Siamo arrivati alla conclusione di questa serie di post su Virginia Woolf (qui, qui e qui i precedenti), una scrittrice si è presa molto spazio. Del resto, come darle torto? Lei era una figura talmente sfaccettata, e ha lasciato un’eredità così importante per la causa delle donne, che nessuna serie di articoli può pretendere di essere esaustiva.
Ecco, per esempio, le sue riflessioni sullo scrivere, sulla competizione tra scrittori e sul concetto di merito. Parole illuminanti e validissime oggi e sempre, da rileggere ogni volta che ci sentiamo presi dallo sconforto sui nostri “meriti” misconosciuti o sul desiderio di ricevere premi e medaglie, che naturalmente fanno piacere ma che lei non riteneva essenziali.
Una maestra di libertà
“Tutto questo opporre un sesso all’altro, una qualità all’altra, tutto questo attribuire superiorità se stessi e inferiorità agli altri appartiene a quella fase scolastica dell’esistenza umana in cui ancora esistono squadre e sembra necessario che una squadra riesca a vincere l’altra ed è estremamente importante poter salire sulla pedana e ricevere dalle mani del direttore stesso un vaso ornamentale come premio. A misura che le persone maturano, smettono di credere nelle squadre, nei direttori e nei vasi ornamentali.
Ad ogni modo, per quello che riguarda i libri, si sa quanto è difficile fissare un cartellino recante il merito. […] Dove ci sono le recensioni dei libri della settimana si illustra continuamente la difficoltà di questo giudizio: ‘Questo bellissimo libro… questo libro privo di qualsiasi valore…’ così dicono dello stesso libro. Tanto la lode quanto il biasimo non significano nulla. No, per quanto sia delizioso il passatempo di misurare, è sempre la più futile di tutte le occupazioni e sottomettersi ai decreti di misuratori il più vile degli atteggiamenti. Finché scrivete ciò che volete scrivere, questa è la sola cosa che conta. E se conti per un giorno per un’eternità, nessuno può dirlo.
Ma sacrificare un capello della testa della vostra immaginazione, una sfumatura del suo colore per piacere a qualche direttore di scuola con un vaso d’argento in mano, o qualche professore con il suo campione di misura nascosto nella manica della giacca, è il più vile tradimento e in confronto la perdita della fortuna o della castità, che a quanto dicevano era il più grande dei disastri umani, conta meno del morso di una pulce.”
Un’idea sbagliata su poeti e povertà
Virginia Woolf era convinta che, alle donne e agli uomini che vogliano dedicarsi a tempo pieno alla scrittura, alla poesia, all’arte, fosse necessario possedere innanzitutto i mezzi per sostentarsi. A coloro che romanticamente asserivano che tutti i poeti devono essere poveri, lei ribadiva: “Quali sono i grandi nomi di poeti degli ultimi cento anni circa in Inghilterra? Wordsworth, Byron, Coleridge, Shelley, Keats, Tennyson, Browning, Morris, Rossetti.”
Di questi tutti, tranne Keats, Browning e Rossetti, avevano compiuto studi universitari. Di questi tre Keats, il quale morì molto giovane, era il solo che non fosse abbastanza ricco. La teoria che il genio poetico fiorisce dove gli pare, in uguale proporzione tra poveri e ricchi, non è molto vera stando ai fatti. Nove di questi dodici letterati studiarono all’università e, in un modo o nell’altro, disponevano dei mezzi per pagarsi la migliore educazione che il paese poteva loro offrire.
Dei due restanti, Robert Browning era ricco; e, se non lo fosse stato, Woolf polemicamente sfidava chiunque a dimostrare che avrebbe potuto scrivere A Soul’s Tragedy e The Ring and the Book, o che Ruskin avrebbe potuto scrivere Modern painters se suo padre non fosse stato un prospero uomo d’affari. Anche Rossetti aveva una piccola rendita. Rimaneva soltanto John Keats ma egli fu ucciso troppo giovane da Atropo (la Morte), la quale uccise anche James Thompson tramite il laudano, che egli prendeva per scordare le sue delusioni.
