La copertina del romanzo (e-book) edito da loScrittore http://www.ioscrittore.it |
Ed eccovi l’intervista che ho fatto a Grazia, in cui le ho chiesto di rispondere ad alcune domande inerenti al romanzo, e non solo.
1. Ti ringrazio innanzitutto della disponibilità a rispondere ad alcune domande sul tuo romanzo. Vorrei chiederti come prima cosa se la storia è stata ispirata da un fatto di cronaca, o se è interamente frutto della tua fantasia.
Sono io che ti ringrazio per avermi proposto questa intervista. La scintilla iniziale di Due vite possono bastare è nata dall’incontro tra due elementi: la scoperta delle condizioni di vita nella Finlandia dell’Ottocento e la curiosità verso l’amnesia. Mi sono spesso domandata quanto si debba sentire smarrita una persona obbligata a rinascere da adulta, per così dire. C’è così tanto nella vita di ognuno, nel bene e nel male, che è difficile immaginare come si possa ripartire da zero. A un certo punto mi sono trovata alle prese con il classico “what if…?”: cosa succederebbe se il paziente recuperasse brandelli di memoria, ma scoprisse che non gli appartengono? Con mia sorpresa, è balenato un nesso con lo spunto finlandese, e ho pensato: qui c’è una storia. A quanto pare c’era davvero.
2. Oltre all’ambientazione italiana, hai scelto una nazione poco conosciuta ma molto affascinante, soprattutto dal punto di vista naturale: la Finlandia. Come mai la tua preferenza è ricaduta proprio su questa terra?
Qualche anno fa sono andata con la famiglia a Capo Nord in camper, risalendo Svezia e Norvegia e rientrando attraverso la Finlandia. Quei panorami magici e selvaggi mi hanno letteralmente catturata. Un giorno abbiamo fatto visita alla ricostruzione di un villaggio dell’Ottocento con mobilio e oggettistica d’epoca, accompagnati da una guida che raccontava le condizioni di vita di quel periodo, molto duro per via del clima e della povertà. Alcuni aspetti, che poi si ritrovano nel romanzo, non ne volevano sapere di finire dimenticati. Petri – l’antagonista di Goran, che antagonista non è – ha iniziato a respirare lì.
Paesaggio invernale finlandese |
3. Il protagonista Goran è affetto da amnesia in seguito ad un incidente stradale. Hai trovato difficoltà nell’immedesimarti in un uomo afflitto da questo disturbo della memoria? A parte le inevitabili ricerche medico-scientifiche, quali espedienti hai utilizzato per riuscire a vedere il mondo come lo vede lui?
Non mi è stato difficile immedesimarmi in Goran. Anche se non ho avuto esperienza diretta o indiretta di questo disturbo, la sensazione di straniamento rispetto al mondo esterno la conosco. Dopo un’infanzia solitaria, quando sono uscita dal guscio ho impiegato parecchio tempo a capire come funzionassero i rapporti, cosa fosse considerato normale e cosa no. Nel descrivere Goran credo di essermi ricollegata a quelle sensazioni di estraneità.
4. Grande importanza hanno i personaggi che fanno da corollario a Goran, che cercano di aiutarlo o dominarlo. Sono nati insieme a lui oppure sono arrivati in un secondo momento? A quali sei più affezionata e con quali hai avuto più problemi nella gestione?
Come dicevo, la storia è nata con un Petri appena abbozzato, cui si è accostato Goran, che ha subito assunto il ruolo di protagonista. A quel punto mi sono domandata chi potesse fare parte del suo mondo, e Irene (sua moglie) si è dimostrata la figura ideale per fare risaltare il problema centrale. Quando perdi la memoria, i familiari stretti sono quelli che più ne subiscono i contraccolpi. Gli altri personaggi si sono aggregati per logica. Nessuno di loro mi ha presentato veri problemi, ma le figure di donna sono sempre ostiche per me, perciò ho dovuto lavorare molto su di loro per evitare il rischio-cliché. Mi è difficile dire quali siano i miei personaggi preferiti, ma di sicuro il podio se lo spartiscono Nico, Goran e Petri.
