Vi presento ora “Il sogno è più lungo della vita”, raccolta poetica di versi di Isa Malagoni, sempre pubblicata sul sito www.ilmiolibro.it.
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Il poeta è un animale-narciso, spesso follemente innamorato di sé in tutti i sensi: del suo aspetto fisico, se è avvenente (senza alcuna differenza tra uomo donna) e, soprattutto, della capacità di trasporre in versi un sentire che, a suo modo di vedere, è sempre di alto calibro. Il poeta si bea nel suo egocentrismo, e questa alta considerazione di sé traspare moltissimo dalle poesie, in cui la parola “io” campeggia, bene in vista o camuffata tra i versi nei modi più svariati. Nelle poesie di Isa Malagoni non c’è niente di tutto questo: l’autrice è affascinata, sì, ma non dal suo ego, bensì da uno spirito immerso in una realtà più vasta e intangibile, che nutre e da cui è nutrita. Sembra evidente che, al di là delle sue capacità espressive, derivate anche da un’estrema sensibilità personale, Isa abbia intuito, o meglio ancora visto, e veda, che cosa ci sia al di là del confine che separa questo mondo da una realtà invisibile e immateriale. Isa considera lo stato del sogno più lungo della vita, come se ormai misurasse l’esistenza umana servendosi di un metro da sarto che ha smesso di essere quello terreno, per tramutarsi in quello celeste.
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“The Lady of Shallott” di John Atkinson Grimshaw – Private Collection |
C’è dunque qualcosa che va oltre la nostra stessa percezione, dice Isa, prosegue e ci sopravvive, ci immerge nell’eternità. Qualcosa che è bene cogliere con lo strumento della poesia, ma non descrivere puntigliosamente, pena il suo svanire come il profumo di un fiore, o il brillare del raggio in una stanza. Tutta la scrittura di quest’autrice è intrisa nel profondo di una dolcezza luminosa, eppure questa delicatezza è ben lungi dall’essere svenevole. I versi sono sommessi eppure vibranti, occupati in un incessante dialogo con il divino da cui non vogliono e non possono distogliersi.
Le immagini sono semplici e vere, e fra esse ne trascrivo solo alcune, imbarazzata nella scelta: tra i vetri dell’anima respiro, dice del sogno, come se usasse l’immagine evangelica della lampada da esporre o quella, più cara alla nostra infanzia, delle ombre cinesi nella lanterna. E diventa impossibile commentare, a meno di non rovinarne l’armonia: dirigo il vento divino / tra le finestre accecate / domo cavalli fuggiaschi. La fretta restringe i pori, dice in un altro, bellissimo verso, unendo il movimento fisico ad una percezione sensoriale. Non c’è dunque alcun intento didascalico nel suo modo di fare poesia, che darebbe ai suoi versi un tono sentenzioso abbassandone l’impatto; solo ci rammenta di lasciarci bagnare il corpo / nell’acqua variopinta / l’anima nella meraviglia.
Il sogno diventa così “presenza e persona” nata insieme noi, e al nostro fianco: fra le mani una verga d’oro a dischiuderci le porte di un Tempo ormai divenuto eterno.