Famoso è il detto “Per un punto Martin perse la cappa”. La storiella è nota: i superiori dell’abate Martino gli affidarono l’incombenza di dipingere sul portale della sua abbazia una scritta in latino. Questa recitava così: PORTA PATENS ESTO. NULLI CLAUDUTUR HONESTO, cioè “Questa porta sia sempre aperta. A nessun galantuomo sia mai chiusa in faccia.” Martino dipinse la frase, ma sbagliò ad inserire il punto e la frase divenne: PORTA PATENS ESTO NULLI. CLAUDUTUR HONESTO, cioè “La porta non si apra per nessuno, si chiuda per l’uomo onesto.” Non un bel biglietto da visita per un’abbazia che si rispetti! In questo modo Martino perse la cappa, cioè la possibilità di far carriera, e tutto per colpa di un punto mal collocato. Il detto è usato per far capire che le minuzie, cioè quelle che tendiamo a trascurare, si rivelano spesso decisive e che pagheremo cara la nostra negligenza.
Ritratto di Enrico VIII di Hans Holbein il Giovane (1540 circa): un bell’esempio pittorico per il punto fermo! Il personaggio era un vero e proprio macigno. |
Cominciamo dal sovrano indiscusso di questa corte: il punto fermo o semplicemente punto.
Con questo segno si interpunzione si indica che un periodo del discorso è concluso e che bisogna fermarsi prima di riprenderlo. Nel parlare equivale a una pausa più o meno significativa in cui si riprende il fiato, per poi proseguire.
Ci sono autori che usano il punto dopo ogni parola o al massimo due-tre parole, producendo effetti del tipo “Spalancò gli occhi. Sedette. Pianse. Voleva morire. Balzò in piedi. Corse fuori. Scomparve per sempre”, e a questo punto viene da pensare “e meno male”. Si tratta di quello che chiamo “stile singhiozzante”, con l’uso del punto soprattutto per separare tra loro i verbi, che per loro natura sono la parte più dinamica della frase; a me non piace, ma de gustibus non est disputandum, come dicevano gli antichi e per prendere a prestito un’altra frase in latino. Un esempio meno estremo di questo modo di suddividere il periodo, e assai più evocativo e poetico, è questo passaggio di Alfredo Panzini:
Mattino di primavera. Sedile dei giardini pubblici al margine del laghetto romantico dove vanno a spasso le oche bianche. Dolce silenzio, dolce sole. Cespugli di serenelle spandono il loro odorino amaro. Romeo e Giulietta siedono sul sedile. Romeo ricama in silenzio, col bastoncello, segni sconsolati sopra i sassolini. Giulietta si asciuga col fazzolettino una lagrima.
Di contro, ci sono autori che inseriscono pochissimi punti, costringendo il lettore ad una specie di apnea che può durare anche per un’intera pagina in fondo alla quale si riemerge tirando il fiato e con i polmoni in fiamme. Eccovi un esempio tratto da Ho servito il re d’Inghilterra di Bohumil Hrabal edito da e/o:
E poi svegliavamo il domestico, un gigante che dormiva tutto il giorno e mangiava tutti gli avanzi dei banchetti notturni, un numero tale di porzioni da far venire il capogiro, intere zuppiere di insalata, quello che non eravamo riusciti a mangiare né noi, né le cameriere, il domestico se lo finiva tutto intero, tutto quello che avanzava nelle bottiglie se lo scolava lui, e aveva una forza enorme, per cui la notte indossava un grembiule verde e si piazzava a tagliar la legna nel cortile illuminato, non faceva nient’altro che tagliar legna, con melodici colpi di accetta tagliava, ogni giorno sul far della sera stava lì a far legna, tutta la notte a tagliare, naturalmente io avevo capito, e poi lo sentivo anche bene, che lui tagliava la legna sempre quando da noi veniva qualcuno, e da noi arrivavano solo automobili del corpo diplomatico, gruppi di automobili, sempre e soltanto la sera tardi o di notte, e il domestico tagliava la legna…
e siccome a questo punto ho pietà di voi, e non vorrei incorrere in problemi di diritti riproducendo un passaggio troppo lungo, vi dico che il testo prosegue per un’altra ventina di righe prima di incontrare il punto fermo. Con tutto, questo romanzo è delizioso, ma certamente si tratta di una lettura impegnativa.
