Il 6 febbraio un devastante terremoto di magnitudo 7.9 ha colpito la Turchia e la zona del nord della Siria, già provata da dieci anni di guerra e distruzione. Con dieci province turche colpite si tratta di uno degli eventi più catastrofici degli ultimi decenni. A tutt’oggi il numero delle vittime ammonta a circa quarantaduemila, una cifra spaventosa. 

Gli sfollati sono circa cinque milioni, vi sono macerie ovunque, le case crollano come castelli di sabbia a ogni nuova scossa di assestamento, e ve ne sono state di violentissime anche qualche giorno fa. Le immagini di persone già poverissime, costrette ora a dormire sotto le tende, nelle proprie automobili o in alloggi di fortuna, di bambini rimasti orfani, di famiglie decimate straziano il cuore. Si teme anche un’epidemia di colera.

Con l’ingresso nel nuovo millennio sembra che le notizie apocalittiche si susseguano senza soluzione di continuità: pandemia, guerre ovunque nel pianeta – il papa Francesco l’ha definita una Terza Guerra Mondiale a pezzi – l’invasione della Russia in Ucraina (e dunque una guerra in Europa, alle nostre porte) di cui è appena caduto il primo tragico anniversario, cambiamenti climatici che causano sciagure. Eppure questi eventi, causati dalla natura o dall’uomo, sono sempre esistiti, e in epoche passate la responsabilità era attribuita all’uomo peccatore che riceveva il giusto castigo. Con l’avvento dell’Illuminismo e del pensiero moderno, ora non lo si fa più, anche se ogni volta, come recita il proverbio, sembra che le disgrazie non vengano mai da sole.

Il terremoto di Lisbona del 1755

Questo proverbio si rivelò tragicamente vero nel terremoto di Lisbona del 1755. Che cosa accadde all’epoca? Il movimento tettonico verificatosi la mattina del 1° novembre ebbe il suo epicentro sotto l’Oceano Atlantico ad alcune decine di chilometri a sud-sudovest di Lisbona. Il terremoto causò tra i 60.000 e i 90.000 morti, su una popolazione stimata di 275.000 abitanti, quindi stabilite voi la percentuale. Esso interessò complessivamente un’area di 10 milioni di km2 e raggiunse una magnitudo tra gli 8,5 e i 8,7 della scala Richter. In una tragica classifica, il terremoto di Lisbona supererebbe per intensità quello del febbraio 2023.

Il terremoto in Turchia e Siria si è verificato di notte, quando le persone sono più inermi. “Il terremoto ha colpito mentre tutti dormivano. Ricordo che la chiesa si muoveva come una barca in mare aperto. Siamo subito corsi fuori e ho iniziato ad accogliere e aiutare persone che urlavano,” è la testimonianza di padre Dondu, parroco ad Antiochia. Quello di Lisbona avvenne la mattina di Ognissanti. Alle 9,40, le chiese erano affollate di gente per le celebrazioni liturgiche, quando tre scosse di terremoto si susseguirono per diciassette minuti. Terrorizzate, le persone fuggirono verso la costa e la foce del fiume Tago, credendo di essere maggiormente al sicuro.

Ma il terremoto si era generato in mare, e dunque un maremoto stava per abbattersi sulla città. Il mare si era ritirato lasciando il molo e la riva a secco, con tutte le navi e le barche che vi erano ormeggiate, quindi un’onda di 15 metri, un vero e proprio tsunami, si abbatté su Lisbona. Il maremoto causò altre migliaia di vittime, sommate a quelle del terremoto e dell’incendio divampato dalle candele che ogni famiglia aveva acceso per Ognissanti. Il sommovimento colpì anche Spagna, il resto del Portogallo e Africa del Nord, ma fu avvertito in quasi tutta l’Europa, e, in quel giorno, tremarono persino le Antille.

Davanti a eventi come questi, si dubita dell’esistenza di Dio o, perlomeno, lo si immagina nei panni di un feroce giocatore di dadi. Dopo il terremoto, tra l’altro, nell’Europa dell’Illuminismo si innescò un dibattito su Dio e sull’inspiegabilità dei suoi castighi, anche perché Lisbona era la capitale di un paese fortemente cattolico.

