Ai bordi dello specchio d’acqua, la principessa Lyra, sola, sedeva immersa in pensieri malinconici. Aveva scoperto quel luogo durante una passeggiata nel bosco ed esso era divenuto uno dei suoi angoli preferiti, perché la voce dell’acqua che, in forma di cascata e di piccolo lago, sembrava parlarle con un linguaggio umano, era una compagnia bastevole. Due mesi erano trascorsi, infatti, da quando aveva fatto il suo ingresso come signora dei Territori del Nord e preso dimora nel Castello-Magia di Aldebaran e, malgrado non potesse definirsi infelice, provava spesso un gran senso di vuoto. E, spesso, seduta in quel luogo, riandava con la memoria all’inizio della sua vita di sposa.

Dapprima, Lyra preferisce dedicarsi ad attività domestiche, come la cura degli amati uccelli. Dato che nessuna delle sue ancelle ha voluto seguirla, prima della partenza la fanciulla ha catturato e messo in gabbia due o tre coppie dei volatili più belli e colorati affinché essi la possano allietare con la loro voce e le rammentino la dolcezza del Primo Regno. Una volta giunta al castello di Aldebaran, ha appeso le gabbie alle travi della camera da letto e, là, li guarda saltellare e cinguettare dietro le sbarre. Giorno dopo giorno, però, il loro canto si fa sempre più fievole, ed il loro occhio più malinconico, finché una mattina non li trova sul fondo della gabbia, a pancia all’aria, con le zampe rigide e contratte. Accanto a loro, i semi preparati la sera innanzi sono intatti, e così pure la scodellina dell’acqua, come se tutti gli uccelli, di comune accordo, si siano lasciati morire di fame e di sete. Lyra piange un poco per la loro morte, ma si consola pensando che, in fondo, essi non avrebbero potuto in alcun modo sostituire la compagnia delle sue ancelle ed amiche d’infanzia.

Sono piuttosto stanca delle ombre,
disse la signora di Shallot

di John William Waterhouse (1915)
Art Gallery of Ontario
http://www.ago.net/

A volte la principessa scende nelle cucine a sorvegliare personalmente la preparazione dei piatti, e quando apre la porta svela un mondo a lei sconosciuto. Dopo essersi interrotti per salutarla con un inchino, servitori e cuochi riprendono ad affaccendarsi attorno a pentoloni di rame, scintillanti a causa della luce del fuoco che vi batte sopra, serve munite di grembiule si curvano per finir di spennare fagiani e galletti, bambine tornano a pelare patate o a triturare erbe. Tutti si danno un gran da fare, e parlano fra loro come se Lyra non esistesse. Ella si muove tra i fumi della cucina, si alza sulla punta dei piedi ad osservare le varie faccende, con le mani unite in grembo, alle donne pone alcune domande, seguite da brevi risposte; alla fine si ritira, raggiunge la scala a chiocciola, e vi sale, su su, fino ad arrivare alle sue stanze, tutta colma di un acuto senso di disagio. Là, si siede sulla sponda del letto e riflette, con le mani, stavolta, intrecciate in grembo, sulla servitù, che all’inizio l’ha accolta con tanta gioia, ed ora, inspiegabilmente, sembra ignorarla. Al castello paiono esservi solo persone taciturne, o affatto mute.

Si dà a passeggiare, in compagnia di due ancelle addette alla sua persona, nei dintorni del castello, quindi preferisce farne a meno, vista la loro scontrosità. Alle spalle del castello, vi sono grandi prati, e grandi pendii e, là, spesso ella coglie fiori, ancora una volta così diversi da quelli che fanno traboccare i prati della sua terra lontana. I fiori della nuova terra sono d’aspetto umile e d’un genere più resistente, ma Lyra li ama comunque, malgrado alcuni cardi a lei sconosciuti le abbiano punto la mano, ed i soffioni si siano dispersi al vento, sdegnosi. Ma vi sono le campanelle azzurre, simili a tanti piccoli occhi, a guardarla, le margherite, così semplici nella loro bellezza, i ranuncoli gialli, simili a bottoni preziosi, e soprattutto i cespugli di rododendri che accendono, qua e là, le vallate.