Ricordo infine che il punto serve nelle abbreviazioni, come ad esempio: on. = onorevole, agg. = aggettivo, femm. = femminile, mentre nei titoli dei libri, dei giornali, nelle didascalie che non comportino una frase intera, il punto solitamente non si mette.
Chevalier d’Eon di Thomas Stewart National Portrait Gallery, London http://www.nationalgallery.org.uk/ Il primo audace esempio di “travestito” nella Storia: uomo o donna, punto o virgola? |
Passiamo ora alla consorte del re, cioè il punto e virgola. Si tratta di una via di mezzo tra il punto e la virgola, una sospensione che è minore del punto, ma maggiore della virgola. Viene usato per separare gli elementi di un periodo, allo stesso tempo collegandoli tra loro. Di tutti i segni di interpunzione, il punto e virgola è forse quello che offre maggiore libertà, il cui uso denota un buon “orecchio” per la pagina scritta e di conseguenza una certa raffinatezza stilistica. Si tratta del segno più affascinante e, oserei dire, artistico del sistema-punteggiatura, con un’ambiguità insita nel suo ‘punto’ (maschile) e nella sua ‘virgola’ (femminile), come se avesse in sé una doppia natura. Oggi se ne fa sempre meno uso e ritengo che sia un vero peccato.
Vediamo un esempio famoso, contenuto nel finale de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni:
Renzo, alla prima, rimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.
Usciti dalla trattoria i cuochi e i camerieri, Domenico Rosi, il padrone, rimase a contare in fretta, al lume di una candela che sgocciolava fitto, il denaro della giornata. Gli si strinsero le dita toccando due biglietti da cinquanta lire; e, prima di metterli nel portafoglio di cuoio giallo, li guardò un’altra volta, piegati; e soffiò su la fiammella avvicinandosi con la bocca. Se la candela non si fosse consumata troppo, avrebbe contato anche l’altro denaro nel cassetto della moglie; ma chiuse la porta, dandoci poi una ginocchiata forte per essere sicuro che aveva girato bene la chiave. Di casa stava dall’altra parte della strada, quasi dirimpetto. Ormai erano trent’anni di questa vita; ma ricordava sempre i primi guadagni, e gli piaceva alla fine d’ogni giorno sentire in fondo all’anima la carezza del passato: era come un bell’incasso.
Attendo il post sui due punti, in quanto a volte ne abuso un po'.
Per quel che riguarda il punto, capita anche a me ogni tanto di fare frasi molto brevi, a volte anche senza il verbo. Ma non le infilo a casaccio. Mi servono in scene che necessitano di essere velocizzate e sono funzionali alla narrazione.
Il punto e virgola non lo uso praticamente mai. Lo trovo obsoleto. Non mi serve molto. Questione di abitudine, forse 🙂
Ciao Chiara, grazie del tuo commento! 🙂
In effetti, come ho scritto all'inizio, la punteggiatura ha molto a che vedere con una questione di scelte personali. Ho trovato il concetto scritto persino in un tomo del linguista Gabrielli. Dipenderà quindi da che cosa si vuole narrare e da come si vuole dirlo.
Senz'altro il punto e virgola non è molto adatto per delle scene dinamiche. Tuttavia questo segno di interpunzione ha un insospettabile estimatore, che certo non può essere tacciato di eccessiva prolissità: Beppe Severgnini.
Severgnini a me piace molto, con il suo umorismo all'inglese, mai gretto o volgare. Non ho mai fatto caso al suo utilizzo della punteggiatura, e vi presterò maggiore attenzione d'ora in poi.
