“Io ho solo voluto, in queste pagine, tentare la psicologia così particolare dell’adolescenza, mutevole e contraddittoria, deliziosa e terribile, tutta serenità e bufere, fulmini improvvisi ed inaspettati arcobaleni, apri a quella delle giornate di marzo – primavera è e non è – in cui esci con l’ombrello e spunta il sole, lasci l’ombrello a casa e per dispetto il cielo s’apre.” Nulla di meglio delle parole dell’autore per cominciare la recensione del romanzo Fantasia di mandorli in fiore, scritto nel 1931 da Lucio D’Ambra. Tale è lo pseudonimo di Renato Eduardo Manganella, prolifico scrittore, regista e produttore cinematografico italiano, molto attivo nel ventennio fascista e oggi quasi completamente dimenticato, non fosse altro che come menzione in una qualsiasi antologia di autori nostrani.
Fantasia di mandorli in fiore è un romanzo definito di formazione sentimentale e narrato in prima persona da Sisto, il protagonista, ormai adulto. Egli ripercorre con la memoria alcuni avvenimenti che ebbero luogo nella villa in riva al lago, detta il Mandorleto. Sin dalle prime pagine comprendiamo come, fin da bambino, la sua esistenza sarà contrassegnata dal rapporto con due muse molto speciali: la musica e sua madre. Tra le prime memorie di Sisto, infatti, sono due piccole trombe, una legata al suo collo e l’altra che pende alla cintura della madre. Quando il fanciullo si trova fuori, in giardino, in riva al lago o nei boschi che circondano la vecchia casa il cui nome è il Mandorleto, la madre lo chiama con uno squillo di tromba per sincerarsi che egli risponda, e non sia in pericolo. Il suono dello strumento rappresenta una sorta di cordone ombelicale non rescindibile che lega madre e figlio, come il contesto familiare dove Sisto si trova a vivere – un luogo ricco di affetti rappresentati dai genitori, la madre in primis, ma anche dallo zio Ippolito ex-militare e dallo zio Bonaventura giramondo, dal nonno Beniamino astronomo dilettante, e dai numerosi amici del fanciullo poi diventato adolescente – è l’equivalente di una placenta iperprotettiva. Sarà l’arrivo di Elsa, coetanea di Sisto e del suo migliore amico, Alessandro, nella vicina casa chiamata l’Uliveto, a provocare i primi moti del cuore nei due giovani, e ad alterare quel mondo incantato nel più tragico dei modi.
La copertina del romanzo edito da Graphofeel |
Di questo romanzo mi hanno colpito vari aspetti, in primo luogo lo stile: se non avessi saputo a priori il sesso dell’autore, avrei detto con sicurezza che il romanzo era stato scritto da una donna. Lo stile è curato, aulico, a tratti magniloquente, e ben si sposa con l’ambiente in cui sono narrate le vicende. Nella descrizione dello scenario dove si muovono i protagonisti, Lucio D’Ambra calca la mano al punto da apparire, talvolta, zuccheroso: il Mandorleto è il nome della casa dove vive Sisto con i suoi familiari, i Mandorlieri è il soprannome della lieta brigata di giovani fra cui Sisto; i mandorli, quasi perennemente in fiore in un’eterna primavera, si specchiano nel lago, nevicano petali senza soluzione di continuità. Il rapporto con la madre, poi, è decisamente edipico, forse in contrasto con l’italica, virile mentalità dell’epoca, o forse fin troppo in linea con il ruolo di moglie e madre che si voleva per le donne. I titoli dei capitolo sono evocativi e fiabeschi: Il disegno in seta del mandarino cinese, Dietro il paravento dal pavone bianco, Girotondo ai tre mandorli, Fiori di mandorlo su vecchie pergamene… solo per citarne alcuni.
Ramo di mandorlo fiorito di Vincent Van Gogh (1890) Van Gogh Museum – Amsterdam http://www.vangoghmuseum.nl |
Lo stile magniloquente, lo ammetto, mi spaventa un po', ma descrivi questo libro in modo molto affascinante.
In effetti è uno stile cui non siamo più abituati… mi viene da pensare che faccia il paio con l'ostentata virilità del ventennio in cui è stato scritto!