e metteva a proprio agio i candidati. Parlava con un inglese di tipo britannico, molto chiaro. Addirittura, annuiva quando essi esprimevano giusti concetti, mentre ci sono dei docenti che ti fissano con una faccia che sembra pietrificata da Medusa; quindi, non sai se stai esprimendo pensieri eccelsi oppure stai dicendo le stupidaggini del secolo. Poi ce ne sono altri che continuano a interromperti perché non stai usando un lessico preciso, a loro dire, a me era capitato con l’esame di Storia Moderna, così perdi il filo del discorso e fatichi a riprenderlo.

Ho scoperto anche l’arcano della scelta tra l’esame in inglese e quello in italiano: qualche anno fa c’era un solo esame in inglese obbligatorio e se uno lo avesse dato in italiano sarebbe partito con dei punti in meno. Poi avevano dato la scelta tra due materie, da qui era spuntata “Storia del mezzogiorno” che avevo disdegnato.

La preparazione dell’esame

Ho fatto la mia solita monumentale ricerca di immagini per memorizzare le facce di questi storici, e ho cercato anche le copertine dei libri che avevano scritto. Inoltre, ho preparato anche un file in Excel per costruire una sorta di linea del tempo. Per ciascun libro ho scritto delle glosse a matita a margine, come faccio di consueto.

Siccome sono arrugginita con l’inglese orale, ho fatto delle esposizioni a voce alta. Ogni tanto m’incartavo, specialmente quando pensavo all’italiano. La lingua inglese ha una pronuncia illogica, e sul web ho verificato come si dicevano parecchi termini. Anche qui, se “diaspora” si pronuncia “dai·a·spuh·ruh”, perché automobile si pronuncia “aw·tuh·muh·beel” e non “aw·tuh·muh·bail”? Non ha nessun senso. E comunque non mi sentivo per niente “confident”, anzi, ero proprio disperata come in questo “Autoritratto o Uomo disperato” di Gustave Courbet, del 1843.

Il giorno dell’esame

All’alba del temibile 16 luglio, mi sono avviata con autobus e metropolitana al luogo fatale. Vi dirò: non avevo voglia di dare l’esame. Non che abbia mai voglia di andare davanti al plotone d’esecuzione, ma, oltre a sentirmi totalmente impreparata, non ero proprio motivata. E nei giorni precedenti tutti mi chiedevano: “Ma perché hai scelto un esame in inglese?!” al che rispondevo che non lo sapevo e ribadivo il concetto del demone che si era impossessato della mia mente. Comunque, a furia di sentirmi ripetere quella domanda, perfettamente lecita, mi ero convinta di essere un’emerita idiota.

Sono arrivata all’aula con largo anticipo, munita di zaino con i libri, e soprattutto di bottiglietta di acqua, e sbuffando per il caldo e l’irritazione. Nell’aula, come la volta precedente, i candidati erano una dozzina – non sono mai esami molto affollati! – io ero l’ottava e avevo calcolato che sarei stata interrogata a mezzogiorno circa. Sì, “mezzogiorno di fuoco”, come il famoso western con Gary Cooper nel ruolo del prode sceriffo.
Mi sono posizionata in fondo all’aula per non ascoltare gli esami altrui. La professoressa è arrivata puntualmente, e ci ha salutato con fare cordiale. Ha fatto l’appello, e ci ha chiesto se fossimo d’accordo nel far passare avanti uno studente, che aveva un altro esame da lì a poche ore, e abbiamo detto di sì. Poi ha cominciato a chiamare i candidati e per tutto il tempo io ho continuato a scartabellare i libri e a far scorrere il dito sul kindle per ripassare i miei file in word che avevo preparato e caricato. Ogni tanto mettevo via qualcosa, e dopo qualche minuto ci ripensavo e la rimettevo sul banco.

Quando mi ha chiamato, ero talmente indaffarata con i metti-togli che quasi non ho sentito! Ho quindi afferrato i miei libri e il pdf stampato e mi sono precipitata alla cattedra. Lei mi ha guardato con simpatia, ha lasciato che mi accomodassi e poi ha constatato quali libri avessi portato. Paventavo che mi facesse una domanda sul famoso “pdf-non ho capito niente”, invece la prima domanda è stata: “Let’s begin with Peter Burke. So let’s talk about New Cultural History and Postmodernism”, al che mi sono rilassata perché è un argomento che sapevo abbastanza bene e mi sono lanciata a parlare di Mikhail Bakhtin, Norbert Elias, Michel Foucault e… Pierre Bourdieu. Ora, dovete sapere che i concetti di quest’ultimo sono a dir poco oscuri, nel libro si parla infatti di a) the concept of “field”, b) the theory of practice, c) the idea of cultural reproduction, d) the notion of distinction, sempre con qualche riga di spiegazione ma senza soffermarsi troppo e senza fornire esempi concreti. Bene, non ci crederete, ma mi ha bloccato subito dopo Michel Foucault, meno male!

Una volta superato lo scoglio della prima domanda, e rilassatami, si è passati al libro “The Fall of Rome”, e lì mi ha chiesto che grado di alfabetizzazione c’era nella Roma prima della “caduta”, mi ricordavo bene tutto il capitolo sui graffiti nei bordelli e sui muri, nonché le iscrizioni di Pompei, e il bell’affresco con i due coniugi, lei con in mano lo stilo e lui con la pergamena, che potete vedere qui. E poi le piccole ricevute commerciali che sono state trovate dagli archeologi, a testimonianza che era una società molto alfabetizzata a più livelli. Era molto contenta, e continuava ad annuire.
La terza domanda sul libro del cinema fascista di propaganda è stata su come viene trattato il genere nei film, e pensate che era una delle domande che mi ero scritta in un elenco strategico. Com’è ovvio, nei film si parla di un mondo quasi esclusivamente al maschile, essendo film imperniati sui militari ecc. dove le donne hanno poco spazio se non come elementi di disturbo (nel senso che, nella trama, con il loro fascino spesso esotico distolgono il soldato dal suo dovere fascista).
Era diffuso anche lo stereotipo della donna locale sessualmente disponibile. Solo verso la fine, quando l’impero stava crollando e l’Italia stava perdendo la guerra, le donne nei film cominciano ad assumere dei ruoli più autorevoli come in “Bengasi” che, nonostante il titolo, era stato girato interamente negli studi di Cinecittà. Nella foto, la coppia di coniugi Maria Tasnady e Fosco Giachetti nel film italiano “Bengasi” (1942).

Alla fine, mi ha bloccato e mi ha detto che poteva bastare, e sorridendo mi ha detto, in italiano, “30 e lode” al che ho esclamato: “Really?” e lei ha detto “Absolutely!” Ridevamo entrambe, come se avessimo compiuto insieme un’impresa memorabile. Ho firmato e sono ritornata al mio posto, ho messo i libri nello zaino, me lo sono messo in spalla e nell’uscire ho detto “Bye-bye”, lei stava già allungando il collo, sempre sorridendo, e ha ricambiato il saluto. Sono uscita in preda a uno stupore infinito.

Bene, questo è il resoconto della mia seconda avventura universitaria, ora niente più esami in inglese e il prossimo lo darò a novembre/dicembre per sei crediti. Come potete immaginare, sono felicissima e penso che, tutto sommato, il mio demone mi abbia aiutato dopo avermi messo nei guai!

Cristina M. Cavaliere