Ha scritto un manuale dedicato alla lingua italiana: "L'italiano. Lezioni semiserie", che come sempre fa sbellicare dalle risate. Cito dalla presentazione: "Dal decalogo diabolico – dieci regole per scrivere schifezze – alla psicopatologia della lingua quotidiana, dai consigli sull'uso della punteggiatura ai 16 suggerimenti ispirati a Flaiano e Montanelli, quel che occorre per imparare a scrivere in italiano. Divertendosi." Non vuole essere la classica grammatica, quindi, e c'è un capitolo sulla punteggiatura dove difende a spada tratta il punto e virgola.
Chiara, ho dimenticato di dirti che stamane ho inserito nella colonna di sinistra del mio blog il link al tuo. Non ti prometto di commentare frequentemente, ma in questo modo posso seguirti un po' meglio.
Ho visto ora!!! Grazie mille!!!! 🙂
Io non ho ancora messo il banner dei blog che seguo, ma quando lo metterò ci sarai anche tu. Già da qualche settimana, però, mi sono segnata come lettrice fissa. Mi piace ciò che scrivi.
P.S. Di Severgnini ho "Interismi" e "Nuovi Interismi"… Siamo compagni di fede 😀
Ciao Chiara, grazie, e vai tranquilla con il banner e tutto il resto. Io ci ho messo mesi a capire come strutturare alcune cose sul blog. Poi ho notato che il blog è come un essere vivente, cresce e cambia con il tempo! 🙂 Di libri di Severgnini ne ho parecchi, ma non quelli che dici tu. Sono molto divertenti, vero? Alla prossima.
Bellissimo post! Io a volte mi perdo un po' con le virgole, anche se le regole le so: le insegno a scuola! Secondo me, poi, per iniziare è meglio attenersi a quello che insegna la cara vecchia grammatica. La punteggiatura creativa è per penne esperte.
Ciao, Tenar, grazie di cuore del complimento.
Secondo me la virgola è un segno piuttosto anarchico, per quello l'ho già definito "indisciplinato". Ad esempio io la metto alle volte prima della congiunzione "e", pensando alla questione della pausa; però da qualche parte ho letto che in questo caso non andrebbe messo.
Hai ragione, le sperimentazioni letterarie sulla punteggiatura vanno bene per scrittori già navigati.
La grammatica che ho in usa ha tutto un capitoletto di regole sulla virgola che, lette una dopo l'altra, sembrano molto sensate e coerenti. Il problema è che quando scrivo me le dimentico!
Comunque no, la virgola prima di e non ci va (a meno che non chiuda un inciso, come nella frase sotto). la coordinata per asindeto, quella con la virgola, e quella copulativa, quella con la e, hanno quasi lo stesso ruolo, ma poi noi prof dobbiamo distinguerle in una verifica di analisi del periodo e quindi o una cosa o l'altra, non insieme.
Fori dalle verifiche e dai temi d'esame, però, credo che si possa fare (a me è rimasto il divieto per deformazione professionale)
Grazie, Tenar, di aver riportato i consigli della tua grammatica e della tua esperienza. Anche a me capita di notare delle cose causa deformazione professionale e provare l'impulso di estrarre la famosa penna rossa e correggerle.
Come sempre leggerti è un piacere, Cristina. Riesci a rendere gradevole anche un argomento come la punteggiatura!
Lo stile singhiozzante con i punti piazzati in continuazione non piace neppure a me, tanto quanto quello da apnea con punti lontanissimi. Cerco di trovare, quando scrivo, un compromesso. E i punti e virgola li sto un po' rivalutando ultimamente…
Cara Maria Teresa, grazie davvero del tuo commento. Avevo pensato di utilizzare per il post i "soliti" cartelli stradali, poi mi è venuta in mente la questione dei re e delle regine. 🙂
Un altro esempio di punti lontanissimi sono certe pagine di James Joyce, i cui romanzi infatti non ho mai avuto il coraggio di leggere per intero. Sebbene veneri autori che appartengono al filone del flusso di coscienza, come Virginia Woolf. Ma Virginia metteva la punteggiatura a regola d'arte.
