È la volta di Senza patria di Cesar Balaban. Cesar Balaban è armeno, ma è nato e ha quasi sempre vissuto ad Aleppo, in Siria, un luogo ora così dolorosamente protagonista nei notiziari da più di un anno. Balaban vive e lavora in Italia da molto tempo. Questa autobiografia è un’ottima occasione per conoscere come si viveva nella Siria del secolo scorso, e la storia di un popolo da sempre perseguitato.

La copertina del libro

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La narrazione che si snoda in questo libro di Cesar Balaban, che sarebbe limitante chiamare sia romanzo sia storia autobiografica, assomiglia alla tessitura di un tappeto orientale, composto da ventiquattro capitoli come perfetti riquadri. O, se vogliamo accentuare l’aspetto fiabesco di cui spesso sono intrise le storie provenienti dal Vicino o Lontano Oriente, come una lanterna magica dalle molte figurine che s’avvicendano. Sono molti dunque gli aspetti che compongono questo romanzo, di grande valore sia come testimonianza che come narrazione, il primo dei quali è il messaggio che l’autore credo ci voglia offrire: e cioè che, al di là dei contrasti di popoli, etnie, religioni, la mescolanza comunque significa ricchezza.

Tenda rossa da un monastero di armeni di Santo Etchmiadzin, Armenia, anni 1789

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Mi piace però in questa sede soffermarmi su un aspetto che forse non balza agli occhi immediatamente, e cioè la grande importanza che “i dialoghi”, il parlato, lo scambio, rivestono nella narrazione. Il protagonista bambino è intento ad andare a ritroso alla propria storia, che è anche la Storia di un popolo, e lo fa investigando i due rami dei nonni paterni e materni, e i suoi personali ricordi di ascolto delle conversazioni tra gli adulti. Attraverso il suo sguardo, ora candido e infantile, ora più smaliziato, la narrazione assume a tratti gli accenti surreali e gustosi di una commedia popolare (oserei dire, alla De Filippo). Questo avviene grazie appunto a dialoghi e battibecchi dai tempi tecnici perfetti, in cui gli attori giocano ognuno un ruolo ben preciso.

Quindi abbiamo la figura del nonno paterno pragmatico e mercantile, della nonna materna dolcissima e avvolgente, dall’altra nonna, la formidabile Arussiagh la cui parola era legge, dello zio Levon destinato a rompere l’equilibrio degli schemi familiari, dello straordinario padre, rispettato per la sua sagacia dai musulmani dell’Eufrate e della stessa Aleppo, della madre tenera e intelligente… La sensazione di essere coinvolti in una pièce di teatro, o che potrebbe diventare tale, viene accentuata dalla minuzia nel descrivere gli ambienti domestici – mobili, cuscini, lampadari, profumi… – che servono da quinta alla scena, ma anche altri ambienti ugualmente affascinanti, come l’hammam o il mercato delle stoffe di Aleppo.

La Storia, abile regista, affastella i suoi oggetti di scena, mette in campo i suoi scambi tra le voci recitanti. Tutto, cose e persone, risulta intriso ed investito dalla luce della memoria e dell’affetto familiare, e dalla consapevolezza che la terra di origine, l’Armenia, è sì magica, come in una fiaba o in un teatro, ma anche poco conosciuta, drammatica e dolorosamente lontana. E che va riconquistata e fatta conoscere anche con un libro: questo. Cesar Balaban c’è riuscito, e a lui va il nostro grazie. 

Yerevan, Armenia

Immagine tratta dal sito http://oursurprisingworld.com/armenia-yerevan/