In una delle Grotte d’Ossidiana, Antares sedeva al centro
d’un doppio Cerchio Magico identico a quello inciso sul pavimento di pietra
della Torre. Davanti a lui il Mago del Nord, avvolto nel suo mantello rituale,
levava a mezz’aria la bacchetta. Da questa, scaturiva una luce sottile, che andava a sfiorare il viso del bambino, fiduciosamente levato verso il
padre, accarezzava i riccioli castani, simile ad un’ala d’uccello che plana, si
posa, ancora si libra nel cielo. Il bambino non pareva prestare attenzione a
quella luce che gli guizzava attorno, intento com’era a seguire ogni minimo
movimento di Aldebaran, trattenendo il respiro, ed essa aveva
continuato la sua danza misteriosa fino a quando non era stata chiamata
indietro, nella punta della bacchetta magica di Aldebaran, e là s’era spenta.
Aquarius (Ciclo dello Zodiaco)
di Mikalojus Konstantinas Ciurlionis (1907)

Solo a quel punto, l’attenzione di Antares fu attratta da qualcosa di estraneo all’alta e scura figura davanti a lui: un passero, entrato per sbaglio nelle Grotte, frullava qua e là contro le pareti aguzze alla ricerca d’una via d’uscita, finché uno slancio più forte non lo fece urtare contro la parete e cadere malamente al suolo. Il bambino guardò il padre con aria interrogativa e, al suo cenno d’assenso, s’alzò, uscì dal Cerchio Magico e arrivò vicino alla bestiola. La raccolse, delicatamente, fra le mani, la accarezzò con la punta delle dita.

Il Mago del Nord sollevò la mano sinistra. “Uccidilo. Uccidi il passero.” Il bambino sollevò la testa ed un’espressione stupita gli si diffuse sul viso. “Ucciderlo? Perché, padre?” “Obbediscimi, Antares,” comandò Aldebaran, ed egli alzò l’indice e il medio della mano. Senza volerlo, le dita di Antares si serrarono sull’uccellino, che iniziò a pigolare e a sbattere le ali, e a becchettare la manina del bambino che lo stritolava, pochi istanti prima così tenera e protettiva. Poi, dopo istanti infiniti, i rapidi e disperati movimenti cessarono, e sopravvenne il silenzio. Aprendo la mano, Antares vide che, dell’uccellino, era rimasta una misera poltiglia sanguinolenta di carne e piume.

Rimase alcuni istanti sconcertato, quindi guardò il padre, che gli sorrise. “Gettalo via, poi ritorna all’interno del Cerchio,” gli ordinò il Mago. A quel sorriso, il bambino andò a gettar via il corpicino inerte. Poi ritornò nel Cerchio Magico, con la mano ancora lordata di sangue e piume e lo sguardo fisso nel vuoto.

***

Imbruniva, quando il principe dei Crudeli e suo figlio furono di ritorno al castello. Tornavano in groppa al cavallo di Aldebaran, ed il cielo al di sopra delle montagne, così terso e chiaro durante il giorno, era lordato di nuvole nere dalle striature violacee, che sembravano far ressa a nascondere le prime stelle della notte.

Aldebaran, col figlio avvolto nel mantello, smontò da cavallo. Da un angolo dell’ingresso, Lyra, inaspettata, si fece incontro ad entrambi, ansiosa di riabbracciare il bambino. Aveva saputo dalle serve che Aldebaran lo aveva condotto con sé senza dire dove, e non aveva avuto pace per tutta la giornata. Scostando il lembo del mantello da cui era avvolto Antares, ella vide con sgomento un visetto pallido e due labbra tremanti, come di chi abbia visto l’orrore, e con uguale sgomento, al suo accostarsi, vide quel viso e quelle labbra affondare ancor più contro il petto del padre. Quando fece l’atto di prenderlo fra le braccia, Antares si aggrappò al collo di Aldebaran e respinse Lyra, duramente. Pareva avercela con la madre per qualcosa che gli avesse taciuto a lungo, e il padre gli avesse, al contrario, rivelato. “Ecco,” dicevano quel viso e quei gesti, “io ora so. E tu mi hai nascosto la verità.” Dalle nuvole violacee nacque un brontolio sordo, ed una goccia di pioggia cadde nella polvere della corte.

L’Inondazione (V)
di Mikalojus Konstantinas Ciurlionis (1907)

Alla principessa, ferita, spuntarono alcune lacrime. “Antares,” lo chiamò, dolcemente. Nell’udire la voce della madre, per lui nonostante tutto irresistibile, il bambino volse la testa sopra la spalla e la guardò di sbieco, ma come si guarda un’estranea colma d’un affetto fuori luogo. Lyra tentò ancora d’attirarlo a sé, ed Antares la respinse, ancora, determinato, con ambedue le mani. Le gocce di pioggia presero a cadere, grosse e copiose, dal cielo, e a sporcare il terreno simile ad una malattia purulenta sulla pelle d’un ammalato.

“Non mi riconosce più,” mormorò la povera Lyra, “dopo appena qualche ora di lontananza.” Era inorridita, in realtà, ma non poteva mostrarlo ad Aldebaran troppo chiaramente.“Si deve solo riabituare alla tua presenza, mia signora,” commentò Aldebaran, imperturbabile, ma con una sfumatura di ironia nella voce vellutata. Aggiunse: “I bambini, quando sono così piccoli, dimenticano in fretta i visi più familiari. Fra alcuni giorno mostrerà di ricordare.”

Padre e figlio fecero il loro ingresso al castello, e la madre li seguì, tenendosi indietro, il volto sfigurato dall’angoscia e la mente in subbuglio. Alle sue spalle, la pioggia scrosciava ormai violenta nella corte.