Inserisco una breve avvertenza a questo punto delle mie Conversazioni sulle tecniche di scrittura, e cioè che ho scelto per necessità di dare brevi cenni su ogni argomento, per non appesantire i post; cenni che, una volta esauriti i punti principali, potranno un domani essere ripresi e approfonditi ulteriormente. Ad esempio, le ambientazioni, trattate nei post precedenti, sono strettamente collegate con la questione fondamentale di quale punto vista sia meglio adottare per descrivere una determinata storia. Cominciamo con il dire che ci sono due punti di vista principali che si possono usare per affrontare una storia, cioè: il narratore onnisciente e il punto di vista limitato al personaggio. (N.B.: il narratore non deve essere confuso con la persona fisica dell’autore, che possono coincidere o essere ben distinti!)
Il narratore onnisciente
Possiamo paragonare questo genere di sguardo con la visuale dall’alto, proprio come se ci fosse una macchina da presa che inquadra la scena da un elicottero, e quindi comprende situazioni anche molto distanti tra loro e che stanno accadendo contemporaneamente. Proprio come lo sguardo divino, che conosce passato, presente e futuro, e l’intimo dei personaggi meglio di quanto loro stessi non facciano. Poi, nell’economia della narrazione, dovrà fare delle scelte e, di volta in volta, lasciare queste sue altezze calandosi e planando sulla terra. In altre parole, bisognerà adottare altre visuali.
“The False Mirror” di René Magritte (1928) |
Lo sguardo del narratore onnisciente è particolarmente utile quando:
– occorre descrivere situazioni che nessun personaggio possa conoscere o sperimentare, e che possono essere descritte meglio da un punto di vista esterno. Se noi camminiamo in una strada, non ci rendiamo conto di quello che accade nella strada accanto, a meno di non avere una vista bionica! Un buon esempio è quello di un evento climatico che sta per abbattersi su una determinata località, come uno tsunami; quindi potremo “salire” per descrivere gli effetti del terremoto nelle profondità marine e l’innalzamento dell’onda anomala, e il suo correre verso la costa. Questo espediente ha inoltre il vantaggio di accrescere la tensione nella narrazione, perché i personaggi non sanno che cosa sta per succedere, ma il narratore- e di conseguenza il lettore – sì. In un certo senso, anche il lettore diventa partecipe, man mano, dell’onniscienza del narratore.
– occorre aprire un nuovo capitolo o una nuova sezione e prima di aver stabilito il punto di vista particolare del personaggio. Il punto di vista-personaggio è infatti molto più coinvolgente per il lettore, che tende ad immedesimarsi nelle traversie del suo eroe, e quindi passare nel mezzo di un capitolo ad una prospettiva più ampia interromperebbe il processo di immedesimazione e rischierebbe di infastidire il lettore. Situare il punto di vista onnisciente all’inizio di un capitolo permette di ingrandire la prospettiva senza troppi danni, di introdurre dei chiarimenti dove necessario, per poi ridurre di nuovo la focale e riassumere il punto di vista-personaggio.
Il tipico narratore onnisciente è Alessandro Manzoni:
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien quasi a un tratto, tra un promontorio a destra e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni…da “I promessi sposi”
Il punto di vista-personaggio
Questo tipo di sguardo può essere invece paragonato all’inquadratura della macchina da presa quando mostra l’ambiente in cui recitano gli attori, in maniera molto parziale, o addirittura come fosse lo sguardo di un singolo attore. È essenziale ricordare che quando si sceglie un punto di vista bisogna cercare di mantenerlo sufficientemente a lungo per creare empatia con il lettore, prima di cambiarlo con un altro, o addirittura di passare al narratore onnisciente, altrimenti il lettore ne trarrà un senso di disorientamento. Prima dovrete sedurre il lettore, e poi potrete lasciarlo in sospeso al momento giusto, con la massima crudeltà, e vi correrà dietro implorando di sapere che cosa accade dopo. Insomma, ho un po’ esagerato per farvi capire il concetto.
“The Good Faith” di René Magritte (1965) |
C’è anche da dire che il punto di vista-personaggio è quello che si adotta con maggior frequenza nella narrazione, proprio perché non è tanto uno sguardo ampio e onnicomprensivo ad essere catturante, quanto le vicende di un personaggio e di un gruppo di personaggi. Proprio come accade nella vita di ciascuno di noi! Potremo poi anche far spaziare il suo sguardo sia sul particolare che su un campo lungo, e naturalmente nell’interiorità della persona, ma sempre in modo limitato.
Ecco un bell’esempio di narratore tutto interno alla storia, tratto da “Lo Straniero” di Albert Camus:
Tutto chiaro? No? Se avete dei dubbi, potreste provare a prendere un capitolo che avete in mente di scrivere, o che avete già scritto, e provare ad affrontarlo da queste due diverse angolazioni, magari variandole nei punti giusti con lo sguardo “divino” del narratore onnisciente, e di quello più limitato e umano del personaggio-punto di vista.