5. Ho notato un forte contrasto tra due gruppi di personaggi: quelli più condizionati dalla cosiddetta civiltà urbana con i suoi riti sociali e le sue ipocrisie, e quelli più legati alla natura e alle sue regole non scritte, spesso dure e selvagge. Che cosa ti hanno regalato questi personaggi così differenti?
Ti ringrazio di avermi fatto scoprire questo contrasto, che non avevo colto ma è importante. I personaggi urbani e condizionati sono il mondo che sento più estraneo, mentre quelli legati alla natura sono il mondo che sento mio. Avverto molto il divario tra quella che considero la natura profonda dell’uomo e le sovrastrutture e gli orpelli di cui si è caricato nel corso della civiltà, che lo inquinano e talvolta lo soffocano. Il mio, però, non è un vagheggiamento di ritorno al passato e alla natura dura e selvaggia cui accenni, quanto piuttosto una speranza di evoluzione nella direzione giusta.
6. Un altro incontro-scontro nel romanzo è quello che avviene tra le due “metà del cielo”, cioè i personaggi maschili e quelli femminili. A me è molto piaciuta la ragazzina Nico, con la sua fame di affetto e le sue potenzialità, ma anche la moglie di Goran, che si potrebbe classificare come donna dominante. A livello narrativo, come possiamo descrivere uomini e donne che spesso entrano in conflitto, o non si comprendono, senza cadere nello stereotipo?
Difficile! Il modo migliore per evitare gli stereotipi è sfruttare i cliché legati al genere quando questo è vantaggioso per la storia, ma sforzarsi di andare oltre per vedere uomini e donne come individui a sé stanti.
Nico, come ho già detto, è un personaggio cui tengo molto. Lei è nata fatta e confezionata. Non mi sono mai dovuta chiedere come si sarebbe comportata nelle varie situazioni, perché lo sapevo già. È stato l’incontro con Nico a rafforzare la mia decisione di tentare la via dei romanzi per ragazzi.
Ritratto di Zborowski di Amedeo Modigliani (1916) Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset |
7. A parte la riscoperta di un passato perduto, nel romanzo è evidente il tema del viaggio, inteso non solo come spostamento fisico ma come riscoperta interiore. Secondo te ritrovare il passato, che sia proprio o di altri, è sempre portatore di positività? Quali sono i rischi in un caso o nell’altro?
Il passato ci insegna e in parte ci determina, ed è alla base del presente e del futuro, quindi mi guardo bene dal negarne l’importanza. Per carattere e per scelta, non gli lascio molto spazio. In alcuni momenti è fondamentale guardare indietro per sciogliere i nodi che ci bloccano oppure per ricavarne spunti e incoraggiamenti, ma secondo me questo non dovrebbe assorbirci troppe energie. Credo molto nel non abdicare al “qui e ora” per soffermarsi sul passato o rincorrere il futuro.
8. Per dirla con Pirandello, “Imparerai a tue spese che lungo il tuo cammino incontrerai ogni giorno milioni di maschere e pochissimi volti.” Nel romanzo è forte la differenza tra l’io sociale e l’io interiore, derivato proprio dalla condizione del protagonista. Secondo te… ci vuole sempre un trauma per cominciare a riflettere sulla propria esistenza?
Per fortuna no! È una questione di occasioni e anche di carattere. C’è chi ha la ricerca come tratto costante della personalità, e allora passa da una domanda all’altra finché non trova una traccia da seguire; ma anche chi questa esigenza la sente meno forte può essere “messo in moto” da una lettura, un film, una conversazione. Abbiamo tutti l’impulso a evolvere, perciò incontriamo gli strumenti che ce lo permettono.
9. Sono rimasta molto colpita dall’abilità con cui incastri le varie tessere della storia, che alla fine compongono un mosaico dove tutto torna al suo posto. Quando inizi a scrivere, hai chiara in mente tutta la struttura, oppure la completi e la modifichi man mano?
Non mi piace navigare a vista, con il rischio di essere costretta in seguito a riscrivere mezza storia. Per questo faccio una pianificazione abbastanza accurata, lasciando però spazio all’improvvisazione; per esempio affronto ogni nuovo capitolo sapendo cosa succederà, ma non dove e come. Alla fine spuntano sempre piccoli aggiustamenti rispetto alla pianificazione, e anche qualche vero cambiamento, ma mi sembra che questo metodo funzioni.