Non dobbiamo dimenticare questa verità, dice Woolf nella sua lezione di antiretorica. È certo che, per quanto sia un disonore per tutta la nazione inglese, per qualche difetto della nostra società il poeta povero non ha, ai nostri giorni, la più piccola opportunità: “In Inghilterra un ragazzo povero non ha più speranze di quanto non ne avesse il figlio di uno schiavo ateniese, di riuscire un giorno a godere di quella libertà intellettuale nel cui seno nascono le grandi opere.”
Le donne devono leggere e istruirsi
Per questo motivo, nelle sue conferenze Virginia Woolf insiste con le donne, dicendo loro di leggere e istruirsi. Non si ha più il diritto di lamentarsi: le biblioteche sono fornitissime e sono gratuite. Rinunciamo a tante sciocchezzuole superflue, soprattutto all’auto lamentela. Gli stimoli vengono proprio confrontando i pensieri di chi ci ha preceduto. Ecco le sue parole:
“La libertà intellettuale dipende da cose materiali, la poesia dipende dalla libertà intellettuale- E le donne sono sempre state povere, non soltanto in questi duecento anni, ma dagli inizi dei tempi. Le donne hanno avuto meno libertà intellettuale di quanta ne avessero i figli degli schiavi ateniesi. Le donne pertanto non hanno avuto la più piccola opportunità di scrivere poesia. Pertanto ho insistito tanto sul denaro e sulla stanza propria; tuttavia, grazie agli sforzi di quelle oscure donne del passato, di cui vorrei conoscere un po’ meglio la vita, grazie a due guerre – quella di Crimea, che fece uscire di casa Florence Nightingale, e quella europea, che 60 anni dopo aprì le porte alla donna di classe media – questi torti cominciano a trovare rimedio; altrimenti non sareste qui questa sera e la vostra opportunità di guadagnare 500 sterline l’anno, pur essendo abbastanza precaria, ancora, sarebbe estremamente trascurabile.”
La depressione e il suicidio
Lo scoppio della Seconda guerra mondiale influisce molto sullo stato d’animo e sulla mente di Virginia. Si rifugia a Monk’s House, la sua casa di campagna nel Sussex, ma non riesce più a trovare una ragione per vivere. Dice: “Io come posso guardare gli alberi?”
Il pensiero di un nuovo conflitto è fatale e lei va in crisi. Prima di avviarsi per un’ultima passeggiata verso il fiume Ouse, lascia una lettera per il marito Leonard e una per la sorella Vanessa, sulla mensola del caminetto. Così scrive a Leonard:
«Carissimo,
sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E stavolta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone avrebbero potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questa mia come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone avrebbero potuto essere felici più di quanto lo siamo stati noi.»
Questa è l’ultima lettera manoscritta di Virginia e non occorre essere un grafologo esperto per constatare come la scrittura sia impressionante per la sofferenza e l’instabilità che esprime. Ha 59 anni, ed è il 28 marzo 1941. Esce di casa, avviandosi in modo determinato verso il vicino fiume Ouse con delle pietre in tasca e si getta nel fiume. Leonard fa cremare il suo corpo e seppellisce le ceneri sotto un olmo nel giardino di Monk’s House. Anni dopo anche le sue ceneri vengono poste nello stesso luogo.
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Spero che questa serie di articoli su Virginia Woolf vi sia piaciuta, vi abbia offerto spunti di riflessione per voi stessi e soprattutto che vi abbia invogliato a leggere qualche sua opera, se ancora non lo avete fatto. Trovate un elenco delle sue opere sulla pagina di Wikipedia. Io mi congedo da lei con enorme gratitudine.
FONTI IMMAGINI:
. Wikipedia, tranne l’ultima: “Di Virgina Woolf – http://www.openculture.com/2013/08/virginia-woolfs-handwritten-suicide-note.html, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=47881789”
Ciao Cristina, la sua storia è allo stesso tempo poetica e straziante. E forse è proprio la caratteristica dell’arte quella che graffia l’anima. La depressione è una malattia terribile largamente misconosciuta. Ma che non le ha impedito di guardare gli alberi e tutto ciò che esiste come se fosse la prima volta. È a questo, credo, che si debba il suo genio. La capacità di vedere. Fino a quando anche vedere non diventa insopportabile. Grazie per questa sequela preziosa
Il suicidio di Virginia Woolf mi ha sempre fatto pensare al gesto sin troppo lucido di una persona che sta entrando nella vecchiaia ed è troppo intelligente per ignorare che il suo corpo e la sua mente andranno pian piano verso il decadimento.
