Proseguo nella mia presentazione di Virginia Woolf con gli appunti tratti da una serie di conferenze nei lontani anni ’80 e che per me furono determinanti. Ho riletto con particolare piacere il concetto della “stanza tutta per sé” e dell’autonomia economica, importantissimi per una donna che voglia scrivere. Tutti pensieri fondamentali e addirittura indispensabili soprattutto oggi, non trovate?  Come avrete capito, in questa penultima puntata la carne al fuoco è tanta e quindi iniziamo senza indugi!

Una miriade di sé

Altra novità di Virginia Woolf, determinante in campo mondiale, è di avere capovolto il concetto di romanzo e di avere portato per la prima volta l’inconscio, il fattore psicologico, alla ribalta. La stessa Emily Brontë, che Virginia predilige, ogni tanto si avvale qua e là dei sentimenti. Secondo Virginia, invece, non bisogna confondere psicologia ed emozione. In quest’ultimo caso rimaniamo nel sentimento, nelle emozioni a livello poetico, epidermico; e Virginia Woolf ha il terrore del sentimentale.

Per questo motivo fu accusata, e accettò l’accusa, di non saper creare dei personaggi. In realtà Virginia pone davanti a lei delle anime che sono più o meno lo specchio di sé o di suoi altri sé, o di sé opposti a lei, come può esserci in una mente così rarefatta nel ragionare. Virginia Woolf coordina, a differenza di Dino Campana dalla follia plateale, le sue istanze in lotta attraverso l’esercizio costante e l’impegno faticosissimo che lei maschera. È stressata quando scrive. È l’eterno logorio del suo ragionare, del suo cercare, del suo pensare di aver trovato, per poi dirsi subito “no” e ricominciare da capo.

 

Un’altra cosa che lascia perplessi è lo stato d’animo di Virginia Woolf nei confronti delle persone, dopo aver appurato con quanta attenzione tracci i suoi ritratti psicologici nei romanzi. Lo leggiamo nelle pagine dei suoi diari: “Giorno di freddo intenso, dopo una notte umida e ventosa, nella quale si accesero le lanterne cinesi per la festa nel giardino di Roger. E io non amo il mio prossimo. Li detesto tutti. Li rasento appena. Li lascio rompersi su di me come sporche gocce di pioggia. Non so più radunare quell’energia che, vedendo una di quelle piccole, aride forme alla deriva, o piuttosto, incrostata allo scoglio, la circonda, la solleva, la vivifica e così giunge a colmarla e a crearla. Un tempo, avevo un nome per questo e una passione che rendeva le feste ardue ed eccitanti: ora, quando mi sveglio presto, mi crogiolo più che altro al pensiero di un giorno intero di solitudine, un giorno di atteggiamenti facili e naturali e scivolare tranquillamente nelle acque profonde i miei pensieri, che navigano in un mondo sotterraneo. E la sera riempire la mia cisterna.”

Queste pagine di diario sono della donna già matura, però denotano un’estrema sincerità. Non si può parlare di Virginia Woolf con una logica precisa, perché lei è molto simile a un diavolino di Cartesio. Virginia Woolf è una creatura dalle mille facce spaccate, alla ricerca di una sua identità che sa di avere e di cui forse ha paura perché non può confrontarla con quella di nessuno: è la sua. Non si abbandona mai alla retorica, all’enfasi e a tutte le piacevolezze immediate e descrittive. La potete vedere qui in una scena del film The Hours del 2002, diretto da Stephen Daldry. Virginia è interpretata da una irriconoscibile Nicole Kidman. 

“Orlando”

Fra uno e l’altro di questi libri impegnati, un romanzo come “Orlando “viene da lei considerato come un divertissement: è un libro quasi satirico, che dedica all’amica e amante Vita Sackville-West e che si riallaccia a una ricerca storica sul casato di questa signora. Si diverte a descrivere l’aristocrazia, i ricevimenti, le situazioni estetiche.