10. Quanto tempo hai impiegato nella stesura e nella revisione del romanzo fino a fargli assumere la sua veste definitiva? Riesci a lasciar andare un romanzo una volta terminato e dato alle stampe, o mantieni comunque una sorta di cordone ombelicale?
Due vite possono bastare ha richiesto all’incirca cinque-sei mesi per essere completato, ma non ricordo quanto sia durata la fase preliminare di elaborazione dell’idea. Trovo difficile fare modifiche di vasta portata durante la revisione, perciò cerco di sopperire a questa mia rigidezza fantasticando a lungo prima di iniziare a scrivere. Prendo decine di fogli di appunti, sempre scritti a mano, in vari colori e su carta di recupero. Ho scoperto che questo mi aiuta a lavorare sulle idee.
Una volta deciso che il romanzo è pronto a tentare le strade del mondo, dopo la lunga revisione di rito, lo libero e non ci penso più… salvo arrovellarmi sulle difficoltà di pubblicazione. Mi è facile il distacco emotivo, perché già durante la revisione inizio a lavorare sulle idee per il romanzo successivo. Questo serve anche ad alleggerire la fatica della revisione, che non regala le stesse emozioni della creazione pura.
11. Per concludere, vorrei chiederti quali sono i tuoi progetti in corso, oppure nel cassetto, in ambito letterario!
È appena uscito nelle librerie La via delle parole, un mio saggio su creatività e scrittura. La prima parte del libro prende in esame lo scrivere come strumento di crescita personale e di risveglio della sfera creativa, mentre la seconda parte è incentrata sull’esperienza dello scrittore che si rivolge al pubblico, con i suoi problemi e le sue debolezze… e le sue gioie, si spera!
A parte questo, ho un romanzo per adolescenti in valutazione presso alcuni editori e ne sto scrivendo un secondo. In effetti ciò che scrivo non resta a lungo nel famigerato cassetto! Ho diversi lavori inediti, ma tutti hanno cercato o stanno cercando la loro strada. Spero che la trovino, e che sia una strada solida.
Grazia Gironella (Bologna, 1963) vive in
provincia di
Pordenone e si dedica a tempo pieno alla famiglia e alla
scrittura. Ha
pubblicato il racconto lungo Tarja dei
lupi (Tabula Fati, 2008), il manuale di scrittura Per scrivere bisogna sporcarsi le mani (Eremon,
2011) e il romanzo Due
vite possono bastare (IoScrittore,
2013 – ebook). Di recente è uscito nelle librerie il suo saggio
La via delle parole (Eremon,
2015). È attiva
in rete con il blog ScriverÈVivere
(http://www.scriverevivere.blogspot.it).
Bella intervista!
Tra l'altro, ho finito di leggere "Due vite possono bastare" (anche se non ho ancora avuto il tempo per commentarlo con Grazia, come "promesso") e l'ho trovato molto gradevole. è stato bello scoprirne il backstage! 🙂
Mi sembra bella questa coincidenza sull'incrocio di letture sullo stesso romanzo. Il backstage è una cosa che mi affascina anche nei film, tra l'altro. Grazie per il tuo commento, Chiara!
Sei stata gentile a leggerlo, Chiara, anche perché ho idea che non sia propriamente il tuo genere preferito. Sbaglio? 🙂
E invece è il mio, di genere. Dunque lo leggerò! Presto avrai una mia recensione, non sai quanto mi gasi raccontare le mie impressioni, quando leggo un libro!
Grazie, Marina! Mi farà molto piacere conoscere le tue impressioni. 🙂
A dire il vero leggo un po' di tutto eccetto l'horror e la fantascienza, e in generale amo le storie con un risvolto psicologico, quindi l'ho apprezzato molto. Per quanto la vicenda potesse essere lontana dalla realtà, i sentimenti descritti erano universali e i personaggi ben tratteggiati. L'ho praticamente bevuto 🙂
So che dai molta importanza al contesto sociale, perciò temevo che il lato di evasione nel romanzo fosse troppo… evasivo per te. Sono contenta che non sia stato così. 🙂
Devo confessarvi che ho sempre molta difficoltà sia nel recensire i romanzi che nell'intervistare gli autori, perché mi sembra sempre di svelare troppo o di fare domande troppo circostanziate. Non parliamo poi con gli autori di romanzi gialli!
