La nascita di un personaggio è in assoluto l’aspetto più entusiasmante e complesso dell’intero processo di creazione narrativa, e non a caso molti scrittori paragonano questo atto ad una genesi. Si tratta di un processo mentale così misterioso che ci si chiede quale sia la fonte, proprio come se i personaggi siano già presenti e operanti in qualche altra dimensione, e giungano da noi in obbedienza a qualche magica chiamata, e poi assumano più o meno consistenza anche grazie alla forza che impieghiamo nella nostra impresa.

Un personaggio è come un bambino dai lineamenti indefiniti, o come una di quelle sagome vuote che da piccoli  ci divertivamo a completare e a colorare; e come un bambino ha bisogno di ricevere cibo, acqua, vestiti, un’educazione, persino un carattere… Addirittura una fisionomia. È completamente dipendente da noi, perlomeno all’inizio, e quindi abbiamo delle responsabilità nei suoi confronti. Come vogliamo farne il ritratto? Come il gentiluomo dipinto da Vittorio Ghislandi, o Fra’ Galgario, che segue? Con quelle palpebre semiabbassate esprimenti decadenza, il colorito giallastro e le labbra color ciliegia (http://www.museopoldipezzoli.it/)? È certo che l’artista abbia espresso in maniera mirabile sia la psicologia dell’uomo che la classe cui appartiene, e noi dobbiamo fare lo stesso con la scrittura.

Il “Ritratto di Gentiluomo” di Fra’ Galgario, 1740

Vediamo alcune linee guida che potrebbero esserci utili nella delineazione di un personaggio credibile.

Chi è il personaggio? In genere le storie più appassionanti sono quelle interpretate da esseri viventi, umani o animali che siano, terrestri o alieni non ha importanza. La cosa non è così scontata, perché personalmente mi è capitato di prendere in mano romanzi anche di autori celebri, in cui la storia era narrata attraverso gli oggetti di una casa, o per lo più condotta attraverso resoconti, documenti, spezzoni pubblicitari, inserti con linguaggio cinematografico, e di abbandonarli dopo poche pagine. L’esperimento è senza dubbio originale, ma poco coinvolgente per il lettore, a mio parere.

Personaggi principali e secondari. Anche qui, dobbiamo stabilire quale personaggio, nel nostro romanzo, sia il vero protagonista, proprio come se usassimo un occhio di bue per illuminare il proscenio di un teatro in modo che gli altri siano meno illuminati, o proprio nell’ombra. Concentreremo quindi i nostri sforzi nel delineare al meglio colui che, come dire, è il nostro figlio prediletto. Non tutti dovranno avere pari caratterizzazione, ma, proprio come in un bassorilievo, avremo figure che spiccano maggiormente sulla superficie, e altre appena abbozzate sullo sfondo.

Nell’Ara Pacis Augustae, alcune figure emergono meglio di altre dallo sfondo e catturano per prime il nostro sguardo, grazie anche alla cura nei dettagli delle fisionomie e delle toghe.



Quale personaggio è più interessante? L’interesse naturalmente varia da lettore a lettore, ma il tratto che ci rende caro qualsiasi personaggio, buono o malvagio che sia, è la riconoscibilità. Dovrebbe cioè possedere dei tratti distintivi talmente precisi da farci riconoscere in tutto o in una parte di lui o di lei. Da qui si origina quel processo di identificazione con il personaggio che ci consente di soffrire insieme con lui o, viceversa, di trovarlo così odioso da augurarci che gli capiti il peggio, proprio come se fosse una persona in carne ed ossa. Il personaggio più riuscito è quindi quello che provoca in noi una reazione.

Il personaggio appartiene al suo tempo e al suo luogo. Ogni uomo è rappresentativo della realtà che lo circonda, cioè della sua epoca, e questo è tanto più vero per quanto riguarda il romanzo storico. Lo scrittore quindi dovrà porre particolare attenzione: un robusto cavaliere normanno del 1100 non potrà esprimersi con la compitezza di un gentiluomo di campagna inglese del 1800! Bisogna stare molti attenti, però, anche alle differenze di linguaggio tra classi sociali – perché le classi, ci piaccia o no, esistono ancora, anche se in modo più sfumato – e anche tra generazioni, quindi un ragazzo dei giorni nostri avrà uno slang differente da quello dei genitori. Persino un cane, se decidete di renderlo protagonista, non può vedere il mondo con gli stessi occhi del suo padrone! Tutto questo contribuisce a rendere il personaggio credibile e riconoscibile.

Lo splendido autoritratto con cane nero di Gustave Courbet (1841), Musée du Petit-Palais a Parigi. I loro sguardi sul mondo sono indubbiamente diversi…

http://www.petitpalais.paris.fr/

Caratterizzare il personaggio. Ogni personaggio deve avere un tratto che lo distingua, altrimenti si corre il rischio di confonderlo con gli altri, cioè che siano piatti. Per semplificare le cose, all’inizio si può attribuire una sorta di etichetta, e poi procedere, proprio come uno scultore che all’inizio dà l’abbozzo, e poi raffina il materiale sempre di più. Così ad esempio si può dire di una madre di famiglia che sia “ansiosa” o “isterica”, o di un manager che sia “ambizioso”, ecc. come punto di partenza. Le etichette servono per mettere ordine, non a creare cataloghi. Poi si comincia a scavare nella sua psicologia.

Lavorare con la psicologia. Anche senza essere laureati in materia, dobbiamo essere attenti osservatori della realtà per valutare e immagazzinare le azioni delle persone che ci circondano. Lo scrittore deve immedesimarsi fino in fondo, e a volte è anche un processo doloroso. Un altro buon metodo è quello di leggere romanzi che contengano ritratti-capolavoro, per esaminare le loro reazioni rispetto agli ambienti in cui si muovono e rispetto agli eventi, e come ha fatto lo scrittore a rendere tutto questo. Più il personaggio sarà sfaccettato e sfumato, ma anche… imprevedibile, più avremo fatto centro con la nostra scrittura!