Vero è che la figura del padre incarnante l’autorità indiscussa è sembrata arretrare in favore di un rapporto dove il dialogo e le manifestazioni di affetto subentrano sin dalla più tenera età del figlio; alle volte, però, l’arretramento ha portato questa figura a sbiadire in un ruolo da “amico” dei figli e a confondersi con i coetanei della prole. Il freddo, duro padre di stampo vittoriano è svanito, almeno nella nostra società europea, e sicuramente nessuno di noi lo rimpiange. Di contro, però, i figli si sono trovati disorientati e privi di regole, specie in un’età in cui qualche linea-guida affettuosa ma ferma, e alcuni “no” ben motivati non fanno male.
A livello personale, ho scoperto mio padre solo all’ultimo, prima che lo perdessi a causa di una malattia dal decorso molto rapido. Ho vissuto l’infanzia priva di una vera e propria figura paterna, in quanto mio padre era spesso via per motivi di lavoro, e mi sentivo proprio come un Telemaco in gonnella, anzi, in gonnellina e codini, visto che ero molto piccola. Mio padre era una figura mitologica, il cui ritorno era festeggiato come un evento epocale; e ricordo le sere passate a giocare ai piedi del divano, lottando contro il sonno per non addormentarmi , aspettandolo, e corrergli incontro per abbracciarlo.
In linea generale, tra il padre e la madre, sono stata sempre fortemente attratta dalla prima figura anziché dalla seconda, in quanto, come donna e madre, e con tutta la letteratura relativa, mi sembra che si sia già scritto e detto molto. Quello che per me rimane misterioso è proprio il legame invisibile che si viene ad instaurare tra due persone separate a livello fisico… una delle quali proviene comunque dall’altra. Con la madre questa simbiosi si radica nel grembo, e all’atto del parto c’è una separazione molto violenta e dolorosa tra i due esseri. Tra un padre e un figlio il nesso appare quasi inspiegabile. Eppure c’è.
Vi propongo con questo post una carrellata di alcuni famosi padri letterari, tra i molti proposti. Come nel precedente post sull’amicizia, correderò il testo con una citazione.
Ulisse, ovvero la nostalgia del padre – Odissea di Omero
L’incontro tra Ulisse e Telemaco Odissea, sceneggiato televisivo del 1968 |
Ulisse è uno dei padri più famosi della storia letteraria, malgrado sia il padre della lontananza e dell’assenza. Nella reggia di Itaca e attraverso i racconti, egli aleggia come un fantasma. Il figlio Telemaco cresce nella memoria e nell’attesa del genitore, per cui prova una nostalgia struggente. La mancanza di notizie e l’incertezza se egli sia davvero morto diventano impulso alla ricerca, al viaggio e quindi al movimento. Il figlio in questo caso si sente incompleto senza il padre, e per diventare adulto si mette in viaggio.
La riunione tra i due non appartiene solo alla letteratura, ma al mito e all’archetipo; anche perché Ulisse non è più giovane, ma nemmeno un uomo anziano e debole. Si trova ancora nel pieno della virilità e può costituire un modello per il figlio. Una curiosità: ne Il complesso di Telemaco di Massimo Recalcati si indaga su un nuovo tipo di relazione padre-figlio, improntata al recupero di un vuoto affettivo e di una staffetta tra generazioni.
Citazione: Lo vidi in un’isola [Odisseo] – versava lacrime fitte – nella dimora della ninfa Calipso che a forza lo costringe a restare. Non può ritornare alla terra dei padri, perché non ha più navi dai lunghi remi né compagni che lo conducano sulla vasta distesa del mare. (Proteo a Menelao, nel racconto di Menelao a Telemaco – Libro IV Odissea)
Il padre di Gertrude, ovvero lo stupro dello spirito – I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni
La Signora di Monza di Giuseppe Molteni (1847), basato sul personaggio de I Promessi Sposi |
Nel XVII secolo il destino delle figlie femmine di nobile famiglia era presto tracciato: le maggiori andavano in sposa in un’età impubere a qualche gentiluomo, di solito più vecchio di loro, e molto spesso violentate la prima notte di nozze, le altre erano costrette a farsi suore. La figura della monaca di Monza Gertrude è storicamente esistita (come Suor Virginia Maria, al secolo Marianna de Leyva y Marino) ed è stata tramandata ai posteri grazie a una serie di atti processuali molto dettagliati.
