La copertina del saggio, edito da Laterza.

 

Nel mio peregrinare alla ricerca di fonti interessanti per i miei romanzi, mi sono imbattuta in questo agile saggio di Giorgio Riello La moda – Una storia dal Medioevo a oggi che propone una carrellata sulla nascita e l’evoluzione di un fenomeno che, piaccia o meno, ci condiziona tutti in modo capillare ed estensivo: la moda. Come asserisce Miranda Priestly nel film Il diavolo veste Prada, di fronte alla nuova segretaria che disprezza la moda e sembra vestire senza badare a quello che acquista, “Oh, ma certo, ho capito: tu pensi che questo non abbia nulla a che vedere con te. Tu apri il tuo armadio e scegli, non lo so, quel maglioncino azzurro infeltrito per esempio, perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso, ma quello che non sai è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro, non è turchese, non è lapis, è effettivamente ceruleo (…) ed è arrivato a poco a poco nei grandi magazzini e alla fine si è infiltrato in qualche tragico angolo casual, dove tu evidentemente l’hai pescato nel cesto delle occasioni, tuttavia quell’azzurro rappresenta milioni di dollari e innumerevoli posti di lavoro, e siamo al limite del comico quando penso che tu sia convinta di aver fatto una scelta fuori delle proposte della moda quindi, in effetti, indossi un golfino che è stato selezionato per te dalle persone qui presenti… in mezzo a una pila di roba.” (da http://it.wikiquote.org/wiki/Il_diavolo_veste_Prada)

La moda come fenomeno ha inoltre diverse sfaccettature: è, in primo luogo, un modo per differenziare se stessi, ma anche per condividere la propria unicità e quindi, in questo senso, si espande come un’epidemia. In secondo luogo è espressione non solo di appartenenza sociale, ma anche di camuffamento, cioè voler rappresentarsi diversi da come si è, come camaleonti che assumono il colore dell’ambiente dove vivono. La moda è non solo consumo, ma anche produzione ed è appunto pensata, concepita, promossa da un ambiente dove si muovono diversi attori: da qui l’importanza dell’industria della moda. La moda si differenzia per età e per genere, e di volta in volta ha visto l’emersione di categorie importanti di consumatori, come i giovani negli anni ’60 che si sono opposti alla conservazione e hanno stravolto gli schemi sociali preordinati anche grazie alla moda.

Les Très Riches heures du Duc de Berry Folio 1 – verso: Gennaio (1412 – 1416). La moda è ormai in piena fioritura.

Difficile, però, situare un momento preciso per la nascita della moda, ci dice l’autore. La moda non pare originarsi nell’Alto Medioevo, dove uomini e donne vestivano in modo simile, ma, piuttosto, in un periodo successivo a cavallo tra il 1200 e il 1300 e particolarmente nell’ambiente di corte. L’abito indicava sempre più lo status sociale e il grado di ricchezza, al punto che persino gli strati più bassi del popolo erano suddivisibili a mezzo dell’abito. Confezionare un abito era costoso per le stoffe impiegate, però, e acquistarne uno era legato quasi sempre ad un evento straordinario, come una cerimonia, una festività religiosa o un matrimonio.

L’abito era dunque progettato, tagliato su misura, con numerose prove per adattarlo sempre meglio alla persona ed evitare sprechi. Nel corso del XIV si assiste inoltre ad una evidente differenziazione nell’abito tra l’uomo e la donna: prima di allora l’uomo indossava abiti coloratissimi, calzoni di maglia attillati, giubbetti imbottiti, mentre la donna portava sul capo veli a coprire i capelli, di lino se era di basso rango, tuniche lunghe fino ai piedi, grandi maniche. Il palcoscenico dove far sfoggio degli abiti si sposta nello spazio urbano, dove la moda diventa anche strumento di competizione da parte di classi, quella borghese e mercantile, che aspirano a scalare la gerarchia sociale. L’arrivo di stoffe pregiate dall’Oriente – le sete – l’ostentazione del lusso, le nuove fogge degli abiti, considerate impudiche, portano ad una reazione da parte delle autorità dei maggiori stati europei e all’emanazione delle cosiddette leggi suntuarie, cioè le leggi che regolano la “sontuosità”, “il lusso”. Con esse si intende regolare la spesa per l’abbigliamento, evitando ad ogni classe di spendere più di quella a essa superiore, nell’intento quindi di mantenere l’ordine sociale (e, indirettamente, quello morale). Da documenti dell’epoca pare, tuttavia, che le leggi che condannavano moda e lusso fossero di frequente disattese, specie dalle donne di alti natali che vedevano nell’abbigliamento l’unico ambito dove potessero esprimersi con libertà; e, paradossalmente, anche dai loro mariti e capifamiglia che, attraverso una moglie riccamente vestita, mostravano tutta la ricchezza e potenza della loro casata.

