Mi accingo con questo primo articolo ad affrontare uno dei mostri sacri della letteratura internazionale, inglese in particolare. Sto parlando di Virginia Woolf, e per farlo riprendo il filone delle conferenze seguite nel lontano 1982 dal titolo “Dramma e speranza nella letteratura femminile del ventesimo secolo” tenute dalla dottoressa Vittoria Palazzo. Nell’ultima tornata di post avevamo parlato di Katherine Mansfield, che a Virginia fu legata da un sentimento di amicizia e di rivalità insieme (qui, qui e qui i tre articoli su di lei).
Fu proprio grazie a queste conferenze che mi accostai, e poi letteralmente mi innamorai, di Virginia Woolf, e della sua prosa prodigiosa, e cominciai a leggere uno dopo l’altro tutti i suoi romanzi e lavori, e il suo Diario. Proprio con queste conferenze scopersi il suo essere un’antesignana del femminismo e attivamente impegnata nella lotta per la parità dei sessi.
Ecco a voi il frutto dei miei appunti su di lei, che recano l’impronta del “parlato” della relatrice.
Una scrittrice privilegiata
Virginia Woolf è un personaggio chiave nella letteratura. La si può definire come una “scrittrice privilegiata”, cioè l’essere nata e l’aver vissuto in una condizione economica e culturale di alto livello. Virginia Woolf sosteneva come non sia possibile, senza un minimo di tranquillità e d’indipendenza, riuscire a realizzare il progetto di una vita basata sulla letteratura e sull’arte. Era molto difficile, specialmente in tempi passati, anche se nel XIX secolo si concepiva l’artista, specialmente se uomo, ammantato di un’aura un po’ romantica.
Nascita e ambiente famigliare
Virginia Woolf nasce nel 1882 a Londra, in una famiglia dove sia il padre sia la madre erano alle seconde nozze. Il padre, sir Leslie Stephen, è uno studioso di fama, un uomo molto aperto a tutte le problematiche, ma anche molto autoritario sul piano intellettuale. Aveva già avuto tre figli di primo letto, e dalle nuove nozze nascono Virginia, Vanessa e Toby. La prima crisi nervosa di Virginia viene fatta risalire dagli storici al 1897 (quando aveva quattordici anni) perché, morta la madre, il fratellastro Gerald le riserva attenzioni insistenti, per poi abusare di lei e della sorella. Questo Gerald, infatti, prenderà nel cammino letterario di Woolf un posto di rilievo.
Un’intelligenza eccezionale, una sensibilità epidermica
Nell’ambito di una eccezionale intelligenza ci sono quelle che oggi vengono definite delle turbe psichiche, che aumenteranno col tempo fino a condurla al suicidio. È un crescendo che si riscontra anche nel suo modo di scrivere. Virginia è nata col marchio della scrittrice, mentre per Simone de Beauvoir, per esempio, conta molto anche il vivere. Virginia è diversa dalle altre scrittrici, poiché anche lei ama le cose della vita, ma le traduce sempre in letteratura. Giocoforza vi era la necessità di risolvere il rapporto della realtà esterna con quella della sua anima: “Così munita, così fiduciosa e inquisitiva, uscii in cerca della verità”.
Virginia Woolf e la psicanalisi
Era munita cioè della sensibilità epidermica dell’anima, quel tipo di sensibilità che porta poi agli studi della psicanalisi. In Virginia Woolf la psicanalisi e la psicologia hanno una parte preponderante. È chiaro che chi vive in ambienti dove ogni novità viene perennemente discussa, e che sono ricchi di libri, dove si riuniscono scrittori e artisti, anche la psicanalisi rientra nella sua formazione mentale, e per questi suoi collassi nervosi era stata in cura a psicanalisti.
Tra realtà e interiorità
Virginia Woolf comincia a scrivere articoli di giornalismo e per quarant’anni è un’attiva giornalista, finché abbandonerà il giornalismo per dedicarsi esclusivamente alla letteratura. Il fratello Toby e la sorella Vanessa sono per lei due affetti profondi, in particolare ha un forte legame con Vanessa – detta Nessa – pittrice. Con lei avrà un carteggio che spiega bene i loro due caratteri. In una lettera, Vanessa scrive a Virginia: “Il tuo cuore è di pietra.”
Sembra una contraddizione, in questa scrittrice che con la sua sensibilità sa vedere nelle cose tutto ciò che queste non dicono, che sa esprimere l’inesprimibile, partire da qualsiasi argomentazione, in modo che il nostro intimo, così soggettivo, passi attraverso la realtà delle cose, faccia di questa realtà esterna lo specchio della propria soggettività; il porsi perennemente la domanda: “Chi sono? Dove sto andando? Che senso ha? Che cosa devo dare, scrivendo? Devo dilettare, devo essere profonda, divertente?”. Lei ha una fine ironia inglese, uno humour che trapela sempre nei suoi libri, e che le serviva come misura nel binomio continuo in cui si trovava: la realtà, che non sapeva mai quale fosse, e tutto il suo mondo interiore che per lei era, ovviamente, vero.
