“La ghigliottinata – La dama dal nastro di velluto” è uno dei romanzi meno noti di Alexandre Dumas, prolifico autore di opere dall’immenso e imperituro successo come “Il conte di Montecristo,” e “I tre moschettieri”. Io stessa, sempre alla caccia di storie ambientate nel periodo rivoluzionario, ho scoperto per caso questo libro.
Si tratta di un romanzo cupo, che mischia paura a irretimento, in un’alchimia straniante volta a produrre un’irresistibile fascinazione. In tale modo il lettore si trova inghiottito, senza sapere come, in un sogno che assume molto spesso le caratteristiche dell’incubo.
Del resto, il cuore della storia si trova nella Parigi al culmine del Terrore, dove il protagonista Ernst-Theodor Wilhelm Hoffman, celebre narratore tedesco realmente esistito, all’epoca giovanissimo studente diciottenne, giunge nel 1793 alla ricerca di un amico.
E fin qui tutto nella norma, eppure…
Ai confini della storia
… la narrazione non ci introduce subito in questa Parigi onirica e terrificante, ma la prende alla larga, e comincia nel 1846, a bordo di una nave ancorata nella baia di Tunisi. Dumas stesso conversa con noi in prima persona: affascinato dallo spettacolo che si apre davanti ai suoi occhi, afferra carta e penna e scrive alla figlia di Charles Nodier, ricordando i tempi della sua amicizia con il padre. E ricorda Parigi, come
una specie di vortice, dove si perde la memoria di ogni cosa, tra il rumore della gente che corre e della terra che gira. A Parigi io vado come la gente e come la terra; corro e giro, senza contare che, quando non corro e giro, scrivo.
Perché l’autore costruisce questo romanzo non con la classica narrazione lineare, come avviene in altre opere più famose, ma partendo da un luogo e da un tempo lontani, quasi avesse paura di riavvicinarsi a quella Parigi rivoluzionaria che attira con la sua immensa luce, ma brucia le ali delle falene che vi si avvicinano?
Perché proprio Charles Nodier, scrittore ed entomologo francese, in punto di morte gli ha raccontato la terribile storia della dama dal nastro di velluto. E Dumas lancia al lettore la sua provocazione: “Chi mi ama mi segua.”
Charles Nodier
Le prime quaranta pagine mettono a dura prova il lettore, impaziente come un bambino di sentire la storia “vera” (sono andata a rileggere la quarta per essere sicura di non avere sbagliato libro!), ma questa costruzione a livelli è finalizzata ad accumulare una serie di aspettative, ad aggiungere elementi fantastici per poi proiettare il lettore nelle profondità labirintiche del romanzo.
E, a questo proposito, descrivere Parigi come un vortice non è una similitudine scelta a caso.
Un elemento bizzarro che cito a titolo esemplificativo è la scoperta nel romanzo, da parte di Charles Nodier, del tarantaleo, un animaletto strano, che ha la forma di un velocipede, munito di due ruote che aziona rapidamente! Non è l’unica stranezza che Dumas si concede il piacere di scrivere, insieme a una serie di digressioni e rimandi a persone che per noi sono ormai di difficile comprensione e identificazione, a meno di non essere davvero esperti del periodo.
Nodier era anche un bibliofilo, un ricercatore di bizzarrie, un protettore di poeti e artisti. Dumas ne traccia un ritratto affettuoso, parlandoci dei frequentatori del suo cenacolo di artisti, letterati e bibliomani.
Tutta la prima parte, che porta il titolo de “L’Arsenal” si propone dunque come un omaggio a Nodier e al suo genio, alla sua infinita erudizione, alla sua generosità nel proteggere e nell’incoraggiare i giovani talenti.
Gli si attribuisce grande importanza per la nascita del movimento romantico. Lo potete vedere qui in un dipinto di Paulin Guérin del 1844.
