Venticinque
anni dopo, un gruppo di fanciulle del regno degli
Innocenti sedeva ai piedi d’una quercia. Posate le ceste colme dei fiori primaverili,
s’erano messe in cerchio all’ombra del grande albero, avevano allungato
le mani verso i fiori e incominciato ad intrecciarli in mazzi e
ghirlande. Avevano lavorato a lungo, conversando e ridendo, e voci e risate si erano levate insieme agli uccelli; quelli che d’improvviso, da un prato ardente di sole, s’alzano verso il cielo sgombro.
intenta ad intrecciare fiori lei stessa, era la principessa Lyra degli
Innocenti; ma, al contrario delle altre e in contrasto con la sua indole,
gaia e spensierata, si mostrava, quel giorno, silenziosa. Muoveva i fiori
abilmente, piegandone i gambi e accostando petali di tinte diverse, e
rifletteva su come lei stessa fosse così simile ad uno di quei fiori che aveva
fra le dita. Nel pieno dello sboccio, ma ancora radicato alla terra, e prossimo
a raggiungere quello stato in cui i petali, dopo aver toccato la massima
apertura, iniziano ad appassire e a cadere ad uno ad uno. “Grazie a mia madre
Mira, a vent’anni compiuti non ho ancora uno sposo,” pensava, imbronciata. Conosceva la sua
bellezza, seppure in modo confuso, riflessa ogni giorno nello specchio della stanza e negli sguardi degli uomini – ma senza superbia, con semplicità, come ne sarebbe stato
consapevole un uccello o un fiore – e avrebbe voluto che questa bellezza non
sfiorisse inutilmente. Avrebbe mai qualcuno osato
oltrepassare il pruneto che lo circondava per cogliere quel fiore ritto fra le
spine, a costo di lacerarsi le carne e veder scorrere il sangue?
Era intenta a queste considerazioni, quando, d’un tratto, il grido d’una delle compagne la strappò dai suoi pensieri. “Laggiù, nella pianura!” Si volse, s’alzò e s’accostò a colei che aveva mandato il grido, subito raggiunta dal resto delle fanciulle, che l’avevano imitata; e appuntò lo sguardo verso l’orizzonte. Là, era una lunga fila d’uomini e d’animali: avanzava come un serpente srotola le spire, i cavalli con i cavalieri in groppa, gli scudieri a piedi, i carri carichi di casse e bauli – tutti procedevano ad uguale distanza fra loro, quasi il primo dei cavalieri si fosse sdoppiato e poi moltiplicato, sotto varie forme, all’infinito. Alla testa del corteo sventolava uno stendardo nero, su cui si stagliava un disco dorato e, sotto quell’emblema, cavalcava il principe Aldebaran. Sui suoi abiti neri, sul mantello provvisto di cappuccio, e sui finimenti del cavallo spiccava il medesimo segno: il disco dorato, emblema del Quarto Regno – il regno dei Crudeli.
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La Vergine di Gustav Klimt (1912-13) – Narodni Galerie, Praga http://www.ngprague.cz/ |
Così, come a dar corpo alla sua folgorazione, la catena di fiori che, sino a quel momento, era andata via via componendo, cadde dalle mani di Lyra degli Innocenti, quasi fosse stata troppo pesante per essere sostenuta. Lyra aveva visto Aldebaran, ed aveva subito capito che la sua esistenza, finalmente, iniziava: il primo anello della catena era stato forgiato e lì si apriva, pronto ad accogliere quello successivo e a chiuderlo in sé. All’apparire del giovane, lei nasceva di fatto, sorgendo fra i fiori intrecciati: i suoi capelli lunghissimi, d’una lunghezza prodigiosa, erano annodati ed ornati da nastri azzurri (le trecce le arrivavano fino alle ginocchia e, una volta sciolte, una gran massa setosa le arrivava fino ai piedi); gli occhi bruni erano velati da lunghe ciglia, come quelli d’un cerbiatto; la bocca, rosea e tenera, esprimeva la delicatezza di petali socchiusi. Sorgeva, tra i fiori della primavera e dal grembo della terra stessa.
Dall’alto del suo cavallo, Aldebaran dei Crudeli inclinò lievemente il capo verso di lei, mostrando d’averla riconosciuta. E, con quel gesto, la fibula d’oro che gli chiudeva il mantello, sulla spalla sinistra, rifranse un raggio di sole, ed esso scintillò verso Lyra, come un sottile, penetrante spillo che trafigge il corpo d’una farfalla di rara bellezza, la solleva nell’aria e la espone agli sguardi ammirati di tutti.