Care lettrici e cari lettori,
è giunto il momento di avviare il terzo filone tratto da L’angolo di Cle. Dopo la serie sui tarocchi e quella sui luoghi, Clementina ci proporrà infatti una serie di articoli su un tema quanto mai attuale: la donna nel Novecento.
Ogni giorno i notiziari ci parlano della battaglia di donne coraggiose che pagano un prezzo altissimo – anche con la vita come nel caso di Mahsa Amini – per rivendicare i propri diritti. Ve ne sono di elementari, e che noi diamo per scontati, come scoprire i capelli o indossare ciò che desiderano, o andare dove vogliono senza essere accompagnate da un uomo che vegli sulla loro moralità. Parliamo poi di diritti sacrosanti quali l’accesso all’istruzione o a rendersi indipendenti economicamente, essere soggetti giuridici, per arrivare a diventare persone pienamente libere.
Per questo è più che mai importante parlare anche delle donne occidentali, e di ripercorrere insieme a Clementina il lungo cammino verso l‘emancipazione (anche se sempre tanto resta da fare!). Leggiamo questa sua introduzione.
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Scartabellando nei cassetti saltano sempre fuori cose curiose. Talvolta si tratta di quisquilie, invece in alcuni casi si possono trovare vere e proprie storie pronte per essere raccontate.
L’altro giorno, per esempio, mentre cercavo di mettere un po’ d’ordine nelle scartoffie, mi sono imbattuta in una risma di fogli ingialliti sui quali campeggiavano dei vecchi appunti che avevo preso durante un interessante seminario imperniato sulla storia dell’emancipazione femminile nell’arco dei secoli.
Inizialmente avevo pensato di scrivere un post dedicato all’arte dell’Ottocento, ma l’improvvisa scoperta mi ha suggerito un taglio differente. Così è nata l’idea di ripercorrere insieme a voi la storia delle donne nel XIX secolo, a partire da un quadro.
Ecco l’opera pittorica in questione:
Boldini (Ferrara, 31 dicembre 1842 – Parigi, 11 gennaio 1931), che è senza dubbio uno dei pittori più celebri della Belle Époque, è divenuto famoso per i suoi ritratti di donne dell’alta società nei quali, oltre a esaltare l’eleganza dei soggetti, cattura attimi fuggenti di un’emancipazione femminile che, via via, osa sempre di più.
Eccomi, dunque, a esporre in sintesi lo scenario che vede le donne protagoniste di un periodo complesso. Vi parlerò brevemente del posto occupato dalle donne nella società di quegli anni, della loro “condizione”, dei loro ruoli e del loro potere. È una bella sfida, ma ci si può provare!
L’Ottocento segna la nascita del femminismo, ma è attraversato da mille contraddizioni. Per esempio, giuridicamente, in tutto il mondo occidentale, la donna è ancora sottomessa al marito e anche se entrando nel mondo del lavoro si allargano i campi dei suoi orizzonti, dovrà passare ancora molto prima che possa disporre del proprio salario.
La Rivoluzione francese aveva posto il problema della donna nella comunità e il dibattito continuerà a scuotere le coscienze, soprattutto sul piano giuridico. Integrare le cittadine nel corpo politico equivale a dar loro potere decisionale e questa ipotesi risulta insopportabile per molti uomini in quell’epoca. Le donne francesi ben presto si accorgono che la loro “cittadinanza” è vuota: non possono esercitare il diritto di voto, non possono partecipare all’elaborazione delle leggi e così protestano. Non sono vere cittadine, ma mogli e figlie di cittadini. Le prime proteste femminili si hanno, per l’appunto, in Francia, al momento dell’instaurazione del suffragio universale del 1848. Quando la Repubblica, nel 1879, viene definitivamente consolidata, le richieste femminili vengono respinte in nome della fragilità del regime.
L’insieme dei paesi latini si presenta refrattario a riconoscimento dei diritti politici alle donne. Diversa è la situazione nei paesi in cui domina il liberalismo riformista, come in Inghilterra. Le inglesi, infatti, guadagnano molti più diritti delle altre europee.
