Commentare poesie è difficilissimo, così come leggerle a voce alta togliendo alla poesia, a mio parere, quella armoniosa risonanza che si ottiene solamente con gli echi della mente. Molte volte ho assistito a letture poetiche dove la voce dell’attore o dell’attrice sciupava del tutto l’arcana bellezza dei versi, per un eccesso di enfasi o la voce non adatta.

Ancora più difficile quindi spendere due parole su Jalâl ad-Dîn Rûmî, poeta mistico e uno dei più celebri Maestri sufi della sua epoca, dei cui lavori ho letto una selezione in “Poesie mistiche“. A Konya in Turchia, dove visse per lungo tempo e morì nel 1273, è considerato quasi un santo. Innanzitutto è stupefacente l’intensità dei versi poetici, dove la ricerca di Dio – definito l’Amico o l’Amato – assume i connotati di un amante tangibile, con immagini tanto più ardite se si pensa che l’Islam non ne consente raffigurazioni. Dio ha quindi “il ricciolo attorto”, “la guancia lucente”, è visto come il padrone del falco – il poeta – che ritorna a posarsi sul Suo braccio, al richiamo del tamburo, appare come il giocatore con la mazza che insegue e colpisce la palla – ancora il poeta – ma non per respingere bensì per attrarre a Sé. In un inseguimento reciproco senza fine, proprio come in un rapporto d’amore vivo e ardente.
Questo poeta è ebbro d’amore per Dio, proprio come un ubriaco che barcolla per via del troppo vino ingerito; ma la sua è un’ebbrezza sacra, foriera di gioie ancora più perfette, che lo attendono in un misterioso Oltrespazio da cui tutti proveniamo e a cui tutti, un giorno, ritorneremo. Ineffabile quindi la danza dei suoi versi, che sembra richiamare quella mistica in cui i dervisci simulano il movimento dei pianeti nel cosmo.

Danza dei dervisci, miniatura del XVI secolo
(L’immagine è tratta dal sito http://www.mistica.info/unsufi.htm)

Così, ho scelto una delle poesie più belle scritte da questo poeta che trascende il tempo, lo spazio, la religione e la razza, per dare voce ad una delle più inguaribili nostalgie dell’essere umano, quella per il trascendente.

L’AMANTE PERFETTO




Ho bisogno d’un amante che, ogni qual volta si levi,


produca finimondi di fuoco da ogni parte del mondo! 


Voglio un cuore come inferno che soffochi il fuoco d’inferno 
sconvolga duecento mari e non rifugga dall’onde! 

Un Amante che avvolga i cieli come lini attorno alla mano 
e appenda, come lampadario, il Cero dell’Eternità, 

entri in lotta come un leone, valente come Leviathan, 
non lasci nulla che se stesso, e con se stesso anche combatta, 

e, strappati con la sua luce i settecento veli del cuore, 
dal suo trono eccelso scenda il grido di richiamo sul mondo; 

e, quando, dal settimo mare si volgerà ai monti Qâf misteriosi 
da quell’oceano lontano spanda perle in seno alla polvere! 
Jalâl ad-Dîn Rûmî 
(1207-1273)


[da: Rûmî, Poesie mistiche, a c. di Alessandro Bausani, Rizzoli BUR, Milano, 1980]