“Poema sul disastro di Lisbona” di Voltaire

 

In occasione del terremoto di Lisbona del 1755 il filosofo illuminista François-Marie Arouet, meglio conosciuto come Voltaire, fu talmente sconvolto da scrivere il suo “Poema sul disastro di Lisbona”, pur non essendo stato un testimone diretto. Più avanti, avrebbe inserito l’avvenimento nel suo romanzo filosofico “Candide, o dell’ottimismo”.

Ecco un passaggio particolarmente significativo, in lingua originale e nella traduzione italiana.

O malheureux mortels! ô terre déplorable!

O de tous les mortels assemblage effroyable!

D’inutiles douleurs éternel entretien!

Philosophes trompés qui criez: “Tout est bien”

Accourez, contemplez ces ruines affreuses

Ces débris, ces lambeaux, ces cendres malheureuses,

Ces femmes, ces enfants l’un sur l’autre entassés,

Sous ces marbres rompus ces membres dispersés;

Cent mille infortunés que la terre dévore,

Qui, sanglants, déchirés, et palpitants encore,

Enterrés sous leurs toits, terminent sans secours

Dans l’horreur des tourments leurs lamentables jours!

Poveri umani! e povera terra nostra!

Terribile coacervo di disastri!

Consolatori ognor d’inutili dolori!

Filosofi che osate gridare tutto è bene,

venite a contemplar queste rovine orrende:

muri a pezzi, carni a brandelli e ceneri.

Donne e infanti ammucchiati uno sull’ altro

sotto pezzi di pietre, membra sparse;

 centomila feriti che la terra divora,

straziati e insanguinati ma ancor palpitanti,

sepolti dai lor tetti, perdono senza soccorsi,

tra atroci tormenti, le lor misere vite.

(Traduzione italiana di Francesco Tanini)

A Parigi si balla e a Sanremo si canta

 

Lisbona è distrutta e a Parigi si balla,” così scriveva con amarezza Voltaire all’indomani del catastrofico terremoto. Questo mi ha portato a fare un collegamento: nei giorni immediatamente successivi al terremoto di febbraio, a Sanremo si è svolta la settantatreesima edizione del noto festival.

Lungi da me demonizzare questo evento canoro, che tra l’altro quest’anno ha proposto anche interventi al femminile molto intensi, come quello dell’iraniana Pegah e Drusilla, o duetti canori che mi sono piaciuti molto come quello di Giorgia ed Elisa. Faccio soltanto notare che, nei notiziari online e sulle pagine dei quotidiani, lo spazio dedicato al terremoto in Turchia e Siria si è ridotto sensibilmente, finendo per parlare con dovizia di particolari quasi soltanto del festival e soprattutto del vestito nude-look di Chiara Ferragni, delle esternazioni di Fedez, delle acconciature e di Blanco che distruggeva le rose e se il gesto era preparato o spontaneo. Come a dire: “Parlate male di me, purché ne parliate”.

In una società che diventa sempre più assuefatta al dolore altrui, quasi come se fosse anestetizzata, si respinge anche soltanto l’idea della sofferenza (a patto che non sia la propria, di cui si parla copiosamente). Può essere un meccanismo psicologico istintivo per non impazzire, ma un giornalismo che si ritenga all’altezza del suo compito ha il dovere di dare un ordine di priorità alle notizie, e di mantenerlo tale. Altrimenti le emozioni di pancia che ci colgono di fronte alle notizie di catastrofi e morti finiscono per disciogliersi nel pantano di una grigia indifferenza o, peggio, dei riflettori puntati sulla successiva notizia della crisi di coppia dei Ferragnez. Come se tutto fosse noiosamente uguale.

 

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 Forse sono troppo moralista, o forse soltanto vecchia. E voi che cosa ne pensate dell’informazione in Italia? 

 

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Foto: Wikipedia