Il conte Martino de Leyva, padre di Gertrude nel romanzo, non è figura diabolica nelle sue decisioni, che, come dicevo, erano comuni a molti genitori del tempo. Piuttosto lo è nella maniera subdola con cui piega ai suoi scopi la volontà di una figlia, solo desiderosa di compiacere il padre, e senza che nascano ribellione e scandali. Difatti, occorre che la fanciulla dia il suo consenso a prendere il velo, e dichiari che la sua vocazione sia sincera. Ed è esattamente questo che egli persegue, dando alla bambina bambole vestite da monaca con cui giocare e prospettandole un futuro da badessa riverita e potente; poi, quando è cresciuta, continuando tra ricatti, moine e minacce velate. Alla fine ottiene il suo scopo.
Citazione: Fu dunque fatta la sua volontà: e, condotta pomposamente al monastero, vestì l’abito. Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripeté, e fu monaca per sempre. (PS, X, 70)
Kafka all’età di cinque anni |
Lo scrittore praghese Franz Kafka nacque il 3 luglio 1883, primogenito di Hermann Kafka, un agiato commerciante ebreo, e di Julie. Il padre era proprietario a Praga di un emporio che gestiva assieme alla moglie.
Sui rapporti tra Kafka e suo padre molto si è parlato e la lettera che egli scrisse nel 1919, e che venne pubblicata postuma, getta una luce solo parziale sui sentimenti che egli provava per suo padre. Non si tratta solamente di timore nei confronti di un genitore duro e autoritario, ma piuttosto di un intrico inscindibile tra paura, venerazione, odio, disprezzo, stima.
L’autore cita un episodio in cui, di notte, chiede insistentemente dell’acqua e ammette di aver voluto attirare su di sé l’attenzione, non per un reale bisogno ma per affetto. Per tutta risposta il padre lo chiude sul ballatoio, con indosso la sola camicia da notte. Rimanere in quelle condizioni non ha conseguenze sulla salute fisica del bambino, quanto risultati devastanti sul suo spirito, ed egli da quel momento in poi vive nel timore notturno di veder arrivare il padre e, di punto in bianco, di venire chiuso fuori casa. Il padre è dunque considerato come un essere (“un gigante”, lo definisce Franz) che detiene potere di vita e di morte nei confronti del figlio, e la sue fisicità prorompente è in netto contrasto con la piccolezza e la gracilità del figlio.
Citazione: “Carissimo padre, di recente mi hai domandato perché mai sostengo di aver paura di te. Come al solito, non ho saputo risponderti niente, in parte proprio per la paura che ho di te, in parte perché questa paura si fonda su una quantità tale di dettagli che parlando non saprei coordinarli neppure passabilmente. E se anche tento di risponderti per iscritto, il mio tentativo sarà necessariamente assai incompleto, sia perché anche nello scrivere mi sono d’ostacolo la paura che ho di te e le conseguenze, sia perché la vastità del materiale supera di gran lunga la mia memoria e il mio intelletto.” …
Cedric il sassone, cieco custode delle tradizioni – Ivanohe di Walter Scott
Il romanzo è ambientato in Inghilterra intorno al 1194, quando la conquista normanna dell’isola erano avvenuta da tempo, e le popolazioni sassoni erano ormai sotto il giogo del conquistatore. Cedric è il prototipo del signorotto sassone orgoglioso delle sue origini e della sua casata, e non si discosta dalle tradizioni anche quando questo va contro ogni ragionevolezza. Soprattutto ferisce i sentimenti dei suoi familiari: Rowena, la nobile fanciulla di cui è il tutore, e il suo stesso figlio Ivanohe, innamorato della fanciulla promessa sposa a un altro.
Cedric ha persino diseredato il figlio, colpevole ai suoi occhi di voler impalmare la fanciulla, e continua nel suo atteggiamento cieco e sordo con la massima testardaggine. Nel romanzo, la sua cocciutaggine lo rende una figura un po’ ridicola e lo porta nel gruppo del coro comico, insieme al suo buffone Wamba, l’unico che ha facoltà di prenderlo in giro. Probabilmente rappresenta la figura del conservatore e del tradizionalista, come ce ne sono tanti anche ai giorni nostri.