Cara Cristina, come sempre è molto piacevole leggerti. Se di un libro apprezzo contenuti e scrittura, è difficile che mi infastidisca la punteggiatura. Anzi, una personale modalità di punteggiatura che caratterizzi lo stile di un autore e che non vada troppo contro le regole grammaticali e sintattiche, spesso mi fa entrare ancor più in sintonia col pensiero di quell'autore.
Come autrice talvolta prediligo i periodi brevi. Anche senza il verbo. Possono essere efficaci. Non sempre, ma spesso.
Nonostante questo, anch'io sono una grande ammiratrice del punto e virgola: snellisce il periodo senza spezzettare; mantiene il ritmo senza provocare affanno e respiro corto; è di grande pregio estetico.
Opinioni personali e contestabilissime, è chiaro…E comunque concordo con animadicarta: è importante cercare di trovare un compromesso che porti a un giusto equilibrio.
Cara Stella, grazie del tuo parere sul post e soprattutto degli esempi! Molto calzanti al tema, direi. 😉
Molto dipende anche dal tempo storico in cui è situato il romanzo, per cui il linguaggio (e la punteggiatura, di conseguenza) deve anche rendere l'ambientazione. Nel nostro caso, scriviamo entrambe romanzi storici, per cui sembrerebbe strano scrivere frasi inserendo una punteggiatura come: "Tiziano entrò. Afferrò il pennello. Lo intinse. Stese il colore. Finito. Uscì." Il mio è ovviamente un esempio estremo e paradossale.
Ahahah! Ma sì, anche i miei esempi erano scherzosi. Oggi, giornataccia (così "accia" da essere senza verbo). Avevo bisogno di farmi una risata, prendendomi un po' in giro 😉
Un abbraccio!
Un abbraccio anche a te, e che la giornata di oggi sia senz'altro migliore!
Eh sì, come dice giustamente Stella, dalla sua posizione defilata la punteggiatura contribuisce o ostacola la sintonia con l'autore.
Il confine tra uno stile singhiozzante e uno sincopato è sottile. Detesto il primo e apprezzo il primo, entro certi limiti. Una sequenza di frasi brevi mi stanca molto presto. In particolare mi piacciono le variazioni di ritmo, e forse per questo tendo ad accostare frasi brevi a frasi più sviluppate. In questo modo l'effetto di tensione e ritmo della frase breve viene aumentato, o almeno così a me sembra.
Il punto e virgola mi piace. So che per molti è morto, ma trovo che niente lo sostituisca quando ci vuole. Nei dialoghi però lo uso pochissimo, perché dà comunque un tono esplicativo o descrittivo che mi sembra non sia adatto in quel contesto. Quanto alla virgola prima di "e"… mi dispiace per la grammatica, ma io la pausa leggendo ce la faccio, non sempre ma spesso, e lì la virgola la metto. In effetti non sempre la regola corrisponde all'intonazione reale.
Anche a me piace molto la variazione nel ritmo delle frasi, e che siano ben concatenate. Per questo mi piace l'uso del punto e virgola, dove la frase sosta e poi riprende con una nuova frase e quindi una nuova considerazione. In fondo è un segno di interpunzione un po' filosofo!
Mettere troppi punti potrebbe far pensare che non si riesce ad argomentare, ma, ripeto, dipende da molti fattori: il momento narrativo, il personaggio che parla… Una volta mi avevano prestato un romanzo di un noto autore di gialli, ma l'avevo restituito dopo tre pagine: usava sempre lo stile "singhiozzante" non solo per i dialoghi, ma anche per le descrizioni, durante l'intero libro.
Anch'io metto la virgola prima di "e"! 😉