Nel 1528 la pubblicazione de Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione porta alla ribalta un nuovo protagonista della moda, e non solo: appunto, il cortigiano. Lungi dall’accezione negativa che la parola ha finito per assumere col tempo, il cortigiano esemplare è un uomo di nobili natali e di grandi virtù morali e intellettuali. Si muove nell’ambiente di corte, forte di qualità che non sono solo apparenti, ma attentamente coltivate, nell’intento di ottenere il favore del principe. Per far questo, egli si esprime anche attraverso l’abbigliamento. Siamo dunque nel 1500, e ancora una volta la moda imprime a se stessa una sterzata inaspettata, e per certi versi sorprendente, e sostituisce agli abiti coloratissimi e chiassosi, comuni a uomini e donne, la tinta elegante per eccellenza: il nero. Ciò si evince nella ritrattistica dell’epoca, con giubboni o vestiti di velluto nero, camicie candide che sottolineano il viso, maniche ugualmente candide da cui spuntano pallide mani. Il nero è il colore dell’equilibrio, della non ostentazione, dove la ricchezza dell’individuo e della sua famiglia è mostrata in maniera più sottile, attraverso la qualità della stoffa e la sfumatura del colore; e il nero è anche, non a caso, il colore della Riforma protestante.

Il cavaliere con la mano al petto di El Greco (circa 1580) Museo Nacional del Prado https://www.museodelprado.es/ Il nero è ormai divenuto la vera cifra dell’eleganza.

Arriva il 1700, secolo di due importanti rivoluzioni: la Rivoluzione Francese e quella industriale. Emergono nuovi fenomeni, nella moda, uno dei quali è la rivoluzione dei consumi. Con la produzione su larga scala di nuovi tessuti, e l’abbassamento dei costi, vasti strati di popolazione cominciano ad acquistare e quindi a consumare, in una gara ad emulare gli esponenti della classe superiore, specie per quanto riguarda gli accessori dal costo più abbordabile. Nascono i cosiddetti negozi dotati di vetrina, attraverso cui il potenziale cliente osserva la merce esposta; può entrare nella bottega, un luogo raccolto e quasi intimo e, dulcis in fundo, nel retrobottega dove vengono mostrate le merci veramente esclusive, appannaggio di clienti selezionati e danarosi.

Marie Antoinette dit “à la Rose” di Louise Elizabeth Vigée-Lebrun (1783), Reggia di Versailles. http://www.chateauversailles.fr/homepage La regina in un momento felice, prima della tempesta rivoluzionaria.

E nascono, timidamente, le prime forme pubblicitarie con i manifesti e i primi “cataloghi” di abiti per signora, come il Lady’s Magazine del 1759, piccoli e maneggevoli, dunque di facile consultazione. Parigi e Londra si contendono il primato di capitali della moda, del consumo e dello shopping, con clienti che peregrinano dall’una all’altra città per acquistare e passare il tempo. La soluzione all’esigenza di avere abiti subito pronti viene fornita dall’esercito, dove occorre vestire, in tempi rapidi e con stoffe di buon prezzo, ingenti quantità di uomini: è la nascita delle taglie, disdegnate peraltro dal vero uomo o donna elegante in quanto con le taglie l’abito non casca mai a pennello sul corpo.

L’uomo del 1800 rinuncia alla moda composita del secolo precedente, piena di trine, parrucche, ciprie e orpelli, in favore del cosiddetto abito “a tre pezzi” (pantaloni, gilet e giacca), immagine di pragmatismo e severità morale, e tale rinuncia sembrerebbe durare ancora oggi. La sobrietà e l’uso del nero si rinnovano attraverso la figura del dandy, colto e disincantato, come Oscar Wilde, Charles Baudelaire e, soprattutto, Beau Brummell, per il quale la cura nel dettaglio – i guanti, la cravatta, la spilla, gli accessori – è il segno della vera eleganza.

Caricatura di Brummell regalatagli da Robert Dighton nel 1805.

Più avanti, si assiste all’introduzione di novità che consentono la moda confezionata in casa, come la macchina per cucire di Isaac Singer, che può essere anche affittata a modico prezzo e diventa elemento di arredo, e aumenta a dismisura la velocità nei punti sulla stoffa. Il 1800 tracima nel 1900, il sarto diventa creatore di modelli che sono intesi come opere d’arte, e innovazione, e non più obbediente fornitore delle indicazioni del cliente: e un inglese, Worth, è il primo a istituire la figura del couturier che è anche creatore, designer e stilista. Eredi di Worth, figure come la celebre Coco Chanel e altri meno noti che il saggio ci illustra in maniera puntuale e garbata.

Di quanto avviene in seguito, tutti, bene o male, siamo a conoscenza: l’emergere di nuove fasce di consumatori, come i giovani negli anni ’60, l’avvento del tempo libero e dello sport, e quindi l’esigenza di avere capi pratici e confortevoli, l’invenzione del prêt à porter italiano e l’emergere di nuove piazze, come quella di Milano, un mercato sempre più globalizzato e con processi di produzione che sfruttano lavoratori sottopagati e schiavizzati, molto spesso minori, l’esibizione nelle passerelle di modelle anoressiche, inducono il mondo della moda a porsi nuovi interrogativi, molto spesso di carattere etico.

Cristina M. Cavaliere