Citazione: D’un tratto, Cedric fu risvegliato dalle sue fantasticherie dal suono di un corno al quale fecero eco i furiosi latrati di tutti i cani nella sala e di altri venti o trenta ospitati nelle altre parti della casa. Si rese necessario l’impiego del bastoncino bianco, coadiuvato dagli sforzi dei domestici, per zittire quel fragore canino. – Alla porta, schiavi! – ordinò il sassone, concitato, non appena il tumulto fu sedato quel tanto da permettere ai servi di sentire la sua voce. – Andate a vedere quali notizie ci porta quel corno… l’annuncio, mi immagino, di qualche rapina consumata nelle mie terre. –
Mr Bennett, l’inno al quieto vivere – Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen
Mr Bennett in Orgoglio e pregiudizio, miniserie televisiva britannica della BBC |
Mr Bennett è un flemmatico gentiluomo inglese, che ama chiudersi nella biblioteca della sua dimora di campagna. Chiede solamente un po’ di pace per trascorrere il tempo in compagnia di un buon libro, accanto al focolare domestico. Evita accuratamente i rapporti umani in quanto fonte di sicura molestia e, quando vi è costretto, esercita la sua fine ironia su chi lo circonda.
Ha infatti la sventura di essere sposato a Mrs Bennett, una donna petulante la cui unica ambizione è maritare le cinque figlie. Visto il numero di elementi femminili in casa, è costantemente sotto attacco, e d’istinto il lettore si sente portato a simpatizzare con lui. La sua predilezione va comunque alla secondogenita delle sue figlie, Elizabeth, che ritiene “abbastanza intelligente per essere una donna” e alla primogenita Jane, una ragazza dolce e quieta. Non si preoccupa granché dell’educazione delle figlie, compito che demanda interamente alla moglie, e con risultati catastrofici. Solamente quando una serie di eventi turberà gravemente la quiete domestica, Mr Bennett sarà costretto a intervenire di persona e a lasciare a malincuore la sua amata biblioteca per partire alla volta di Londra.
Citazione: “Ti sta davanti, Elizabeth, una brutta alternativa. Da oggi in poi diventi un’estranea per uno dei tuoi genitori; se non sposi il signor Collins, tua madre non ti vuol più vedere, e se lo sposi, sono io che non ti vorrò vedere più.” (Mr Bennett)
Ritratto di Edward Murdstone di Frank Reynolds (1910) |
Mr Murdstone non è un padre, quanto piuttosto un patrigno avendo sposato, nel romanzo, la madre di David in seconde nozze. Ad ogni modo ho voluto inserirlo nella mia carrellata perché, secondo me, è una delle figure paterne più terrificanti nella storia della letteratura.
Il suo primo tratto inquietante è la personalità cerimoniosa e galante che egli mostra quando è impegnato a corteggiare la madre di David (“la graziosa vedovella”, come emerge durante una conversazione con un amico, colta dallo stesso David ancora bambino), e che com’è ovvio è falsa. Una volta ottenuto il suo scopo, sposare Clara, getta ben presto la maschera insediandosi saldamente in casa Copperfield come nuovo padre-padrone con la complicità della sorella, Miss Murdstone.
Egli mette in atto tutta una serie di raffinate torture spirituali per ferire la moglie, e separarla affettivamente dal figliastro che egli vede come il fumo negli occhi. Quello che è più spaventoso in Murdstone è la sua impassibilità – suggerita anche dal cognome (stone = pietra) – e il fatto che egli non perda mai la calma e non alzi mai la voce. Ha l’assoluto controllo delle sue emozioni e domina con pugno di ferro le persone che lo circondano. Tuttavia egli usa lo staffile nei confronti del figliastro con tutta la delizia di un sadico, secondo solo al maestro di collegio presso cui David verrà esiliato.
Citazione: Ma il momento più drammatico di queste miserande lezioni è quando mia madre (pensando di non essere osservata da alcuno) cerca di darmi l’imbeccata muovendo appena le labbra, Nell’istante stesso la signorina Murdstone, che non ha aspettato altro per tutto quel tempo, dice con voce profonda e ammonitrice: “Clara!” Mia madre sussulta, diventa rossa e sorride debolmente. Il signor Murdstone si alza dalla poltrona, prende il libro, me lo tira addosso o me lo dà sulle orecchie e mi spinge fuori dalla stanza per le spalle.