Non è facile, vero? E' uno dei motivi per cui non faccio interviste. A me però questa intervista è piaciuta molto, perché non c'è una sola domanda banale e non si rivela niente che penalizzi la lettura. Meglio di così non avrei potuto immaginarla. 🙂
No, no, per niente!!! 🙂 Mi piacciono anche gli urban-fantasy! Non in tutto ciò che leggo il contesto è importante. Ciò che conta è che il romanzo sia fatto bene, e che ci sia una bella trama, nonché personaggi interessanti… altrimenti leggerei un trattato di sociologia!
Anch'io ho trovato molto bella l'intervista!
Scoprire il backstage è sempre intrigante. E poi ammiro il coraggio di autrice di Grazia che si spinge in territori narrativamente pericolosi come l'amnesia o la Finalandia (la mia Scozia insulare, che tanto amo, riesco a usarla solo come spunto fantasy e non so se me la sentirei di metterla in campo in una narrazione ambientata nel mondo reale)
Grazie del tuo contributo, Tenar. Oltretutto la Finlandia è pochissimo conosciuta, almeno da noi, quindi ben vengano anche queste ambientazioni in luoghi europei, ma "nuovi"!
Tanto per riprendere il concetto che la Storia comunque si infila in ogni tipo di narrazione (re. il mio guest-post sulle "bucce di banana"), una parte di questo romanzo è storica, essendo ambientata nell'Ottocento. E una parte assai ben documentata.
In realtà nel romanzo il viaggio è vissuto soprattutto come passaggio, perciò presenta meno insidie di una storia del tutto ambientata all'estero. Lo sforzo di documentazione per fare una cosa del genere sarebbe stato enorme, e non so se avrebbe dato buoni risultati. Non credo che si debba per forza scrivere di ciò che si conosce per esperienza diretta, ma è molto difficile calarsi in una cultura diversa.
PS: Cristina, hai cambiato sfondo! Questo è un'esplosione di colore. Bello!
Grazie! 🙂 Sì, prima c'erano i libroni polverosi con le boccette di inchiostro, che comunque mi piacevano.
Dopo Natale l'avevo cambiato con alberi e sfondo scuro, ma dopo aver letto un post di Maria Teresa sulla gestione del proprio blog, l'ho riconsiderato con occhio diverso e l'ho trovato pesantuccio. Così ho optato per uno sfondo con colori caldi ma anche dinamici con il motivo a spirale, mi sembrava stesse bene con il banner dell'arazzo di Bayeux dove con la battaglia c'è parecchio movimento.
Anche a me piace il nuovo sfondo; è caldo, e il motivo a spirali mi sembra che si abbini bene alla scrittura e alla creatività.
Uffa! Io sono sullo smartphone e non lo vedo! Sono curiosa! Dopo mi collego 🙂
Il turbine del pensiero creativo… 😉
Qualche volta il mio pensiero creativo sarebbe meglio simboleggiato dalla traiettoria del sasso che cade sul fondo dello stagno… le spirali sono meglio! 😉
Ora sono al pc! Bello! 🙂
"Due vite possono bastare" è un romanzo bellissimo. I personaggi sono un'ottima compagnia e il loro viaggio è istruttivo e stimolante. Leggerlo mi ha fatto venir voglia di visitare la Scandinavia.
Inoltre, volendo scrivere io stessa un romanzo del genere di "Due vite possono bastare" mi sono ritrovata a rileggere l'incipit, cercando spunti su come scriverne uno a mia volta, e ho finito per rileggere l'intero libro! Un vero pageturner! Impossibile da lasciare a metà.
Grazie del commento, Lisa! Io mi sono innamorata subito di Goran, nonostante abbia un carattere spinoso e perché il suo rapporto con la moglie, che cerca di riappropriarsene come fosse qualcosa da possedere, mi ricorda molto quello tra due personaggi di un mio romanzo in forma manoscritta. E comunque Irene è anche lei una vittima delle convenzioni sociali.
