Dopo aver fatto
conoscenza dello scrittore inglese Wilkie Collins
con La Pietra di Luna, vi propongo ora
un altro dei suoi romanzi, dal titolo un po’ severo di La Legge e la Signora, ma imperdibile sia per gli amanti della narrativa di solido mestiere che per quelli del romanzo poliziesco. Personalmente
lo ritengo persino superiore, per certi versi, a quello che ho già recensito (*) e
che è considerato il suo capolavoro e, se
dovessi definirlo con un aggettivo, userei spettacolare. Si tratta di un romanzo teatrale nel senso più ampio
del termine, con scene ben collocate nel tempo e nello spazio, ambientazioni in dimore che profumano di tradizioni e vecchia Inghilterra, colpi di scena e capovolgimenti nelle situazioni, dialoghi da
parte di personaggi ben delineati nella loro psicologia e che è impossibile confondere.
La copertina del romanzo,
nell’edizione per e-reader
Il romanzo fu pubblicato nel 1875 in ventisei puntate sul Graphic e quindi riunito in tre volumi e
poi in un volume unico. È la narrazione in prima persona delle sfortunate
vicende coniugali di Valeria Brinton. La giovane convola a nozze con il pacifico Eustace
Woodville, ma un mistero circonda l’uomo, e l’unione nasce sotto una cattiva
stella. Grazie ad un serie di circostanze, Valeria scopre che il
marito è stato accusato dall’omicidio della prima moglie e non completamente
riabilitato. Alla fine del processo, infatti,  nei suoi confronti è stato emanato il “verdetto
scozzese”, equivalente alla nostra assoluzione per insufficienza di prove. Né
colpevole né innocente e, quindi, un eterno sospettato; per la società dell’epoca,
con la reputazione sporcata da una macchia indelebile. Eustace abbandona la
moglie ad una settimana dalle nozze, in preda alla vergogna per averle taciuto il suo passato, ma anche perché ormai lei conosce la verità. A questo punto, però,
contro il parere di tutti coloro che la circondano (marito, parenti, suocera,
amici di vecchia data, amici del marito…), Valeria s’impegna in un’impresa
all’apparenza impossibile, ciò che i migliori legali del regno non sono riusciti
a fare: dimostrare l’innocenza del marito.
Da dove partirà questa giovane donna per iniziare la sua
indagine? Orfana di entrambi i genitori ed allevata dallo zio, decano di campagna,
Valeria è inesperta del mondo, delle sue pastoie e delle sue trappole. Non è un’ingenua,
però, ed è una grande osservatrice: un’allieva
che impara in fretta. Inoltre, ha tutte le qualità per destare le simpatie in
chi la circonda, e per ottenerne l’aiuto (e di conseguenza piacere al lettore). Per
dirla in due parole, è una donna moderna che si muove in maniera autonoma,
spesso in contrasto con i cliché sociali, animata da forte determinazione, uno
scarso rispetto per le convenzioni e l’amore che porta per il marito. Come in La
Pietra di Luna
si assiste alla nascita del romanzo giallo, il bel personaggio
di Valeria inaugura la serie dei detective al femminile; esperimento tanto più
notevole da parte dell’autore se pensiamo che la narrazione è condotta in prima
persona, e che quindi Wilkie Collins ha dovuto immedesimarsi nella mentalità di
un’esponente del sesso opposto, cosa non facile persino ai giorni nostri (la cosa vale anche all’incontrario, naturalmente!).
Come dicevo, il romanzo è pregevole per una serie di
aspetti, il primo dei quali è naturalmente dovuto alla storia gialla, in cui il
lettore agisce fianco a fianco della protagonista come se fosse presente,
cogliendo indizi e collegandoli, ragionando secondo logica e districando la matassa dei fatti,
cogliendo particolari sfuggiti ai più, di quelli che “fanno la differenza”. Il
secondo motivo è la straordinaria caratterizzazione dei personaggi: Valeria
stessa, suo marito (mite ed effeminato e con le lacrime sempre in tasca, tanto quanto la moglie è decisa e caparbia, come fossero due facce
opposte della stessa medaglia), il devoto impiegato Benjamin, l’impareggiabile, anziano maggiore Fitz-David che, nonostante l’età, rimane
un accanito dongiovanni ed estimatore del sesso femminile, la ragazzotta
volgare e aspirante cantante lirica, la spregiudicata nobildonna e numerosi altri che attraversano il cammino
della protagonista, ora per aiutarla, ora per scoraggiarla, ora proprio per
contrastarla.
Portrait of Arthur Atherley as an Etonian
di Thomas Lawrence, 1871 circa
Los Angeles County Museum of Art
http://www.lacma.org/
Ma il personaggio in assoluto di maggior rilievo dell’intera
storia, cui vorrei dedicare un’analisi a parte e che costituisce la terza
ragione per cui bisognerebbe leggere il romanzo, è Miserrimus Dexter, una delle
creature più formidabili (non so se si possa scrivere ‘più formidabili’, ma non m’importa) che abbiano mai solcato le pagine della letteratura di
tutti i tempi  e degna di stare al pari con alcuni personaggi di Charles Dickens.
Dexter è un uomo giovane e ricco, confinato su una sedia a rotelle in quanto
privo dalla nascita degli arti inferiori. Il suo stesso nome, Miserrimus, lo
definirebbe infelicissimo. Tuttavia questo nome non rispecchia appieno quello
che è: un impasto di genialità e follia, talento pittorico, musicale e
letterario, sincerità e falsità, turpitudine e devozione, eleganza e sciatteria, bellezza fisica nella
parte superiore del suo corpo e deformità in quella inferiore.

Dexter è
tutto e il contrario di tutto, ed è con questo avversario di caratura eccezionale
che Valeria ha gli incontri più grotteschi e sorprendenti di tutto il romanzo. Come un deus ex-machina, Dexter funge da detonatore per chi lo circonda, intorbida o rende limpide le
acque delle ricerche di Valeria, e soprattutto fa risuonare la corda della
tensione sessuale nelle scene in cui sono insieme. Nonostante il suo aspetto
repulsivo e attraente insieme, l’uomo è una specie di satiro e non perde
occasione per tentare Valeria che, con lui, si trova sempre in pericolo, come non si stancano mai di ammonirla i suoi amici (“Mai rimanere sola con Dexter!”). A fargli da serva, cane da guardia e adoratrice, la cugina Ariel che, nonostante il nome evocante grazia e leggerezza (assegnatole, com’è ovvio, dal perfido padrone), è un concentrato di goffaggine e stupidità. Entrambi si muovono in una dimora che è essa stessa un palcoscenico di teatro: una sinistra magione ingombra di oggetti d’antiquariato, tendaggi, caminetti, ombre e luci.

Che dire d’altro? Qui mi taccio, trattandosi di una storia
gialla e non potendo rivelare troppo. Vi esorto solamente a leggere e a lasciarvi condurre per mano dall’abilità di Collins, e indagare tra gli ambienti di questo romanzo, proprio come se foste Watson al
fianco di uno Sherlock Holmes donna di assoluto fascino.
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(*) Link alla recensione del romanzo La Pietra di Luna