Salvo Randone interpreta magistralmente il padre dei Karamazov nello sceneggiato RAI del 1969 |
Il vecchio Karamazov, ovvero una sentina di vizi (I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij)
Si tratta dell’ultimo romanzo dello scrittore russo, ed è imperniato sulle vicende di una famiglia di possidenti terrieri, i Karamazov, composta dal padre e dai tre figli maschi, oltre che da un figlio illegittimo. Ogni fratello è differente nel carattere e nelle aspirazioni, quindi abbiamo l’impetuoso Dmitrij, il cerebrale Ivàn e lo spirituale Alëša; non da sottovalutare l’infido Smerdjakov che farà da detonatore alle tensioni che, ad ogni istante, minacciano di deflagrare in famiglia.
L’oggetto del contendere tra il vecchio Karamazov e il suo primogenito è una questione ereditaria, che ben presto si complica quando entrambi desiderano ottenere i favori di una donna bellissima, soprannominata Grušenka. Non è certamente un esempio edificante, eppure la figura di questo padre è davvero potente e complessa nel suo concentrato di avidità, di libidine, di sinuosità, di buffoneria, ma anche di improvvisi slanci d’affetto, specie nei confronti di Alëša. Poche figure di padri nella storia della letteratura hanno avuto la sua capacità di indurre curiosità e ribrezzo al tempo stesso.
Citazione: Alëša si alzò a un tratto da tavola, esattamente come sua madre secondo il racconto; giunse le mani, poi se ne coprì il viso, cadde come falciato sopra una sedia e si scrollò tutto in un accesso isterico di lacrime improvvise, convulse e silenziose. La sua straordinaria rassomiglianza con la madre fu quello che più impressionò il vecchio. – Ivàn, Ivàn, dagli presto dell’acqua! Ha fatto come lei, punto per punto come lei, come sua madre allora! Spruzzalo di acqua con la bocca, così facevo io. Lo deve a sua madre, a sua madre… – mormorava ad Ivàn. – Ma sua madre, penso, era anche la mia, che cosa credete? – proruppe a un tratto Ivàn con iroso e incontenibile disprezzo.
La moderna odissea di un padre – Se questo è un padre di Andrea Ruffolo
La copertina del libro, edito da edizioni Effigi http://www.cpadver-effigi.com/ |
Non è un caso se ho inserito il padre protagonista di questa storia in fondo alla mia galleria di ritratti, in quanto si ricollega in qualche modo alla prima figura presentata nel post: Ulisse. Il libro di Andrea non è definibile come “romanzo”, ma a buon diritto merita di essere inserito, se non altro perché gran parte delle vicende narrate e veramente accadute… va al di là di ogni immaginazione romanzesca.
Se questo è un padre è una storia d’amore tra un padre separato e sua figlia. Rapporto d’amore che una legislazione folle e una burocrazia altrettanto cieca hanno messo a dura prova. L’autore narra in prima persona la sua lunga battaglia per strappare al legislatore qualche ora di tempo in più con l’unica figlia. Soprattutto, si batte per non venire estromesso definitivamente dalla vita della bambina, e veder compromesso per sempre un legame affettivo essenziale per la salute fisica e mentale di entrambi. Come padre dei nostri giorni, Andrea ha inoltre un lato materno che egli sa esprimere nel suo rapporto con la piccola Emma, detta Chicca.
Materia incandescente, dunque, che sarebbe bastato poco a far scadere nel piagnisteo o nella corrosività. Invece l’autore riesce, con il suo stile inconfondibile fatto di calembour, giochi di parole, battute, citazioni colte, a restituirci una narrazione grottesca, e malinconica a tratti, ma priva di odio. Essa si offre al lettore come una specie di “commedia dell’arte” all’italiana: tragica fin che vogliamo, ma sempre commedia. La sua testimonianza ha sia un valore letterario per la forma di scrittura adottata che un intento civico, perché evidenzia una delle molte storture legislative italiane di una bilancia che pende tutta a favore di una delle parti in causa; e ve ne consiglio la lettura.
Citazione: Come fa un figlio a capire se un genitore esagera o meno? Non ha termini di paragone, il padre o la madre per apprensivi o incoscienti che siano, sono tutto il suo universo. Allora è dilaniato dalle logiche di schieramento; mentre si schiera con l’uno, l’altra sua parte si ribella per quel tradimento che deve condurre a una terribile scelta definitiva per evitare il rinnovarsi del conflitto interiore. La prospettiva di una tua possibile scelta per la mamma, più di ogni altra cosa mi terrorizzava. Non solo e non tanto per la frustrazione mia, quanto per il tuo dover negare tuo padre a te stessa.