Salire i pendii per cogliere i fiori l’affatica, poiché non è abituata alle scoscesità, ma com’è bello, dopo, vedere il mondo da quelle altezze! In alcuni punti si riesce a scorgere persino le montagne degli Orgogliosi, quando sipari di nuvole e foschia si sollevano, uno dopo l’altro, mostrando nuovi scenari. Ancora una volta, a differenza delle pianure e delle colline della sua terra, modellata dagli uomini, quegli esseri di roccia dall’immenso grembo sono là da millenni, chiusi nella loro aspra solitudine, sordi e silenziosi come divinità, e quelle solitudini assolute sono ciò che più le incute paura e la muove, anche, a pietà, quasi essi siano stati, chissà quando, terribili giganti pietrificati per le loro colpe. Durante il giorno, il disco è una presenza immobile ed immutabile, ed il cielo all’alba o al tramonto avvicenda nuvole serpiformi ed infuocate, carico d’una sorta di tragicità; la sera, le montagne accumulano ombre, ed esse si dipartono dai crinali, nette, e riempiono avvallamenti e strapiombi, come vino generoso versato da una mano invisibile. La notte, ella sente la presenza delle montagne, oscura nell’oscurità, quasi un lento ronfare d’animali reso ancora più inquietante dalle tenebre imperanti.

***

Con la punta del piede Lyra fece rotolare un ciottolo, che, rimbalzando, finì nelle acque del laghetto formato dalla cascata. A quel tonfo, fece seguito il guizzo d’un pesce, forse una trota o un luccio, che, spaventato dal rumore improvviso, si dileguava nella profondità delle acque, ed ella ritornò a seguire il corso dei suoi pensieri.

        

Un giorno, sollevando lo sguardo dal telaio, dove sta lavorando ad un grande ricamo d’uno dei cicli cavallereschi degli Innocenti, la principessa capisce, d’un tratto, il motivo della malinconia che sempre più spesso l’assale: la solitudine. Giungendo nella nuova terra, ha sperato di trovare in Denebola un’amica, se non addirittura una confidente. La cognata appartiene ad un ramo collaterale della famiglia degli Orgogliosi – la stirpe che governa il cosiddetto Terzo Regno, le cui montagne ella scorge, nelle giornate limpidissime, dalle torri del castello. Giovanissimo, Fomalhaut l’ha sposata, ottemperando all’inespressa ma antica consuetudine di contrarre matrimoni fra le famiglie dei regni alleati: i Crudeli con gli Orgogliosi, gli Innocenti con i Mistici, consuetudine che il principe Aldebaran ha apertamente violato chiedendo lei in sposa. Senza farsi scoraggiare dalla tiepida accoglienza riservatale da Denebola, la sera del loro arrivo al Castello-Fortezza, Lyra le ha inviato doni e scritto lettere in cui ha proposto di recarle visita. Ma la regina non ha mai ringraziato per i doni ricevuti, né risposto alle sue profferte d’amicizia, e le due donne sono rimaste lontane, ognuna chiusa nel proprio castello come farfalle nei bozzoli.

Lamia di John William Waterhouse
(1905) Auckland Art Gallery
http://www.aucklandartgallery.com/  

In quanto allo sposo Aldebaran, egli s’assenta spesso per andare a dirimere contese sorte nei villaggi, o recarsi dal re suo fratello il quale lo convoca di frequente. Solamente dall’agitazione che coglie la servitù la principessa intuisce l’imminenza del suo ritorno e, dopo poco, il principe-mago fa il suo ingresso al castello. Lyra lo accoglie, radiosa; egli è sempre lieto di vederla, s’informa su come abbia trascorso il tempo in sua assenza, si trattiene qualche giorno e riparte; e la principessa si ritrova a salutare, ai piedi del castello, Aldebaran che, ancora una volta, s’allontana verso chissà quali mete.

Fissando le acque del laghetto, la principessa iniziò a desiderare fortemente un figlio. Del resto, si disse speranzosa e sorridendo fra sé, lo sposo, quando si trovava al castello, giaceva con lei ogni notte e Lyra sorrise al pensiero d’un piccolo compagno di giochi forse in arrivo: la lieta novella non avrebbe dovuto tardare.