L’antologia dal provocatorio titolo “Racconti scritti con i piedi” di Autori Vari ha avuto una genesi assai curiosa. Gli autori dei racconti per la massima parte non si conoscono e sono disseminati da un capo all’altro dell’italica penisola. Quello che accomuna queste persone, invisibili negli eccelsi circuiti dell’alta editoria, e che si frequentano solo virtualmente grazie agli infiniti percorsi della Rete, è la loro passione per la scrittura. Già, ma che cosa c’entra il piede, ovvero i piedi, e perché renderli addirittura protagonisti di un’antologia? Come tutti sanno, difatti, i piedi sono parti del corpo costantemente disprezzati, e tirati in causa solo per sentenziarne al negativo (“lavoro fatto con i piedi”, “pensare con i piedi”, “mostrare pedanteria”…), per sottolineare il loro scarso valore (nel gioco degli scacchi, il pedone è il pezzo più sacrificabile in assoluto, un’opera pedestre equivale a scarsa originalità)… o per confermare la loro nulla eleganza (avere grandi piedi è sintomo di goffaggine, dai piedi liberati dalle scarpe di solito emana un cattivo odore…).

La copertina dell’antologia,
realizzata dall’eclettico Andrea Ruffolo

Sdegnati dalla mancanza di considerazione e dalle umiliazioni cui i piedi sono sempre stati sottoposti, gli autori hanno così deciso di unire le loro forze, impugnare la penna o digitare sulla tastiera del computer o di un cellulare… e diventare veri e propri “cantori” di questi umili servi gemelli che sostengono il peso della nostra deambulante casa-corpo, chiusi nelle calzature come animali in gabbia. Essi sono diventati così i protagonisti indiscussi delle storie scritte e cantate da questi aedi virtuali. La cucitura delle storie, ad opera del paziente sarto Andrea (anche illustratore per la copertina), ha dato vita a questa raccolta di narrazioni dall’ambientazione attuale, appena trascorsa o antichissima, colme di stringenti metafore o di misteriose domande, e dai generi e registri linguistici assai svariati, dove ogni lettore potrà cercare ciò che sente più affine alla sua sensibilità e al suo gusto.

Troverete quindi il mondo altro, metafisico e raggelato di Gianni Actis Barone e la passeggiata notturna che diventa discesa negli abissi nella Londra sulfurea di Stefano Adami. Farete conoscenza con le scarpine di vernice di Porfirio, creatura che sembra scaturita da un dagherrotipo ottocentesco, ed è invece nata dall’immaginazione di Nadia Bertolani; e avrete modo di sorridere alle prodezze seduttorie di Heinrich Karl Liebermann, contabile di terza classe impegnato nel suo tragitto quotidiano sul tram, nell’Austria felix di Alfonso La Licata.

Ambientazioni che diventano, quindi, anche luoghi mentali e paralleli in cui perdersi, storie situate in contesti moderni, ma anche in mondi antichi o antichissimi, e come tali svaniti nel tempo. L’Arte e la ricerca dell’amore irrompono nello studio della talentuosa Antonia, figlia del pittore Paolo Uccello, vissuta nella Firenze del 1470 e ricreata dalla penna di Stella Stollo. E, nel racconto da me proposto, la Storia fa da sfondo alle vicende del medico sufi Mandhur che, in obbedienza ad una voce arcana, parte per un lungo viaggio scomparendo nel calore incerto del deserto, mentre incombe l’invasione crociata del 1099.

Lo Spinario – Musei Capitolini – I secolo A.C.
Fotografia di Marie-Lan Nguyen (2009) –
Anche lui alle prese con il suo piede…

Per contrapposizione, il Niente ha la fisionomia di Dario nella storia di Anna Luisa Manca – non ci sono motivazioni eroiche, talenti dissipati per troppa intelligenza matematica, comprensioni geniali come illuminazioni – mentre l’eccesso spadroneggia nella storia di Andrea Ruffolo – in una giocoleria linguistica dove si mischiano locuzioni latine, calembour, citazioni letterarie, espressioni dialettali, riferimenti arguti alla contemporaneità, frasi in lingue straniere. E, in questo senso, nell’antologia ci sono autori che hanno scritto a quattro mani, come Patrizia Tagliamonte e Andrea Guerrieri, dando luogo a un’originale partita di ping pong via sms: un esperimento calibrato su elementi riconoscibili e provenienti dall’immaginario cinematografico americano.

Altre narrazioni riguardano invece l’attimo, quel frammento di tempo che può fare la differenza tra la vita e la morte, la tragedia o la farsa, la salvezza o la perdizione, come ci narra Vladimiro Forlese nel suo racconto dal taglio politico e tuttavia intriso di umanità; e l’attimo è anche quello in cui si decide il destino dell’avversario-potenziale amante, nel crudele racconto di Vanni Spagnoli dove la danza scandisce il ritmo della seduzione e della morte.

Ma ci sono anche piedi vissuti come metafora della difficoltà di relazione con gli altri, ostili e pronti allo sberleffo a cominciare dai propri familiari, dove la protagonista del racconto di Marilù Domenici narra in altra maniera la storia di se stessa e della sua insofferenza alle costrizioni. E, sempre per rimanere nell’ambito del racconto familiare, un semplice episodio di monelleria raccontato da Clementina Daniela Sanguanini diventa memoria del dolore… e del tempo che trascorre lasciandoci vecchi-bambini mai davvero cresciuti. Vecchi-bambini tenerissimi sono invece “i due vecchi a quattro calli” di Alessandra Scagliola, che sanno distinguere, con l’esperienza e l’affetto reciproco, la moneta falsa da quella vera.

Infine, il racconto di Antonio Capitano, non a caso citato per ultimo in questa breve carrellata. Nella sua perorazione l’autore chiama in causa scrittori famosi, disquisisce di filosofia, sottolinea il valore delle vecchie professioni ormai estinte, come il calzolaio. E, nel suo racconto, i piedi, ormai riscattati e promossi ad esseri senzienti, addirittura reclamano quello che è scritto nella Dichiarazione di Indipendenza Americana: la ricerca della felicità. Quella che ci accomuna tutti quanti – come autori, lettori, o più semplicemente come esseri umani.