Labirinti mentali
Sentire quindi tante voci dissonanti e farne un’armonia è quello che la fa impazzire. Nello scrivere a Virginia è riuscito molto spesso raggiungere questa armonia col suo senso di bellezza, nella poesia della sua prosa, ma il senso di fatica che si prova leggendo le sue pagine è dato dal suo labirinto mentale, dai suoni scritti; lei parte sempre da fatti precisi per creare un punto di riferimento e poi va ovunque, mettendo sempre insieme passato e presente, immagini fantastiche, memorie, visioni e descrizioni minute, accuratissime (aspetti della natura, volti di persone, studi, fatti…).
Il romanzo “La signora Dalloway”
La signora Dalloway che esce di casa al mattino, per andare a comprare dei fiori, si trasforma nell’incredibile storia di Clarissa che deve dare una festa, e dal momento in cui esce fino al momento della festa passa un libro intero. Ci sono poi questi incontri con persone che la protagonista ha conosciuto, incontrato, immaginato.
Non si deve avere l’impazienza della trama, perché la Woolf ha abolito l’intreccio: scrive per il piacere di scrivere, e scrive dove vuole andare la sua mente. La tradizione, la storia, il fatto non interessano, anche se il finale c’è: la festa mondana della signora Dalloway diventa simbolicamente una sua affermazione in un mondo che l’accoglie. Contemporaneamente, in questa festa dove tutti i personaggi si mescolano per ritrovarsi, si ha la notizia di un suicidio.
Virginia Woolf rimane sempre in un binomio, poiché c’è un altro personaggio-chiave nel romanzo, che è Septimus, il reduce di guerra il quale non accetta il mondo che lo circonda, ama invece disperatamente la natura e le sue bellezze; rifiuta la falsità della società e l’ipocrisia, e col suo suicidio dice no a questa menzogna.
Binomio e ambivalenza
In questi due personaggi Virginia Woolf ha conciliato entrambe le sue aspirazioni: quel tanto di frivolo che c’era in lei, la sua grandissima attrazione verso l’aristocrazia, la sua tendenza lesbico-platonica per una vita d’artista, per cui c’è la passione di Virginia per la bellezza estetica, i salotti, la mondanità, i vasi cinesi, i tappeti persiani: il lusso. Lei diceva chiaramente che era avida di denaro e di queste cose. Ma contemporaneamente c’è tutta la sofferenza esistenziale iniziata dalla sua adolescenza, ai tempi in cui dava scandalo con i fratelli. È in questa ambivalenza tra l’aristocratico e l’immediato qualunque del quotidiano, l’ambivalenza tra la figura femminile e quella maschile, che si muove Virginia Woolf.
Qui trovate lo screenshot e la locandina del film The Hours (2002) basato sul romanzo di Michael Cunningham, vincitore del premio Pulitzer. Per il difficile ruolo di Virginia Woolf, Nicole Kidman è stata premiata con l’Oscar alla miglior attrice.
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Eccoci arrivati in fondo a questa prima parte. Avete mai letto qualche opera di Virginia Woolf e vi ritrovate nelle parole della relatrice?
Cristina M. Cavaliere
Fonti immagini: Wikipedia
Non ho letto nulla di Virginia Woolf, è una lacuna che dovrei colmare prima o poi. Una vita travagliata, considerando le insidie del fratello in un’età in cui si é fragili e la famiglia dovrebbe essere un rifugio sicuro.
Virginia Woolf è da leggere non soltanto per i suoi romanzi, ma anche per le sue idee sulla donna scrittrice e sugli (scarsi) spazi a lei riservati in famiglia. Parlerò anche del libro “Una stanza tutta per sé”, uno spazio per scrivere che le donne avrebbero dovuto difendere, con le unghie e con i dati, da qualsiasi tentativo di “invasione” anche da parte degli stessi familiari.
Per quanto riguarda il lato personale, la vita di Virginia fu senza dubbio travagliata, non tanto dal punto di vista materiale perché visse in un ambiente socialmente alto, e non ebbe mai difficoltà economiche, ma per via dei suoi problemi psichici.
Virginia Woolf è un’autrice che ho molto amato e che considero tutt’oggi un imprescindibile punto di riferimento per la letteratura.
Ho iniziato a leggere i suoi romanzi e i suoi saggi fin da ragazza. Devo dire che alcuni di essi li ho più volte ripresi in mano e a ciascuna rilettura è sempre seguita la sensazione di meraviglia perché, essendo la Woolf scrittrice molto profonda, ogni volta che la si “consulta” si apre un mondo nuovo.
