Con il suo post “Racconto breve” che trovate qui (leggetelo! è sorprendente), Antonella Mecenero mi ha dato l’idea di riproporre il mio racconto vincitore del concorso online del 2013 organizzato da Un foglio di Storia. Si trattava di inviare un racconto di 3000 caratteri spazi inclusi ed è stata una bella sfida!

Inoltre potete scaricare l’intera antologia gratuita in formato e-book cliccando sulla copertina che trovate nella colonna di sinistra del blog. Ci sono altri bellissimi racconti che vi terranno compagnia, ovunque voi siate.
Buona lettura!




Il gigante di nuvole e luce

Il primo ricordo nitido che ho di lui comprende in sé la primavera, e la luce. E la luce, come sapete bene, Philippe, spesso è associata al fuoco ardente.

Ero sulla cima di una collina, immerso nei fiori, il che prova come fossi di statura molto piccola: forse ero un nano o un bambino. Credo fossi un bambino, però, perché ora sono cresciuto fino a raggiungere la statura di un giovane. È possibile che avessi due anni al massimo, riuscivo a stare bene in piedi. Mi muovevo tra i fiori della primavera, incantato. A pochi passi di distanza, c’era la mia balia, Nathalie, che mi osservava sorridendo, con le mani infilate sotto il grembiule. D’un tratto, mi misi a strappare i fiori di campo per comporne un mazzo. Volevo farne dono a Nathalie, che aveva cura di me. Era l’unica che poteva farlo, oltre all’uomo che sentivo chiamare “conte Robert”, mio zio. Camminavo dunque tra i fiori a perdita d’occhio, e la mia veste sfiorava il terreno. 
Ero intento a riunire i miei fiori, quando vidi sorgere qualcosa, dalla linea arrotondata della collina. Piccolo com’ero, quel qualcosa era enorme. Sembrava una gigantesca nuvola bianca, con una macchia rossa sopra; e capii, confusamente, che scorgevo lo sfolgorio di una tunica e di un mantello, più candidi della neve che incappuccia il nostro Massif du Pelvoux. Era lui. Lui, che avanzava verso di me, reggendo il cavallo per le redini. L’animale era persino più alto e, ai miei occhi di bambino, arrivava a toccare il cielo! Guardavo entrambi, cavallo e cavaliere, con la bocca aperta per lo stupore. Non avevo paura, però. Ero troppo piccolo per averne. Rimasi dunque là, immobile e con il mio mazzolino nel pugno. Lui arrivò davanti a me, s’arrestò a fissarmi. Ricambiavo il suo sguardo, con il mento sollevato, e i nostri occhi azzurri, identici per colore ma così diversi per espressione, si confrontavano. Il suo sguardo era freddo come ghiaccio.

Poi, accadde qualcosa di stupefacente: la montagna innevata abbandonò le sue altezze, parve flettersi, scivolare a valle. S’era abbassato per arrivare fino a me. Teneva ora un ginocchio poggiato a terra e uno piegato e, sopra quello, aveva abbandonato le redini. Io, però, ora stavo guardando quel segno rosso – la croce di Cristo – che aveva cucita sul petto e sulla spalla sinistra del mantello, e pensai che si fosse fatto male. Allungai la mano e la appoggiai alla ferita sul petto; e, per lenire il dolore, gli regalai il mio mazzo di fiori. 

A quel gesto, sorrise. Sì, ricordo ancora come sorridesse, in uno dei suoi rari sorrisi. Lo prese, mi ringraziò. Allargò quindi un braccio come per un invito ad accostarsi. Lo feci, e mi strinse contro il suo petto e la spada che portava colse un raggio di sole, brillò nell’aria.

Quel gigante di nuvole e luce, con la croce sanguinante sul petto, era un cavaliere templare: mio padre, Geoffroy de Charnay, uno degli ultimi comandanti del Tempio.

Colui che voi, Philippe, avete fatto ardere vivo in questo Anno Domini 1314.