Però il libro non è così leggero come Virginia riteneva e annunciava di voler scrivere, nelle pagine del suo diario. Orlando è la storia della letteratura inglese in forma satirica: il libro descrive le avventure di un poeta che cambia sesso, passando dall’essere uomo per diventare donna e che vive per secoli, incontrando le figure chiave della storia letteraria inglese. Considerato un classico femminista, sul libro hanno scritto estesamente accademici della storia femminile, di genere e degli studi transgender. Naturalmente la profondità dell’anima della scrittrice, anche nel cosiddetto gioco, risalta sempre.

Incubazione e scrittura

Virginia Woolf, infatti, concepiva i suoi libri pensandoli: quando erano pronti dentro di lei, scriveva. Simon de Beauvoir invece gli stendeva in modo prolisso, poi riduceva, ricominciando da capo, tagliava. Per due o tre anni in Woolf c’è l’incubazione (per Gita al Faro occorreranno cinque anni), parla delle lettere e nel diario dei libri che sta per scrivere come se fossero cose che già esistono. Si mette a tavolino e può scrivere in due mesi 100 pagine, senza una correzione. Non a caso nella sua passione per Shakespeare e nella sua idea dell’ipotetica sorella del poeta, Judith, questa giovane che non ha mai scritto una parola per il fatto di essere donna, entra il fatto che “… nulla si sa di Shakespeare, tranne che non dovette mai cancellare una riga“. Woolf non lavora d’immaginazione o metafore ma descrive in maniera nuova. Se la maturazione è così lunga, tutto risulta poi preciso e potentissimo.

Quando a scrivere è una donna

Scrivere un’opera di genio è quasi sempre una prodezza di prodigiosa difficoltà, dovuta alle circostanze materiali e all’indifferenza del mondo“. È noto: il mondo non ha praticamente bisogno né di quadri né di musica né di libri: sono un lusso. Quante volte chi vive in queste dimensioni si è sentito dire che sono cose di lusso. Niente di male, dice la Woolf, se il mondo si disinteressa di chi scrive. Ma, nel caso che scriva un uomo, il mondo lo lascia fare; se a scrivere è una donna, l’indifferenza del mondo si trasforma in ostilità. Questo atteggiamento adesso si è molto attenuato, Woolf stessa lo annuncia, però si è verificato anche per troppo tempo.

L’indipendenza economica

Di fronte a questa realtà del mondo ostile a che la donna scriva, e anche del niente che è stato fatto perché la donna sia meno ignorante, e inoltre dei grandi vuoti della presenza femminile nella letteratura, Woolf, da ricercatrice, controlla. Trova una ragione a tutto questo: la povertà delle donne. Le donne sono quasi sempre state mantenute, o non hanno avuto sufficiente autonomia economica pur lavorando. Ecco l’importanza di avere una propria indipendenza. la stessa Woolf ha una zia che, morendo, le ha lasciato una rendita di 500 sterline l’anno.

Tutto questo è indispensabile e necessario, come avere anche una stanza tutta per sé munita di serratura. Niente, mai, dice Woolf, potrà far scampare una donna da alcune precise situazioni; ergo, i figli.

,Come fare a difendersi dall’irruenza e dalle pretese della famiglia? Il rispetto per la donna che scrive non c’è proprio in famiglia, non esiste da nessuna parte, per bene che ti vogliano, perché non credono nel tuo lavoro. Anche quando si sente dire che, in fondo una donna con un marito può fare a meno di lavorare, Woolf ribadisce che non è assolutamente vero: occorre avere una, sia pur piccola, autonomia. Senza di questa la donna si troverà sempre nella condizione peggiore per poter creare qualcosa.

