La copertina del romanzo

Quando termino un romanzo che mi ha
particolarmente appagato, provo il fortissimo desiderio di avere davanti a me l’autore,
per poterlo guardare negli occhi e dirgli: “Grazie. Grazie davvero di aver
scritto questo libro.” Mi è accaduto in tempi recenti con Norwegian Wood del giapponese Murakami Haruki, che  appartiene senza dubbio al novero dei romanzi
capaci di far emozionare in profondità e far risuonare corde altrimenti a
riposo nel lettore più cinico e annoiato. Il titolo riprende una  lenta e struggente canzone dei Beatles, forse
una delle meno note, la quale fa da colonna sonora a un tempo che per
molti è quello della giovinezza.

Senza entrare nel dettaglio per non rovinare
il piacere della lettura, posso dire infatti che la storia narrata riguarda l’adolescenza,
e parla dell’incontro con la morte, sotto varie forme, in un’età in cui si è
poco preparati ad affrontarla (e comunque questo è un luogo comune: non si è
mai preparati abbastanza). I protagonisti reagiscono al dolore in varie maniere, a
partire dall’io narrante del romanzo, il giovane liceale Watanabe. Così dice,
in un passaggio che ho utilizzato in un mio post precedente per parlare di
scrittura femminile o maschile:
“Tuttavia, per quanto mi sforzassi
di dimenticare, dentro di me restava qualcosa, una specie di grumo d’aria non
meglio precisato. Poi, col passare del tempo, quel qualcosa cominciò a prendere
una forma più chiara e definita. Così chiara che posso anche tradurla in
parole. Le seguenti: La Morte non è l’Opposto della Vita, Ma una Sua Parte
Integrante. Tradotto in parole suona piuttosto banale, ma allora non era così
che lo percepivo, ma come un grumo d’aria presente dentro di me. La morte era
parte di quel fermacarte, parte indissolubile delle quattro palline bianche e
rosse allineate sul tavolo di biliardo. E sentivo che noi vivevamo inspirandola
nei polmoni come una finissima polvere.”  

La pubertà di Evard Munch (1894-1895)
olio su tela – Galleria Nazionale (Oslo)
http://nationalmuseum.no/
Di fronte al lutto per la perdita
del suo migliore amico, avvenuta in circostanze tragiche, Watanabe s’avviluppa
in una nebbia antidolorifica, che da una parte lo protegge da ulteriori sofferenze, dall’altra gli
conferisce un’aura distaccata e quasi impenetrabile. Con tutto, Watanabe è un ragazzo
di grande sensibilità che, di volta in volta, mette in funzione misteriose
antenne per captare stati d’animo e cambiamenti nelle persone che lo circondano,
e lo interessano, oppure attiva lapsus e dimenticanze che feriscono gli altri nel
profondo, in una sorta di altalena emotiva di cui si dispiace per primo.

Sulla
sua strada è Naoko, la ragazza dell’amico morto, fragilissima come vetro – una classica
creazione di Murakami – collegata in molti modi alla luna e sottoposta alla sua
sfera di instabilità, e Midori, concreta, divertente e volitiva, e dal grande
cuore. Nel romanzo sono descritti i riti di iniziazione sessuale dei protagonisti
e, ancor più determinanti, quelli di un’educazione sentimentale che determina
una prima impietosa selezione e miete vittime ad ogni passo. Il contraltare di
Watanabe è il suo compagno di scuola Nagasawa che, come si dice acutamente nella
bella prefazione di Giorgio Amitrano (da leggere alla
fine, però), richiama l’eroe negativo Steerforth di dickensiana memoria. Anche lui mette
in campo i suoi metodi per proteggersi dalle crudeli leggi della vita, il primo
dei quali è corazzarsi di un egoismo a tutta prova, specie nei confronti delle
ragazze.

Seppure sullo sfondo, Norwegian Wood racconta anche il
passaggio di una società che per millenni è rimasta ancorata ad usanze
antichissime, e scopre l’Occidente attraverso letture di nuovi autori, musica dai ritmi
travolgenti, costumi sessuali  una volta
impensabili, agitazioni studentesche e pensieri alternativi. Il mondo è
diventato più libero, ma anche più confuso e privo di punti di riferimento, i genitori sono figure relegate sullo sfondo, e
le vittime privilegiate diventano proprio le creature come Naoko, quelle che non
hanno difese. 

Il film tratto dal romanzo
Murakami ha un modo di scrivere elegante come una pennellata, impossibile
da imitare, dove i sentimenti, gli oggetti e i paesaggi si ammantano di un alone surreale e onirico. Il finale
del romanzo è, volutamente, apertissimo e spiazzante, e non condivisibile del
tutto per quanto mi riguarda. Dopo aver letto però la risposta dello scrittore a una domanda durante un’intervista, guardacaso riguardante questo argomento, mi ritengo soddisfatta: è proprio dei grandi
autori compiere delle scelte, anche drastiche e impopolari. L’importante è
avere le idee chiare. Godetevi dunque questo romanzo di grande dolcezza e profondità, destinato
ad avere un posto di rilievo nella vostra libreria.