La sua lezione sulla coerenza con la propria immaginazione è importante perché ha impedito che scrittori e poeti si copiassero l’un l’altro avendo come solo scopo di carpire alla “concorrenza” il successo critico e commerciale.
Uno scrittore che non voglia solo il successo, ma semmai esprimere sino in fondo quel che ritiene essere il senso della sua dedizione alla scrittura, deve rischiare anche proponendo idee e stili che lui ritiene appropriati alla sua opera anche se teme che verranno visti di malocchio dai critici e dalla maggioranza dei lettori. Meglio essere un se stesso di scarso successo ma originale, che essere la fotocopia di altri e non aggiungere nulla di nuovo alla letteratura.
Più che il timore della vecchiaia, leggo il gesto di Virginia Woolf come la volontà di sottrarsi a una nuova crisi nervosa e depressiva. Infatti aveva attraversato sin da giovane gravi forme di depressione e aveva già tentato varie volte di togliersi la vita. Nei periodi peggiori addirittura sentiva gli uccelli in mezzo agli alberi che cantavano in greco. Il matrimonio con Leonard è stato un punto importante che le ha dato stabilità, ma chissà, senza di lui forse la sua esistenza sarebbe stata ancora più breve.
Le sue parole sull’importanza di avere una propria voce originale, e di non piegarsi alle mode del momento, a me hanno ricordato tanti appiattimenti di scrittori contemporanei che non si distinguono uno dall’altro, e scrivono in maniera omologata soltanto per avere un po’ di visibilità in più o vendere qualche copia aggiuntiva. Anche questa è una grande lezione, e detta da lei ha un valore incommensurabile. In fondo aveva avuto un discreto successo, ma anche tantissime critiche, e non sapeva quanto le sue opere sarebbero durate nel tempo.
Ciao Elena, grazie mille per aver seguito questa serie di post su Virginia Woolf. Leggevo su altri siti che lei ha sofferto moltissimo sin dalla giovinezza sia per la sua sensibilità sia per la serie di abusi che lei e la sorella Vanessa ebbero a subire dal fratellastro. Di quale entità pare che non sia chiaro, ma quello che è indubbio è che in una persona sensibile come lei abbiano lasciato lacerazioni profonde nella psiche, anche perché sono convinta che non si riesca mai a superare del tutto un abuso. Il suo sguardo sul mondo, come ben dici, è sempre stato originale e assolutamente unico. Fa male sapere in quale modo abbia concluso la sua vita, ma il pensiero di una nuova guerra devastante può essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e del resto nessuno è nella mente di nessuno.
È stata una bella serie di post su questa autrice Cristina, pensa che sul tema del luogo in cui scrivere ne ho parlato nel mio ultimo post citando la famosa “stanza tutta per sé”. Può darsi che più avanti lègga uno dei romanzi di Virginia Woolf, visto che mi hai incuriosito
Grazie a te, Giulia, per aver letto la serie. Per avvicinarsi a Virginia Woolf, io comincerei con “Mrs Dalloway” oppure “Gita al faro”, entrambi romanzi meravigliosi. E poi, per quanto riguarda la questione femminile, senz’altro “Una stanza tutta per sé” e “Le tre ghinee”. Dopo vado a leggere e commentare il tuo post! 🙂
Serie come questa regalano veramente tanto, pertanto grazie di cuore!
Jung diceva che la persona depressa è come intrappolata tra un passato insopportabile ed un presente statico; il senso del futuro, del vivere non sono contemplati, lo stesso senso dello spazio si riduce; si perde la volontà del muoversi.
Quindi, possono davvero esservi più elementi stratificati alla base dell’alterazione del tono dell’umore di Virginia Woolf
Riflettere su quanto sia stata profonda la sua sofferenza fa stare davvero male, soprattutto se pensiamo a lei quale donna e intellettuale meravigliosa il cui contributo letterario è tuttora unico e imprescindibile al fine di aiutarci a comprendere chi siamo e dove vogliamo andare.
