La copertina del romanzo,
edito da Sellerio
Il romanzo Un covo di vipere è stato pubblicato nello scorso 2013, ma realtà fu scritto dall’autore nel 2008. Come spiegato da Camilleri nella nota finale, la sua pubblicazione era stata
rimandata per non risultare troppo vicina a quella di La luna di carta. Comunque sia, leggere una storia che ha come protagonista il
commissario Montalbano è affidarsi al proprio ristoratore di fiducia nella
scelta di un piatto, mettersi nelle mani della governante capace per l’amministrazione
della casa, acquistare un libro consigliato dal libraio d’elezione: non si
viene mai delusi! Fra l’altro devo confessare di essermi accostata solo in
tempi recenti alla prosa di Camilleri, intimidita com’ero da quel misto tra
italiano e dialetto siciliano che pensavo faticoso da seguire. Niente di
più sbagliato, perché una volta che si è acquisita dimestichezza con i termini,
si legge ogni storia d’un fiato e ogni descrizione o dialogo diventa
infinitamente più godibile proprio grazie al dialetto e alla grande cultura
dello scrittore, che però non appesantisce mai la narrazione.
Così avviene anche questo romanzo che ha come protagonista l’ormai
celeberrimo commissario Salvo Montalbano: Un
covo di vipere
. In modo del tutto singolare, il romanzo si apre con un
sogno: Montalbano e la sua eterna fidanzata Livia (che per certi versi
ricordano un po’ Mickey Mouse e Minnie, sempre giovani e mai in procinto di convolare
a nozze) si ritrovano persi in un quadro di Henri Rousseau detto il Doganiere. Questo
è però un luogo diverso dalla primitiva foresta dell’Eden dove girare nudi ed
innocenti: addirittura, un cartello all’ingresso avvisa che si tratta di una ‘foresta
vergine’, il che è una contraddizione in termini. Salvo e Livia sono nudi, ma
con le parti intime coperte da foglie di fico di plastica, comprate ad una
bancarella all’entrata, e che danno parecchio fastidio. Il commissario viene svegliato dal suo strano sogno da qualcuno che, sul terrazzino della casa affacciata sul mare, fischietta
Il cielo in una stanza in mezzo al
frastuono del temporale: si tratta di un vagabondo che cerca di ripararsi dalla
pioggia. Il commissario, con il suo solito acume, capisce che non è un clochard
qualsiasi e che non è capitato là per caso, anche perché l’uomo si esprime in un italiano corretto e colto.
Il sogno di Henri Rousseau (1910)
Museum of Modern Art – New York
http://www.moma.org/
Proprio quella mattina, al commissariato giunge
la notizia dell’omicidio del ragionier Cosimo Barletta nella villa usata per passare
la notte con le sue ultime conquiste femminili, dove è stato freddato con un
colpo di pistola alla nuca. Al di là delle sue assidue frequentazioni con il gentil sesso,
la vittima sembra essere un uomo scialbo dall’esistenza tranquilla. Montalbano
dà avvio alle indagini e, passo dopo passo, rivelando sempre nuovi tratti negativi nella personalità dell’uomo assassinato, scoperchia una serie di
orrori e nefandezze sepolti sotto segreti, reticenze, omissioni, ricatti, vere
e proprie menzogne. Fa inoltre la conoscenza con la famiglia di Barletta, il classico covo di vipere, i cui legami e
pulsioni tra i componenti sono dettati principalmente dal vizio, dal denaro e
dal sesso.

Così Montalbano indaga, tra una mangiata alla trattoria di Enzo, dove
si preparano piatti che mettono l’acquolina in bocca solo a leggerne, le “azzuffatine” con Livia, giunta a trovarlo, la malinconia per la solitudine e il
tempo che passa, gli esilaranti incontri-scontri con l’iracondo medico legale
Pasquano cui non bisogna proprio rompere i cabasisi. La soluzione del giallo appare ben presto chiara alla mente del
lettore, non altrettanto al commissario e nemmeno ai componenti del suo staff –
l’amico Mimì Augello, il fido ispettore Fazio, l’impareggiabile Catarella ideatore di neologismi da letteratura – nonostante l’esperienza che possiedono e le ipotesi su cui discutono
(e a questo proposito mi sono domandata se sia stato fatto di proposito da
Camilleri o sia invece un punto debole nel giallo).

Le vicende sono ambientate in una Sicilia abbagliante per la
sua bellezza, ma cruda e terribile per quei suoi miti ancestrali che, ancora oggi, ci accomunano e ritornano a galla. E, non da ultimo, per il tema di fondo che Andrea Camilleri tratta
con grande delicatezza e umanità, tramite la scelta finale compiuta dalla sua invenzione
letteraria, il commissario Montalbano. Un romanzo godibilissimo che si legge d’un
fiato.