“Posso mostrarti la mia terra, principessa Lyra, se tu lo vuoi” le propose Aldebaran, un giorno. Si trovavano nel giardino del castello, seduti a conversare all’ombra d’un ippocastano, su una panchina di pietra con bassorilievi di pavoni e altri uccelli. Poco distanti da loro, le ancelle di Lyra giocavano dando colpi ad un volano di piume, con una racchetta in mano, scarmigliate e felici. Lei aveva preferito rimanere a conversare con lui. “Chiudi gli occhi e la vedrai,” suggerì  Aldebaran, in tono suadente. Lei acconsentì ed obbedì, incuriosita al pari d’una bambina.

Il Mago della Terra alzò la mano sinistra e la mosse davanti al volto di Lyra, sapientemente, continuando a parlare. “Il regno da cui provengo ha foreste immense e laghi profondissimi; cervi vi appaiono come per incanto e falchi solcano i cieli, superbi.” Così parlava Aldebaran a Lyra e, mentre le descriveva la terra natale, ella vedeva la sua cecità squarciarsi, come un velo lacerato, e, in lontananza, quasi fossero originate da un tellurico sconquasso, sorgere e svettare montagne. Erano giganti dalle groppe rocciose, a volte ricoperti di alberi verdissimi, a volte desolati nella loro nudità. Poi, quasi le fossero spuntate ali d’uccello e avesse potuto spiccare il volo, da un nido o da un ramo d’albero, si librava nell’aria e, dall’alto, vedeva laghi circondati e protetti dalle montagne, come acqua chiusa nel cavo d’una mano. Con estrema acutezza, riusciva a scorgere persino i pesci d’argento, le serpi color smeraldo, i fagiani d’oro. “Attorno al mio castello, a Nord, c’è tutto questo e anche altre meraviglie. Perciò le immagini che ti mostro, originate dalla magia, sono di gran lunga inferiori alla realtà.”

Fra le montagne della Sierra Nevada, California di Albert Bierstadt
(1868), Smithsonian American Art Museum
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Abbassò lentamente la mano, la visione svanì dalla mente di Lyra, e lei riaprì gli occhi. “Mia signora,” proseguì egli, tranquillo, “lasceresti la tua bella terra, ma prenderesti dimora in una altrettanto regale e superba. Non saresti regina, è vero, ma comunque assoluta signora dei territori del Nord, che mi appartengono per diritto di nascita.”

“Ti chiederò in sposa a tuo padre oggi stesso, se tu lo desideri,” e la voce del principe dei Crudeli risuonò ancora una volta all’orecchio di Lyra, come una frase pronunciata da una terza persona. “Me lo permetti?” chiese ancora il giovane mago. A quella domanda, lei rimase qualche istante in silenzio, poiché l’occhio e la mente erano colmi d’una nuova visione, che apparteneva a lei questa volta (e le visioni erano l’unica, magica facoltà ereditata dalla madre, anche se esse nascevano inaspettate ed incomprensibili, e spesso si confondevano con i sogni), la visione d’un abisso apertosi dinnanzi – la Fossa del Drago? Nella visione, sentiva qualcosa gravarle sulla schiena, ed esitava a gettarsi nel vuoto per via di quel fardello, che intuiva esser prezioso… ma al contempo il fascino emanato dall’abisso, ed un pericolo incombente, la spingevano al salto…

La principessa schiuse la bocca e, in quel momento, la vita di Antares si trovò lì, sospesa alle labbra di rosa di colei ch’era destinata ad essere sua madre, come una tremula goccia d’acqua su un petalo. E Lyra saltò nell’abisso, e in quel momento si risvegliò. “Sì,” disse. La goccia d’acqua scivolò, dal petalo, sulla pagina del primo libro, segno che Antares sarebbe stato concepito, e avrebbe schiuso gli occhi sulla luce e sulle tenebre dei Quattro Regni.