Grazie mille, Clem, per essere passata a lasciare il tuo commento, prezioso come sempre. Per quanto riguarda Virginia, purtroppo ci sono anime destinate a soffrire in vario modo, alcune nel fisico altre nella mente. Da quello che ho potuto capire, lei soffriva molto a livello mentale. Noi non siamo nei panni altrui, e non possiamo giudicare nemmeno il gesto più estremo.
Letto anche questo, complimenti Cristina! Virginia Woolf era davvero straordinaria, non scendeva a compromessi sia nella vita che nella sua opera letteraria. Rifiutò persino un premio che le era stato assegnato, in via del tutto eccezionale, essendo la figlia di un noto intellettuale, ma che fino ad allora era stato destinato esclusivamente a scrittori uomini.
Anni fa durante un viaggio in Inghilterra, feci tappa a Monk’s House, per rendere omaggio alla tomba di Virginia e visitare la sua ultima residenza. La casa e il giardino erano incantevoli, pareva che ovunque vibrassero le sue parole! Ho persino recitato (a bassa voce affinché nessuno mi prendesse per matta) una mia poesia davanti al suo busto in bronzo, poi ho lasciato il foglio nel capanno in legno ove era solita scrivere.
Credo che i fattori che la spinsero al suicidio furono vari, come i ricordi dolorosi del suo passato, il disturbo psichico che regolarmente la tormentava e l’incombere della guerra. Leonard era ebreo e avevano deciso insieme che se fossero arrivati i nazisti avrebbero assunto una compressa a base di cianuro, pur di non cadere nelle loro mani. Durante la sua ultima crisi psichica era certa di non riuscire più a scrivere, a svolgere l’attività che da sempre aveva rappresentato la sua ancora di salvezza. Penso che il suo tormento esistenziale l’avesse accompagnata da sempre; il marito sosteneva che l’origine di tale tormento era anche la fonte della sua genialità. Nei momenti che seguivano alle crisi psichiche la sua mente, come “svuotata”, riprendeva a creare, come se si fosse rigenerata. Virginia sentiva con grande intensità sia la gioia che il dolore, ma quest’ultimo, forse come il personaggio di Septimus Warren Smith in “Mrs. Dolloway”, non riusciva a rielaborarlo. Nel suo diario scrisse “Mi sconvolgono la violenza e la brutalità del mondo”. Credo che la capacità di sentire così profondamente sia la dote che accomuna tutti i grandi artisti, e forse è per questo che amo tanto quelli tormentati come Virginia Woolf.
Carissima Laura, che meraviglia questo tuo commento lungo e articolato, e che vibra di tutto l’amore che nutri per Virginia. Poiché trattasi di devozione senza alcun dubbio, avendo tu scritto anche una poesia che hai lasciato nel capanno di Monk’s House. Una delle emozioni più grandi che si possono provare è visitare i luoghi dove vissero coloro che ammiriamo, in special modo in campo artistico e letterario, dove tutto sembra ancora colmo della loro presenza. Non ho mai visitato Monk’s House, ma posso dire che “incontrare” Virginia Woolf nell’età della mia adolescenza è stato fondamentale per la mia formazione, non dico letteraria perché sarebbe presuntuoso, ma sicuramente la sua posizione nella questione femminile ha influito molto su alcune scelte di vita. Anch’io ho visitato dei posti molto pregni di Storia dove si sono mossi alcuni dei personaggi dei miei romanzi, realmente esistiti come quelli del ciclo rivoluzionario. La Parigi odierna è quasi irriconoscibile rispetto alla Parigi della rivoluzione francese, però alcuni angoli conservano ancora un loro fascino.
Per quanto riguarda la tua disamina sui motivi che spinsero Virginia al suicidio, concordo in pieno. Anche secondo me furono molteplici, e forse proprio lo scoppio di una nuova guerra fu la classica goccia che fece traboccare il vaso. I disturbi psichici sono terribili da sopportare, contrassegnati da alti e bassi, per quello amo molto il personaggio di Septimus, il reduce di guerra del romanzo “Mrs Dalloway”, che soffre di shock post traumatico e che per sottrarsi all’orrore dei ricordi e delle sue allucinazioni si toglie la vita.
Grazie Cristina, vedo con piacere che abbiamo interessi in comune 😊. Seguirò i tuoi prossimi articoli, a presto.
A presto, e grazie ancora! 😊