Nella saga crociata ci sono due coppie emblematiche di padri e di figli: Geoffroy de Saint-Omer, il cavaliere fiammingo, e il figlio François, legati non solo da affetto ma da una profonda comunione spirituale, che in qualche modo ricorda il rapporto Ulisse-Telemaco. Saranno separati dalle vicende storiche e cercheranno disperatamente di riavvicinarsi. Di contro, il rapporto tra il saraceno Ghassan e il padre, un governatore del Maghreb, è improntato a tirannide, conflitto, disprezzo e odio reciproco che cova sordamente. In questo caso il vecchio teme il giovane, perché sa che il figlio lo vuole scalzare in tutti i modi.
Ed ora a voi! Vi vengono in mente altri esempi in letteratura che considerate capitali? Quanta parte ha il tema della paternità nelle vostre vite e nei vostri romanzi?
Che bel post!
Allora, il tema della paternità è sempre molto, molto presente nei miei scritti, a volte come presenza, a volte come assenza.
Mio padre ha una personalità molto forte. È stato un ottimo padre, molto impegnato (da piccola era spesso malata e, in un momento storico in cui era molto inusuale, lui non esitava a chiedere permesso per accudirmi, quando mia madre non poteva) e tuttavia è stato difficile non venirne schiacciata. In qualche modo tutti i miei protagonisti devono venire a patti con i loro padri, reali o spirituali e accettarli anche nelle loro debolezze. Uno dei romanzi a cui non riesco a trovare casa (uno dei tanti, sic…) è tutto giocato su questo tema.
Mio padre era un reduce della guerra d'Africa e, nonostante le sue esperienze terribili, era solare ed estroverso di natura (tutto il contrario di mia madre, che invece è molto chiusa), sebbene con un fondo di malinconia. Anche lui era un padre sui generis per l'epoca, perché sapeva far tutto in casa, essendosi sposato tardi. L'unica cosa che non sapeva fare era stirare!
Penso che tutti noi dobbiamo fare i conti con i nostri padri, sia come figlie femmine che come maschi, perché è comunque una figura di riferimento importantissima, che ti può incoraggiare o tarpare molto le ali. Il rapporto con la madre è ancora diverso.
Il tema della paternità è spesso presente nei miei scritti, forse perché non ho mai avuto un buon rapporto con il mio.
Il protagonista di cui mi sto occupando non ha mai conosciuto suo padre, la cui figura è avvolta dal mistero. E, a sua volta, quando avrà una bambina dovrà fare i conti con questa profonda assenza.
Anche i due comprimari (rispettivamente compagna e migliore amico) hanno un rapporto conflittuale con il proprio genitore maschio, al punto che mi sono domandata "non è che per caso ho esagerato?". No. La storia deve venir fuori così. E tutte queste situazioni sono funzionali sul piano narrativo. Quindi ben vengano. 🙂
Ricordo che in più di un'occasione hai raccontato di non avere un buon rapporto con tuo padre. Come scrivevo all'inizio del post, io l'ho conosciuto davvero più avanti, quando ero adolescente e lui era andato in pensione. Da una parte ci sono stati degli attriti, proprio perché non ero abituata alla figura paterna, dall'altra mi faceva piacere passare un po' di tempo con lui.
Il protagonista della tua storia mi ricorda alla lontana il rapporto Ulisse-Telemaco, che sente molto l'assenza del padre.
Un post bellissimo e toccante. I padri letterari che hai scelto scandagliano la figura del padre nei suoi molteplici aspetti e sono davvero esempi capitali. Ci chiedi se ce ne vengono in mente altri e il mio pensiero è andato all'orologiaio di Everton di G. Simenon, una figura paterna che mi ha molto impressionata e commossa. Il padre è un signore un po' "grigio", modesto, metodico e onestissimo, compie ogni giorno gli stessi gesti alla stessa ora e non si sognerebbe mai di infrangere una regola: eppure accetta gli atti criminali del figlio con immenso amore e forse con un pizzico di ammirazione per il suo atteggiamento di rivolta.
