Nella Torre della Magia, Aldebaran sedeva sul trono di pietra, e reggeva nell’incavo del braccio suo figlio Antares addormentato. Il Mago del Nord indossava il nero mantello della magia, e con un lembo di quello aveva avvolto il bambino. Dalla punta aperta del tetto, scendeva la neve a mulinelli, che cadeva nel centro del Cerchio, s’ammonticchiava e si scioglieva in una larga pozza bagnata. Tutt’intorno a quel centro, erano oscurità e silenzio invernali.

Creazione del Mondo IV
di Mikalojus Konstantinas Ciurlionis (1906)

Aldebaran sorrise fra sé nel pensare a quello che era accaduto quel giorno. Lyra era entrata nella stanza da letto dov’era il piccolo, e aveva emesso un grido: chino sulla culla del bambino era quello che le era parso un enorme ragno nero. A quel grido, l’aracnide s’era rizzato verso di lei, solo in quel momento aveva riconosciuto lo sposo. “Che cosa ti succede, mia signora? Ti pare strano che io guardi mio figlio?” le aveva chiesto egli, con freddezza che l’aveva raggelata da capo a piedi. “Perdonami,” aveva balbettato Lyra, “ma il tuo mantello mi ha tratto in inganno”. Sopra l’abito, Aldebaran portava un mantello nero, sui cui lembi erano ricamati, con filo d’oro, simboli misteriosi. “Ti lamenti ch’io non mi curi di mio figlio,” continuò egli, “e, quando lo faccio, te ne spaventi.” “Perdonami,” ripeté la giovane, contrita. Fra i due sposi v’era stata una lunga pausa, quindi il Mago del Nord aveva sfoderato uno dei suoi rari sorrisi, che mutavano interamente la fisionomia severa ed avevano il potere di fugare qualsiasi dubbio: non intendeva calcare la mano con lei. “Hai ragione. Uso questo mantello durante i riti di magia. Sono appena sceso dalla Torre, e ho scordato di toglierlo”. Sollevando la mano destra aveva sganciato la fibbia d’oro, liberato il mantello e con un movimento circolare del braccio l’aveva levato. Poi, le era passato davanti, le aveva dato una veloce carezza ed era uscito dalla stanza. Aldebaran sorrise di nuovo nel pensare a quanto quella donna potesse essere stupida e ingenua. Era molto bella, sì, e dolce, ma solo in quello consisteva il suo valore. Occorreva purtroppo che si occupasse ancora del bambino per qualche tempo. Cacciò con un movimento della mano l’ultimo pensiero dedicato a Lyra, come si scaccia una mosca fastidiosa.

Si curvò a scrutare il viso del piccolo dormiente e, a quel movimento, Antares sbadigliò smisuratamente, e aperse gli occhi. Ancora gonfi di sonno, essi errarono, confusi, finché non incontrarono il viso che li sovrastava. Per un pezzo sostarono su quella fisionomia, quasi ne fossero affascinati, poi una piccola mano spuntò dal mantello, schiuse le dita e si levò, incerta, fino a sfiorare la barba di Aldebaran. Il mago sorrise, lasciando che il figlio gli esplorasse i lineamenti, giocasse con la barba e gli tirasse i capelli. Poi, in uno di quei mutamenti d’umore così tipici dei bambini, la bocca del piccolo si contrasse in un vagito come se stesse per piangere… il mago sollevò l’indice e il medio della mano sinistra, e all’istante Antares si rasserenò, sorrise, chiuse gli occhi e sprofondò di nuovo nel sonno della magia.

Allora, il Mago del Nord si alzò, scese i gradini di pietra, entrò nel doppio Cerchio Magico. Con un movimento della bacchetta vi tolse la pozza generata dalla neve sciolta, deviò i fiocchi che ancora scendevano, e depose il bambino addormentato nel centro esatto del cerchio. Poi, ritornato al trono di pietra, si pose davanti al leggio, aperse il volume dalla copertina scarlatta e alzò la bacchetta magica. Una luce brillante, originata dalla bacchetta, bucò le tenebre, si diresse sul bambino, lo avvolse. Antares seguitò a dormire, ignaro e fiducioso, mentre i fiocchi di nave, cadendo dal cielo, scivolavano ai suoi lati come sull’orlo convesso di una cupola invisibile che lo proteggeva, ma, al contempo, lo teneva prigioniero.

***

La principessa Lyra saliva le scale circolari, scale che, avvolgendosi su se stesse come il guscio d’una lumaca, conducevano in alto, nel cuore della Torre della Magia, e la sua lunga veste si trascinava sui gradini di pietra, passo dopo passo. Dopo una salita che interminabile, ella giunse alla sommità della Torre e si trovò davanti ad una porta. Rimase un attimo immobile, in preda al batticuore. Non era mai entrata prima, perché, nonostante le sue promesse, Aldebaran non ve l’aveva mai condotta. Infine pose la mano sull’anello di ferro, e spinse… senza emettere il minimo scricchiolio, la porta le si aperse dinnanzi, ed ella entrò e sostò. 

Fairy Tale (III)
di Mikalojus Konstantinas Ciurlionis (1907)

Rimase sorpresa, sulle prime, da ciò che vide: il pavimento lastricato di pietra era nudo, ma, dal tetto, luce ed
aria, entrando, illuminavano due Cerchi Magici, incisi al centro della stanza. Attorno a lei, il muro mostrava una superficie priva d’abbellimenti. Quattro finestrelle, corrispondenti ai punti cardinali, s’aprivano a distanza regolare fra loro, e lasciavano filtrare un debole chiarore. La principessa si mosse cautamente lungo i cerchi, attenta a non entrarvi e a non sfiorare, neppure con l’orlo della veste, le parole magiche incise fra l’uno e l’altro, ed osservando, invece, il trono di pietra posto a settentrione. Accanto ad esso, era una piccola ara, su cui erano posati degli oggetti rituali ­– un pugnale, una coppa, una bacchetta e un pentacolo. Riconobbe quegli oggetti, poiché li aveva visti fra le mani della madre, anche se Mira non le aveva mai permesso di toccarli. Sette volumi dalla copertina scarlatta erano impilati accanto agli oggetti e, per un attimo, la principessa fu tentata di avvicinarsi, aprire e sfogliare le pagine di quei tomi, ma una sensazione indefinita, come di pericolo, le si insinuò nell’animo ed ella desistette dal suo proposito ancor prima, quasi, di formularlo. Non v’era altro, nella stanza.

Decise di andarsene. Tornò sui suoi passi, costeggiando i Cerchi Magici, si volse, diede un’ultima occhiata alla stanza e, rassicurata, si chiuse la porta alle spalle. Ignorava che il primo di una lunga serie di rituali era finito. Che, seduto sul trono di pietra, Aldebaran l’aveva guardata per tutto il tempo, invisibile, e che il piccolo Antares seguitava a dormire, anche lui invisibile, al centro del cerchio.