Di bocca in bocca
Eppure la paternità di Nodier della storia della dama dal nastro di velluto non è così certa e, come spiegato nell’introduzione, la vicenda riecheggia una novella di Pétrus Borel detto il Licantropo, intitolata “Gottfried Wolfgang”, pubblicata nel 1843. Quest’ultima, però, non sarebbe altro che il rifacimento di un racconto di Washington Irving, dal titolo “The Adventure of the German Student” del 1824, che a sua volta avrebbe appreso la storia da una dama di un salotto parigino. Ma Irving potrebbe aver derivato l’idea dal poeta irlandese Thomas Moore, che a sua volta l’aveva ripresa da Horace Smith.
Comunque stiano le cose, in questa vorticosa staffetta emerge il classico racconto che, come un tempo facevano i bardi, si trasmetteva a livello orale, acquisendo forza a ogni passaggio e diventando una creatura che cresce e vive di vita propria. E questo nulla toglie al genio narrativo di Alexander Dumas, che di quella storia si impadronisce, conferendovi il suo stile immaginifico.
Il giovane Hoffman
Con un salto narrativo, si entra finalmente nella seconda parte, che ancora non è Parigi! ma allestisce le premesse del dramma, e che s’intitola “La famiglia di Hoffman”. Ci troviamo in un’ambientazione, per così dire, solida: Mannheim, la seconda capitale del Granducato di Baden, “la cittadina tedesca per eccellenza”. Il protagonista Hoffman viene descritto in questi termini:
Era un giovane di non più di diciotto anni, magro, di bassa statura e dall’aspetto selvatico. I lunghi capelli gli scendevano fin sotto gli occhi, che rimanevano nascosti fino a quando egli li scostava con la mano, e attraverso il velo dei capelli brillava lo sguardo torvo e fisso, come quello di un uomo le cui facoltà mentali non devono essere sempre in perfetto equilibrio.
Egli non è un poeta né un pittore né un musicista, ma un composto di tutti e tre
un miscuglio bizzarro, fantastico, buono e malvagio, sfrontato e timido, dinamico e pigro: questo giovane non era altri che Ernest-Théodore-Guillaume Hoffman.
Pare la descrizione di un adolescente dei nostri giorni, non è vero? E nella sua acerba età sembra anche terreno fertile per future influenze fantastiche che possano ottenebrargli la mente. Per raffigurarlo ho trovato un autoritratto di George Frederick Watts del 1838, pittore e scultore inglese dell’epoca vittoriana, spesso associato al movimento artistico del Simbolismo.
Per una promessa fatta a Zacharis Werner di raggiungerlo a Parigi, combattuto tra l’amore per Antonia e le richieste sempre più pressanti dell’amico, Hoffman si risolve infine al viaggio, non senza prima aver fatto un giuramento di fedeltà all’angelica fidanzata.
Parigi, luogo di orrori e meraviglie
Eccoci, dunque, in procinto di arrivare alla città che è il fulcro del romanzo.
Alla barriera di Parigi, il giovane ha un primo confronto con i funzionari della dogana, nel corso di un vero e proprio interrogatorio che è come un’inquisizione laica. La spavalderia e il candore del giovanissimo poeta gli consentono di affrontare gli uomini che, pencolando dalla bonomia alla minaccia, lo sospettano in quanto prussiano di essere una spia del nemico.
Egli, infatti, non può dissimulare le sue mani bianche e dalle unghie ben curate, da aristocratico, e sulle prime non riesce a fornire un motivo convincente per il suo ingresso in città che non sia “lo studio della pittura e della poesia.”
Hoffman riesce comunque a superare lo sbarramento di questi autentici Cerberi della rivoluzione, non senza aver giurato di espletare una serie incredibili formalità (passare al commissariato per farsi rilasciare il permesso di soggiorno, recarsi alla polizia per dare l’indirizzo dell’alloggio, presentarsi alla sezione, fare regali patriottici, giurare odio ai tiranni francesi e stranieri e appendere un cartellino con nome e cognome alla porta…).
Il giovane ha varcato definitivamente la soglia del sogno e con lui il lettore.