Ci sarebbe da parlarne per giorni interi, ma non essendo possibile mi limito ad aggiungere che Virginia Woolf argomentò a fondo il significato del denaro per le donne. Non si trattava certo di avidità tout court!
Quando venne chiamata a tenere delle conferenze, nell’ottobre 1928, sul tema “Le donne e il romanzo” ella, come già aveva iniziato col saggio “Le tre ghinee”, colse l’occasione per approfondire con lucidissime e asciutte riflessioni il ruolo della donna e la letteratura. Si chiese come potesse una donna dedicarsi alla letteratura se non possedeva “denaro e una stanza tutta per sé”?
Grazie del tuo ampio e accurato commento, Clem. Ebbi modo di leggere quasi tutte le opere di Virginia Woolf da ragazza, come te, in un’epoca e un periodo in cui si iniziava a riflettere sul significato dell’indipendenza culturale ed economica delle donne. In generale le madri non avevano libertà di manovra, e dipendevano in tutto e per tutto dai padri di famiglia. Ho assistito a tanti drammi e umiliazioni dove la donna rinunciava ad andarsene e rientrava comunque in seno alla famiglia, sia perché non possedeva autonomia economica sia perché la separazione era vista come qualcosa di riprovevole dal punto di vista sociale e religioso. E si parla degli anni ’70 del secolo scorso, non del 1700! Fui molto colpita sia dalla lettura di “Una stanza tutta per sé” sia da “Le tre ghinee”, e non escludo che furono decisive per la mia formazione giovanile, come donna alla ricerca di una sua indipendenza a tutto campo.
La storia di Virginia Woolf è in sé materia di romanzo, in effetti una vita ricca e particolare. Ho avuto il piacere di approfondire questa figura una decina di anni fa, in occasione di un mio spettacolo che ricalcava il bellissimo The Hours da te citato nell’articolo. Arricchii il percorso leggendo Una stanza tutta per sé, Orlando, Mrs Dalloway e la biografia di Nadia Fusini, fra le massime esperte di Woolf, Possiedo la mia anima. Di tanto in tanto ritorno a percorrerla. Mi affascina in particolare il segmento di vita a Bloomsbury, quel circolo di intellettuali oltre le regole, liberi e colti, amici e gaudenti. Vorrei in Inghilterra, quando andrò, ritrovare tanti suoi luoghi, compresa la bellissima Monkey House.
Mi ricordo benissimo il post dove parlavi del tuo spettacolo, Luz. 😊 Virginia Woolf mi aveva catturato e affascinato proprio nell’ambito di quelle conferenze nei lontani anni Ottanta. Come scrivevo nell’introduzione, cominciai a leggere tutti i suoi romanzi e le sue opere, e comprai anche uno splendido libro fotografico che mostrava molte immagini anche dei suoi amici del circolo Bloomsbury, scoprendo tante personalità sfaccettate e irriverenti come quella di Lytton Strachey. Avevi visto il film “Carrington”?
Purtroppo no! E difatti vorrei tanto recuperarlo. Purtroppo sui canali streaming che posseggo niente da fare. 🙁
In effetti, essendo un film “di nicchia” potrebbe essere difficile da recuperare!
Scrittrice straordinaria. Di lei ho letto “Tra un atto e l’altro”, “Gita al faro”, “Le onde”, “Orlando” e “La casa infestata”, oltre al celebre saggio “Una stanza tutta per se”.
Certamente era una donna dell’élite sociale, sia in senso economico che intellettuale, e ciò la ha avvantaggiata parecchio, tuttavia ha tentato di comprendere la condizione femminile (e umana in generale) anche al di fuori della sua posizione privilegiata, sebbene i suoi personaggi siano fondamentalmente appartenenti al suo ambito sociale.
La sua prosa è quanto più si avvicina alla poesia, un lirismo che racconta il momento, lo stato d’animo, piuttosto che una vicenda, e mi incanta per la sua capacità evocativa. Senza voler fare paragoni ovviamente improponibili, ho provato una sensazione simile solo nelle prose autobiografiche di Ada Negri, autrice nostrana che invece è ormai quasi dimenticata a causa del suo inopportuno sostegno a Mussolini.
Dei libri che menzioni non ho letto “La casa infestata”, ma cercherò di provvedere al più presto. Hai detto bene, pur appartenendo a un’élite il suo apporto in favore delle donne è stato determinante per farle riflettere sugli svantaggi di una dipendenza innanzitutto economica e poi anche culturale. Su una nostra letteratura inglese abbiamo inserito un brano tratto da una delle sue conferenze, che abbiamo intitolato “E se Shakespeare avesse avuto una sorella?” per sottolineare la disparità di trattamento a parità di talento che avrebbe ricevuto questa ipotetica ragazza.
Concordo, la sua prosa è altamente poetica, e questo aspetto si è accentuato man mano nella sua produzione. A parere mio “Le onde” ne costituiscono il vertice.