In questo secolo inizia anche il processo di alfabetizzazione femminile un po’ ovunque, processo che scuote molto l’universo maschile e, per contrapposizione, verranno prodotte molte immagini ad hoc, attraverso la letteratura e il teatro. Un vero e proprio sistema di illusioni e miraggi che tendono trappole, tanto più temibili quanto meglio montate, da cui le donne faticheranno a fuggire (la famiglia, la moglie devota, la madre esemplare, e via dicendo…).
La società userà tutta la sua autorevolezza per frenare un’emancipazione nascente fatta di donne che scendono in piazza per rivendicare i propri diritti. Il potere delle immagini di arte e letteratura del 1800 rappresenta le donne in un inquietante intreccio tra donna, bambola e statua.
Nel 1856 Flaubert pubblica Madame Bovary, adultera, colpevole e vittima dei suoi sogni.
Il 6 marzo 1853, Verdi porta in scena La Traviata, e la commovente prostituta creata anni prima da Dumas, La Signora delle Camelie, diventa una peccatrice che si sottomette alle leggi della famiglia e che si sacrifica, mentre un coro finale sottolinea il suo sacrificio ripetendo “Essa è in cielo”.
Tra il 1848 e il 1874, Wagner scrive L’anello del Nibelungo in cui Brunilde, vergine guerriera, rinuncia all’immortalità per accompagnare Sigfrido nelle tribolazioni sulla terra.
Nel 1847 Baudelaire pubblica la novella Fanfarlo, nel quale il protagonista, certo Samuel Cramer, prova desiderio per Fanfarlo, attrice che ammalia il pubblico interpretando diversi ruoli femminili, solo quando in lei ritrova i personaggi del patrimonio culturale e letterario passato che ama. Tuttavia, Cramer dimostrerà di non provare nessun buon sentimento per quella donna nel momento in cui essa gli si propone “spogliata” dai suoi personaggi.
Nel 1879, Ibsen, invece, scrive una pungente critica sui ruoli dell’uomo e della donna nell’ambito del matrimonio durante l’epoca vittoriana. L’opera in questione è Casa di Bambola, che l’autore redigeapponendo una nota a margine al suo testo: «Ci sono due tipi di leggi morali, due tipi di coscienze, una in un uomo e un’altra completamente differente in una donna. L’’una non può comprendere l’altra; ma nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini, come se non fosse una donna, ma un uomo».
Sul finale di scena, Nora, la protagonista, sbatte la porta del domicilio coniugale per vivere finalmente per se stessa. Ella è devota al marito, gli ha salvato la vita e gli ha dato due figli. Ma questi rimane incapace di vedere in lei nient’altro che la bambola di cui ha bisogno. L’unica salvezza per Nora sarà la fuga. La sua esistenza avrà inizio solo uscendo dalle mura familiari.
L’analisi della donna dell’Ottocento continuerà con altri post dedicati all’argomento che, se vorrete, potrete tornare a leggere qui.
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Ora passo a voi la parola: quali opere, artistiche o letterarie, vi vengono in mente per tracciare la storia femminile di quell’epoca?
Un caro saluto a tutti e buona settimana!
Clementina Daniela Sanguanini
Fonte immagini: Wikipedia
A me viene in mente Anna Karenina, dove la protagonista paga con la vita il lusso di aver seguito una grande passione, sarà per questo che amo molto il romanzo L’amante di Lady Chatterley dove la protagonista afferma la sua libertà e il suo adulterio non viene punito, anzi i due amanti finiscono insieme ma forse siamo già in un’epoca più recente…
Ciao Giulia e grazie di cuore! I tuoi esempi sono perfetti: due romanzi che si snodano intorno al tema amoroso e il cui asse portante è l’adulterio.