Da qui in avanti sarà tutto un susseguirsi di misteri – lo straziante destino dei condannati a morte alla ghigliottina tra grida e lacrime, teatri sfolgoranti di luci e fiori, gioielli e spalle nude, ometti dagli occhi freddi come il vetro, tabacchiere di ebano con piccoli teschi di diamanti, palazzi sontuosi che paiono labirinti… e una splendida ballerina, Arsène, amante di Danton, che porta al collo un nastro di velluto nero fermato da una fibbia a forma di ghigliottina.
Hoffman si trova sempre più prigioniero di un ambiente soprannaturale, e prende a dare via via più ascolto alle tentazioni che gli si presentano, a scordare se stesso e le sue promesse… Come andrà a finire?
E qui mi fermo, lasciando a voi il piacere di iniziare questo romanzo con una consapevolezza nuova, io spero, e farvi irretire come Hoffman dalle atmosfere che lo stile di Dumas rende potenti, ricche, dettagliate e nello stesso tempo sfuggenti e vaporose come sotto l’influsso di una malia.
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E voi avete letto Dumas e conoscevate questo romanzo? Vi piacciono romanzi come questo che mischiano la realtà al fantastico?
Cristina M. Cavaliere
Dei romanzi di Dumas padre ho letto Il Conte di Montecristo, e I tre Moschettieri. Li ho amati entrambi tantissimo, per la prosa capace di incollare il lettore al libro, dall’ inizio alla fine; per le infinite sfumature che l’autore adopera nel tratteggio dei personaggi; per le trame avventurose e fantastiche; per mille altri motivi…
Questo romanzo, invece, non lo conosco, ma sulla base di ciò che scrivi sembra essere intrigante!
Del resto, quel “diavolo” di Dumas era maestro indiscusso di romanzi e feutilleons e non mi sorprende affatto questa sua abilità narrativa!
Grazie del suggerimento di lettura, ne terrò volentieri conto!
Di Dumas ho letto anche “La collana della regina” che mi fu regalato tanti anni fa e che parla dello scandalo della collana di diamanti di Maria Antonietta, una vicenda molto intricata, mentre “Il Conte di Montecristo” lo lessi a mia madre, proprio come se fosse stato un romanzo di appendice. Ho ancora l’edizione delle Paoline con meravigliose illustrazioni.
Sì, lui era un maestro nel tenere il lettore agganciato alla pagina, insieme alla capacità di creare personaggi per nulla di cartone, e molto sfaccettati dal punto di vista psicologico. Anche questo romanzo, “La ghigliottinata”, è sorprendente, vale la pena!
Confesso di non aver mai letto nulla di Dumas ma conosco le trame dei suoi romanzi più famosi attraverso i film. Questo romanzo mi incuriosisce molto, proprio per l’approfondimento storico di una Parigi che forse nei miei studi scolastici resta un po’ idealizzata dalle idee della rivoluzione francese. Grazie di questo approfondimento Cristina.
Dumas è veramente un toccasana se vuoi leggere un romanzo avventuroso e di evasione, anche se non è così superficiale come potrebbe sembrare. Per esempio il tema della vendetta ne “Il Conte di Montecristo” è immenso, e forse con le riduzioni cinematografiche si perde un po’. Per non parlare della psicologia dei suoi personaggi, molto curata. Il romanzo che ho proposto è particolare nell’ambito della sua produzione, nel senso che questo impasto tra sogno e realtà anticipa molte atmosfere del romanticismo e del simbolismo.
Di Dumas ho letto poco in verità, rammento un “Robin Hood” letto da ragazzo e poi un regalo che ricevetti, il primo romanzo della serie dei moschettieri che però non lessi poiché ero troppo pieno di letture universitarie, e poi dopo aver visto il film (quello con Richard Chamberlain nei panni di Aramis) ho rimandato la lettura e… non l’ho ancora iniziata 😀
Allora Dumas non è riuscito a far breccia perché altri libri hanno avuto la precedenza. Di solito si tratta di classici romanzi per ragazzi, un po’ come “L’isola del tesoro” di Stevenson, che però possono essere apprezzati anche da adulti. 😊 E spesso i film basati sui romanzi di Dumas non rendono loro giustizia. 😉