Personalmente, ho avuto la fortuna di aver "beneficiato" di un padre sempre molto presente (purtroppo è venuto a mancare troppo presto): un misto tra Mr Bennet (per l'ironia, la flemma e il grande amore per i libri) e il padre "con un lato materno" premuroso, affettuoso e protettivo, che ci descrivi nell'ultimo dei tuoi ritratti, parlando del libro di Andrea Ruffolo.
Anche le mie figlie forse hanno una leggera preferenza per il papà, ma non sono gelosa: anzi mi fanno venire in mente il rapporto privilegiato che ho avuto con mio padre.
Ciao Stella, grazie del tuo bel commento. L'orologiaio di Everton non appartiene alla collana di gialli del commissario Maigret, vero? Simenon comunque è uno dei miei autori preferiti per lo stile: con pochi tocchi riesce a tratteggiare un personaggio come solo i veri scrittori sanno fare.
Mi è piaciuto molto il ritratto che hai dato di tuo padre, da come ne parli si tocca con mano che avete avuto un bellissimo rapporto. Poi secondo me le figlie femmine hanno con il padre una relazione davvero speciale, non c'è niente da fare! 🙂 Con il figlio maschio ci può essere complicità, ma spesso anche conflitto come accade quando ci sono due galli nello stesso pollaio. Mio figlio e mio marito, ad esempio, spesso comunicano a grugniti! 🙁
Cara Cris, ho letto con attenzione e piacere anche questo tuo post e mi è venuto in mente un altro padre "famoso", Alexei Alexandrovich Karenin, anche il suo ruolo risulta in bilico tra un padre affettuoso, ma spesso distaccato e un altro severo, distante o assente. E anche qui il bimbo, il figlio diventa uno strumento nelle mani di un genitore che non ha altro da contrapporre alla madre, colpevole, sappiamo… Forse tu che sei così abile nell'indagare a fondo la psicologia dei personaggi d'autore, potresti aggiungere o correggere il tiro 😉
Ciao Marilù, grazie di essere passata a trovarmi! Karenin è un altro padre interessante, non mi è venuto in mente anche perché le figure di padri sono tantissime e a dire il vero non mi ricordo bene l'intera storia di Anna Karenina, al di là del famoso episodio di adulterio, avendolo letto molti anni fa.
Purtroppo non sono molte le figure paterne realmente attraenti in letteratura secondo il nostro moderno sentire. Mi viene in mente ora papà Goriot di Honoré de Balzac, che si sacrifica fino all'ultimo per amore delle figlie, o anche re Lear di Shakespeare. Ma i padri severi o durissimi sono la stragrande maggioranza, perché una volta i figli erano davvero proprietà paterna.
Mi sono goduta il tuo articolo dalla prima all'ultima parola. 🙂 Non mi addentro in ambito letterario, perché fatico molto a ripescare dati da letture spesso lontane (e con la mia memoria diventano presto lontane!).
Dire che fatico a creare una figura paterna nelle mie storie è riduttivo. In linea di massima nei miei racconti e romanzi i padri sono assenti, perché morti, impazziti o scomparsi a seguito di una separazione. E' forse indelicato dirlo, ma credo che in me manchi un'immagine di padre abbastanza reale e interessante da descriverla, anche in negativo. Questo, credo, perché con il venire a mancare del padre-padrone, si è creato un vuoto in cui non molti uomini assumono un ruolo reale. Finito il semplice autoritarismo, con i figli è necessario addentrarsi nell'ambito affettivo, quasi sempre occupato dalla figura materna, apportando (in teoria) un contributo originale, che però può venire solo dall'avere coltivato la propria vita interiore come individuo prima di tutto. Questa attitudine alla crescita personale, secondo me, in molti uomini (certo non tutti) spesso manca, e da qui l'assenza. (Spero di non fare arrabbiare nessuno!)
Grazie infinite del tuo contributo, che come sempre è completo e interessante, e tocca un nervo scoperto a proposito della figura paterna. Come scrivevo all'inizio dell'articolo, la crisi di questa figura ha determinato un vuoto importante nell'universo filiale, e gli stessi padri stentano a formarsi una nuova fisionomia e a ricavarsi uno spazio tutto loro in maniera equilibrata. Questo succede non solo con i figli, naturalmente, ma come ben si sa anche con la moglie o la compagna della propria vita con reazioni spesso violente.