Indipendenza e femminismo

Questa minima autonomia permette di leggere, di contemplare, di scrivere quello che si ha voglia di scrivere. Mai scrivere pensando di pubblicare, pensando che questo è lo stile di moda o pensando in anticipo alla storia da raccontare: si scrive per il piacere di scrivere. Il resto viene dopo. Per cui se tu hai scritto quello in cui credevi, il fatto che tu sia criticato o rifiutato potrà farti rabbia nella proporzione di quanto non ti sarai ancora liberato dalla vanità. Ma niente toccherà quello che è tuo. Se poi, dicendo la tua verità, la passi a qualcun altro, hai fatto una cosa per cui valeva la pena scrivere.

Questi sono pensieri della Woolf femminista, che si pongono come stimolo e riflessione; il suo non è un femminismo di azione come quello di Simone de Beauvoir, però è altrettanto, se non addirittura, più potente. In coerenza con il suo carattere, Woolf ha questa presa di posizione decisa, ragionata, di aderire al femminismo come riscatto della creatività della donna. Secondo Woolf è più importante avere la stanza tutta per sé e che non andare a votare! Lo dice con convinzione: una donna col voto non ha conquistato niente, anche perché gran parte delle donne non ha la coscienza del proprio voto, tranne quelle dieci preparate. Si vota sull’onda.

Aderisce quindi al movimento femminista e diventa molto attiva in una cooperativa femminista inglese, dal nome “Women’s Cooperative Guild”, termine inglese per definire le antiche corporazioni medievali. Virginia Woolf tiene delle conferenze anche nell’hinterland di Londra, conferenze che poi vengono riprese e raccolte nei suoi testi. Sostiene una verità del femminismo, questa necessità di trovare la posizione più consona all’importanza di essere donna, sia nei suoi saggi critici, sia poi apertamente in Una stanza tutta per sé e in Le tre ghinee.

 

Le donne e il romanzo

Il tema da svolgere in una delle sue conferenze era: le donne e il romanzo.

“Ad ogni modo, la primissima fase che voglio scrivere qui – dissi avvicinandomi alla scrivania e prendendo la pagina intitolata ‘Le donne e il romanzo’ – è questa: che per chiunque scrive è fatale pensare al proprio sesso. È fatale essere un uomo o una donna puramente e semplicemente: dobbiamo essere una donna maschile e un uomo femminile. È fatale per una donna accentuare seppur minimamente le sue varianze. Difendere qualunque causa, anche la più giusta, parlare in qualunque modo con la consapevolezza di essere donna e questa fatalità non è una figura retorica, poiché qualunque cosa scritta sotto la spinta consapevole di quella parzialità è condannata a morire. Non è più fertile, può sembrare per un giorno o due spiritosa ed efficace, potente e degna di un maestro, ma non appena arriva la sera è avvizzita. Non può crescere nella mente altrui, ci deve essere qualche collaborazione nella mente fra la donna e l’uomo, prima che possa compiersi l’atto della creazione, ci deve essere un matrimonio di contrari. La mente intera deve mostrarsi nuda e aperta, se vogliamo creare la sensazione che lo scrittore sta comunicando la sua esperienza pienamente e perfettamente. Ci deve essere libertà e ci deve essere pace. Nessuna ruota deve scivolare, nessuna luce tremare. Le tende devono essere ben chiuse. Lo scrittore, finita la sua esperienza, deve sdraiarsi e lasciare che la sua mente possa celebrare le sue nozze col buio… non deve né guardare né mettere in dubbio ciò che sta accadendo, piuttosto deve sfogliare i petali di una rosa o guardare i cigni che galleggiano tranquillamente giù per il fiume.”

Ed ecco la dolcezza dello svuotarsi, dopo, però, aver conquistato un non facile risultato.

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Il tempo ha dato ragione a Virginia Woolf anche su ciò che serve alle donne per conquistare la propria autonomia, cioè il binomio istruzione ed indipendenza economica, e avere uno spazio proprio per scrivere da difendere con le unghie e con i denti. E io trovo meravigliose anche le parole sull’importanza di scrivere per il piacere di scrivere… ma riprenderemo questo argomento nella prossima e ultima parte.

 E voi che cosa ne pensate?

 

Cristina M. Cavaliere

 

Fonti immagini: Wikipedia e web