La differenza è che nel romanzo di Tolstoj, Anna Karenina, la protagonista vive in una società aristocratica, intorno al 1875-77, epoca in cui la donna era sottomessa al pater familias (dal punto di vista dei diritti, la donna era ritenuta incapace di gestire qualsiasi bene), mentre nel romanzo di Lawrence, L’amante di Lady Chatterley, la protagonista vive nel primo ventennio del Novecento all’interno di una società che, per quanto ancora ipocrita, aveva modificato i ruoli delle donne (a quei tempi le donne lavoravano da anni e la loro partecipazione alla vita collettiva, seppure sicuramente perfettibile, era sensibilmente migliorata, rispetto a trenta, quaranta, cinquanta anni prima). Così abbiamo una maschera sicuramente tragica, che e Anna e, dall’altra parte abbiamo invece un’icona della ribellione e rivoluzione femminile, Connie.
Ancora grazie, cara Giulia. Un abbraccio e a presto!
Ringrazio Giulia per il suo contributo e anche Clementina per la sua bella risposta! Per quanto riguarda le storie di emancipazione femminile tra Ottocento e Novecento, in questo momento mi vengono in mente più che altro le figure tragiche della letteratura ottocentesca che sono invariabilmente vittime della loro condizione o della loro “colpa”. Posso menzionare Emma Bovary o, figura ancora più sventurata, Tess d’Ubervilles che con la sua storia rappresenta una sorta di agnello sacrificale sull’altare della società e del suo perbenismo.
Ai tempi dell’università il tema dell’emancipazione femminile nella seconda metà del 1800 era oggetto del corso di Letteratura Angloamericana, quindi ho potuto leggere diverse opere di autrici americane. “The awakening” di Kate Chopin è il ritratto di una donna stufa di sottostare alle regole di una società maschile, che infine sparisce nel senso letterale del termine. Si è suicidata, è scappata? L’autrice non lo rivela e lascia però il messaggio di un’ “inconciliabilità” fra la donna che vuole avere un ruolo attivo nella società e l’incapacità dell’elite maschile di capirlo.
Un’altra opera particolare è un atto teatrale unico (non ricordo l’autrice ahimè) in cui una donna è sospettata di aver ucciso il marito. Lo sceriffo e altri funzionari esaminano la scena del delitto senza raccapezzarsi molto, invece le loro moglie capiscono da tanti dettagli “da occhio femminile” l’inferno che deve essere stata la vita di quella donna con un marito chiaramente oppressivo e violento, e finiscono addirittura col trovare la prova che inchioderebbe la donna… ma preferiscono buttarla nel caminetto, in modo che venga assolta per insufficienza di prove.
Ciao Ariano, interessantissimo anche questo tuo commento! Non ricordo di aver mai incrociato l’opera di Kate Chopin, che mi sembra decisamente da recuperare, mentre ho capito molto bene quale fosse la seconda opera da te citata: il dramma “Inezie”, di Susan Glaspell. La Glaspell, giornalista e scrittrice americana, nata verso la fine del 1800, vinse addirittura il premio Pulitzer ed è una delle più importanti autrici di teatro degli Usa, da tutti considerata un’antesignana del femminismo.
“Inezie” viene rappresentato la prima volta all’inizio della Prima Guerra Mondiale. Si trattava di una detective story che serviva alla Glaspell per mettere in luce l’enorme divario tra uomini e donne a quei tempi. Ed era stata veramente efficacissima! Nell’opera le tre protagoniste comprendono perfettamente il valore simbolico del canarino ucciso, sono in grado di provare la colpevolezza della moglie ma, a differenza dei loro consorti incapaci di giudicare in modo equo, solidarizzano con questa donna. Infatti, percependo la sua disperazione ed essendo coscienti che mai ella troverebbe una giuria bilanciata, cioè in grado di giudicarla tenendo conto dell’intero contesto (la posizione giuridica e sociale delle donne era quello che era), decidono di far sparire le prove, per scagionarla. Che meraviglia questo tuo ricordo!
Grazie mille di questo passaggio, caro Ariano e a presto!
Grazia e entrambi, Ariano e Clementina, per i vostri bei commenti. Anch’io non ho mai letto nulla di Kate Chopin, ma quello che racconta Ariano ha risvegliato anche il mio interesse. Per quanto riguarda “Inezie”, credo che ne vidi una rappresentazione teatrale in televisione, perché la spiegazione di Clementina mi ha fatto ricordare alcune scene. Un’opera sicuramente geniale, a mio modo di vedere!