La copertina del romanzo
edito da TEA

Ovvero, come affossare un’ottima idea alla base di un romanzo con uno stile all’insegna della banalità, personaggi scontati e comportamenti che pretendono di trovare le proprie ragioni indietro nel tempo quando non ce l’hanno. Sto parlando del romanzo La biblioteca dei morti di Glenn Cooper. Qualche tempo fa avevo letto un’intervista rilasciata su Il Corriere della Sera da cui mi ero lasciata irretire, a riprova che una persona può dire cose di assoluto buon senso e poi come autore dimostrare parecchie falle nel sistema. Almeno per quanto riguarda questo romanzo.

La storia inizia nella città di New York, dove un serial killer semina morte e terrore, e addirittura anticipa gli omicidi con l’invio di un messaggio alla vittima predestinata, contenente la data precisa della morte accompagnata dal disegno di una bara. Per questo viene soprannominato dalla stampa Doomsday (Giorno del Giudizio). Le diverse vittime non hanno alcun legame tra loro e appartengono ad ambienti del tutto differenti, e alle volte non vengono nemmeno rapinate o stuprate. Ragion per cui la polizia brancola nel buio e non riesce a trovare nessun movente logico che le accomuni, e tanto meno riesce a risalire all’omicida. L’azione si sposta avanti e indietro nel tempo, arretrando fino alla Seconda Guerra Mondiale, e chiamando in causa addirittura Winston Churchill nel 1947, che all’epoca aveva perso le elezioni in Inghilterra come Primo Ministro, e, dopo ancora, arrivando al mistero dell’area 51 collegato agli UFO nel deserto del Nevada.

In questo miscuglio di fatti si inseriscono gli strani eventi accaduti nella piccola isola britannica di Vectis (oggi conosciuta come isola di Wight), dove il giorno 7 luglio del 777 nasce il settimo figlio di un uomo che è a sua volta un settimo figlio, e come tale viene considerato il “figlio del diavolo”. Il bambino è un gemello, e all’età di sei anni dimostra di essere dotato di un potere misterioso, e nello specifico non spiego altro, se per caso vi venisse voglia di leggere il romanzo.

Le rovine dell’abbazia di Quarr, isola di Wight
L’autore mi ha fatto almeno conoscere
l’esistenza di questo luogo affascinante…

Gli eventi si spostano di nuovo nella città di New York, dove alle calcagna del fantomatico killer viene messo un agente dell’FBI, tale Will Piper, in coppia con la giovane collega Nancy Lipinski. 

Come dicevo all’inizio, l’idea di base è ottima e la trama è abbastanza ben congegnata, tuttavia ci sono alcune considerazioni da fare. Primo, se vogliamo chiamare in causa fatti in un’epoca così lontana come il 777 e farli attribuire dai monaci all’intervento demoniaco, dobbiamo anche conferire un minimo di verosimiglianza storica, o altrimenti andiamo sul fantasy che, peraltro, ha anch’esso le sue regole di base. La verosimiglianza storica è che nel Medioevo il diavolo, vero o presunto che fosse, aveva sempre un movente per agire, o per agire tramite qualcuno: il movente di solito era distruggere il mondo o, meglio ancora, prendere il potere sugli uomini. La difficoltà degli inserti di carattere storico, anche nell’ambito di un romanzo che è prevalentemente moderno, è proprio questa, cioè entrare nella mentalità di persone vissute mille o più anni fa, e considerare il mondo con i loro occhi. Siccome questa cosa è il pilastro portante del romanzo…

Quello che dà il colpo di grazia al romanzo è tutto il resto. Banali sono i personaggi, a cominciare da Will Piper, il “solito” agente dell’FBI maturo, rompiscatole, alcolista e sciupafemmine, e che ovviamente, dopo il primo, iniziale approccio conflittuale seduce la giovane collega dell’età di sua figlia, e poi mette la testa a posto rinunciando al suo carattere battagliero e all’amata bottiglia. La collega Nancy all’inizio è una giovane un po’ sovrappeso, poi ritrova l’amore e il peso forma per amore del suo collega… Yawn, ma che noia! Perché per una volta non facciamo il contrario, cioè inseriamo un’agente dell’FBI matura, alcolista e sciupauomini, che seduce il collega di vent’anni più giovane e un po’ grassottello…?  O è già stato fatto?

I dialoghi sono per la maggior parte triti e scontati e sembrano strizzare già l’occhio alla possibile sceneggiatura di un film. Lo stile di scrittura è sciatto, e non perché l’autore sia americano. Non manca com’è ovvio il solito lieto fine, dove nell’abbazia di Vectis i “giochi” finiscono in una maniera che ha del grottesco, mentre nella New York dei giorni nostri il nostro eroe fascinoso risolve ogni cosa, tira fuori dai guai se stesso e le persone che ama, e tutto finisce a tarallucci e vino.


ËËË

A questo punto sarei curiosa di sapere se avete letto questo romanzo di Glenn Cooper, o altri, e se condividete il mio parere. Per parte mia, non ho intenzione di leggere i seguiti, e vi assicuro che prima di farmi irretire un’altra volta da certe interviste o recensioni, ci penserò sopra dieci volte… con buona pace di certi critici letterari di chiara fama.