Avere un fan club con te come cheerleader sarebbe il massimo! 🙂 Scherzi a parte, è bello sapere che la tua stima ha resistito anche al beta-reading di "Veronica c'è" (il mio primo YA).
Uno dei motivi per cui Goran piace anche a me (e per fortuna!) è che non è un uomo tutto d'un pezzo, senza ombre. Non desiste dalla sua ricerca, nemmeno quando deve rischiare, ma commette errori e fa scelte opinabili. E' umano, di un'umanità vulnerabile ma tosta.
Niente di peggio che trovare un personaggio monolitico, infatti! Invece della descrizione di un essere umano, ci si troverebbe di fronte a qualcuno assomigliante a un pilastro in chiesa. Tipi senza dubbio massicci, ma molto poco interessanti.
Riguardo ai personaggi monolitici, mi sento molto combattuta in questi giorni mentre definisco i personaggi del mio primo romanzo, in fase di revisione. Mi vengono idee che sembrano buone ma dopo un paio di giorni mi sembrano tutte scontate, perchè trite e ritrite. Ci sono talmente tanti libri e film in giro che non so se si possa davvero inventare un personaggio originale!
Secondo me (ma forse lo sai già) quello dell'originalità è un problema un po' sopravvalutato. Davvero, quando leggi, un personaggio ti piace o non ti piace per l'originalità? Io non credo. Se il personaggio è completo e interessante funziona. Per il resto, con qualche tocco particolare (anche pensato a tavolino) si riesce a eliminare l'effetto "ma-questo-non-sembra-X?". A me capita spesso di sorridere per le somiglianze tra personaggi e poi godermi la storia ugualmente. A voi non succede?
Forse l'originalità in un personaggio (se pure si possa parlare di originalità) è data dalla somma delle sue coerenze ed incoerenze. Il mio ragionamento è un po' arzigogolato, ma il personaggio "originale" non può che essere complesso e sfumato. Il personaggio sempre e completamente coerente con le sue convinzioni a me sembra un automa, oltre che essere noioso.
L'effetto "ma-questo-non-sembra-X?" non mi è mai capitato! 🙂
Mi succede soprattutto quando leggo fantasy. Purtroppo è un genere che si presta molto alla banalizzazione, perché molti appassionati sono voraci e tendono a mandare giù tutto quello che viene pubblicato senza mettersi problemi (l'ho fatto anch'io!).
Pure nel romanzo storico lo stereotipo o banalizzazione è un rischio sempre presente: sapessi di quanti castellani brutti, violenti e cattivi mi è capitato di leggere, o quanti contadini dalle scarpe grosse e dal cervello fino ho trovato?
Quando facevo le ricerche sugli indiani d'America per il mio romanzo mainstream Gli immortali, ero terrorizzata dall'idea di inserire figure come quelle dei film hollywoodiani, dal tipo"Augh! Tu uomo-bianco-lingua-biforcuta." Da brivido…
Sugli argomenti che non abbiamo mai approfondito le banalità sono sempre in agguato. Non parlo del fantasy, che si può approfondire solo nella propria testa, ma gli altri… gli Indiani d'America prima erano sempre cattivi, poi sono diventati tutti, indistintamente buoni. Mi viene in mente Francesca, che ieri nel suo blog Carta Traccia ha postato un video in cui discute se Tokyo sia davvero la città più sicura. Hanno i vagoni separati per uomini e donne, perché gli uomini palpano, così le donne che non ci stanno nei vagoni femminili e finiscono in quelli maschili sono viste un po' come donne che vogliono essere palpate! Sono ancora incredula…
Sulle visioni del "tutto bianco o tutto nero" concordo, purtroppo nella Storia si tende ad avere questo effetto di partigianeria assoluta. Di recente durante la presentazione di un romanzo storico presso l'Associazione Italia Medievale cui sono iscritta, una signora ha quasi dato in escandescenze perché si era osato criticare Federico II di Svevia, una figura interessantissima ma molto controversa. Tutta la Storia è fatta di chiaroscuri, di luci ed ombre, e non può essere che così perché fatta da esseri umani. Forse è la nostra ricerca del mito che ci porta a questo.
Su Tokyo… che dire? Sono rimasta basita anch'io. :-0