Allegoria sacra” di Giovanni Bellini (dettaglio)
1490-1500 – Galleria degli Uffizi, Firenze
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Nel chiostro di San Lorenzo, Bianca, seduta accanto a Bernardo, attende l’inizio della sacra rappresentazione. La donna ascolta il marito, e intanto un gruppo di studenti si accalca, ridanciano, vicino ad una colonna. Sotto le volte ombrose, i frati domenicani, simili a grandi rondini svolazzanti, passano e riprendono quella vivacità.

Un angelo filiforme, carico delle sue enormi ali, appare ed annuncia al pubblico la materia della rappresentazione. Sul palco è approntata la graticola di San Lorenzo: il santo vi è disteso e là, con l’aiuto di fiamme posticce, si consuma il suo martirio, mentre nel cielo del fondale, squisitamente dipinto, si accendono luci, roteano sfere celesti. A dar vigore alla scena, nel quadrato di cielo autentico del chiostro corrono schiere di nuvole gravide di pioggia e fra quelle le rondini, garrendo, si avvolgono e si svolgono in lunghe volute nere.

Bianca, preoccupata, alza la testa verso il cielo, poi si volta leggermente e scorge Guido, vestito di nero, nel gruppo degli studenti. Lo sguardo del giovane, fisso su di lei, si va colmando d’un desiderio insostenibile. Mentre egli la configge nell’emisfero azzurro dei suoi occhi, Bianca si sente un ritratto chiuso in una cornice, un uccello in gabbia, una figurina dipinta su un tarocco, finché, turbata, non volta di nuovo la testa verso il palco.

Quando riporta lo sguardo su Guido, egli è scomparso. Le prime gocce di pioggia cominciano a velare l’aria. Sul proscenio l’angelo filiforme, carico delle sue enormi ali, annuncia la fine della rappresentazione.

* * *

Nelle campagne fiesolane, il respiro dell’estate soffia con uguale intensità sulle file di contadini che mietono i campi e sulla brigata di cavalieri e donne che, uscendo dalla villa di Bernardo, va alla caccia. In essa, cavalcano affiancati Bianca e Guido, pronti a giocare l’ultima, decisiva partita con la stessa animosità di due mortali nemici.

Sulla scacchiera del prato, tutti i pezzi viventi s’allineano, ed inizia la caccia col falco. Il rapace, scappucciato, spicca il volo dalla mano guantata, si libra nell’imprendibilità dei cieli. Rimane un attimo sospeso in aria, veleggiando, poi si lascia cadere con gli artigli protesi: in un turbinio di penne, il falco ghermisce la preda, e all’unisono si leva il grido dei cacciatori. Fra voli di uccelli ed aeree risate, gli occhi di Bianca sono una fiamma che arde con maggiore o minore vivacità, e la gelosia di Guido diviene acuta e lacerante come la punta d’una freccia. Ma la partita prosegue, all’ombra delle fronde, sotto cui riposano i cacciatori, stanche pedine abbattute, e la mano di Guido si protende verso quella di Bianca, la sfiora, la stringe.

‘Romeo e Giulietta‘, Frank Bernard Dicksee (1894), 
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Culmina davanti alla villa, dal profilo squadrato di torre: la luce calante della sera allunga a dismisura le ombre dei cavalieri che tornano, carichi di selvaggina, e paiono contrapporsi, fra nuvole di polvere dorata, nell’ultima, disordinata battaglia.

Ed è la stessa luce, qualche ora più tardi, nel pergolato deserto, ad illuminare Bianca e Guido, regina e re avversari, allacciati in un’identica mossa di vittoria.