Nel libro che cito per ultimo, quello di Andrea Ruffolo, invece, la cosa che mi ha colpito è la tenerezza che l'autore mostra per la figlia sin da neonata, la capacità di esprimere un lato affettivo molto profondo che, negli uomini, è stata soffocata per ragioni sociali e di apparenza esteriore.
Il fatto che tu non abbia in mente un'immagine di padre letterario degna di essere descritta non è poi così grave! 🙂 Anche per me ci sono delle categorie difficili da descrivere, come quelle degli adolescenti.
Urca, per me è ancora difficile, è mancato meno di un anno fa e forse sto completando la fase di elaborazione ora, anche se quando affermo che "non sarò + quella di prima" ne sono fortemente convinta, ma alcuni mi dicono "oh dai." Tra i padri in letteratura il mio wow va tutto a Atticus Finch de Il buio oltre la siepe – il mio uomo ideale, padre fantastico di due bambini laddove la mamma proprio non c'è. I papà in ciò che scrivo sono funzionali al testo, nel romanzo che sto scrivendo ora ci sono due padri molto simpatici, positivi, umani, non sono i protagonisti ma hanno ruoli importanti e ne escono bene. bacio Sandra
Davvero wow ad Atticus Finch! Saper crescere i figli in libertà di spirito ed essere un esempio di coerenza in una situazione tanto difficile non è da tutti.
Sandra, grazie per il tuo commento. Io ho perso il mio una ventina d'anni fa, eppure è come se fosse ieri. Era mancato per una malattia dal decorso molto rapido e se da una parte non era rimasto molto in ospedale, dall'altra aveva sofferto moltissimo negli ultimi tempi. Ce l'ho ancora davanti agli occhi. Quando mancano i genitori, è come un ponte che crolla, a livello razionale pensi che è giusto che sia così, cioè che il genitore ci preceda, ma a livello affettivo ti senti più solo.
Che posso dire di Atticus Finch? Che mi sgrido da sola per non averci pensato! Chissà come mai, istintivamente il pensiero va a figure di padri punitive, forse perché sono la stragrande maggioranza. Atticus è davvero il padre modello, sia per la sua lealtà interiore che, senza tanti paroloni e prediche, ma solo con l'esempio, insegna ai figli, sia per la capacità di ascolto che ha, dote rara ancor più se si pensa all'epoca.
Mi associo a Grazia nel ripetere: wow ad Atticus Finch! Da solo meriterebbe un post. Sia il libro che il film, poi, sono bellissimi.
Ringrazio Cristina Cavaliere per avermi onorato inserendomi nel suo Blog raffinato e privo di alterigia. Secondo, per avermi ancor più onorato inserendomi nella lista dei padri più noti della letteratura!! Davvero troppo!
Spicca in questa carrellata di padri l' Ulisse omerico, a cui mi riallaccerò alla fine del commento.
In letteratura il padre è presente come “figura narrata dal figlio” ( Kafka; Dickens, Karamazov). Nel mio racconto è invece il padre-protagonista che parla alla figlia, raccontandole la vicenda famigliare. Ecco la singolarità di un amore, così esposto sul crinale di odiose invettive materne, a sostenere entrambi durante i penosi anni di esilio e di dissidio giudiziario. In fondo questo è un racconto dello stupore: lo stupore del male e lo stupore che quel male provenga proprio da chi abbiamo di più amato e da cui abbiamo voluto un figlio.
Tra i non molti padri letterari che parlano dei figli, vi è il Conte Ugolino che fa risonare l'intero Inferno di quel commovente grido "Anselmuccio mio” e “Gaddo mi si gittò disteso a' piedi, dicendo: "Padre mio, ché non m'aiuti?”. In pochi versi, quel monumento di umanità e di inarrivabile poesia che era Dante, ci ha dipinto la tragedia del padre di fronte all'avversità del destino.
Dunque si dovrebbe concludere che la figura paterna anche negli accenti di tenerezza non era sconosciuta in antichità.
In realtà questa tenerezza paterna è assai rara in letteratura; il padre-capofamiglia pensava al reddito o alla guerra e delegava alla sposa il compito di accudire i figli. Ecco perché la figura del padre rimane misteriosa.., relegata nell'angusto (e ingiusto) profilo del moralizzatore e non di rado tiranno, rispetto alla figura materna.
Ancora più raro il padre che parli del suo amore per la figlia. Seppure non manchino accenni letterari notissimi, come il Crise dell'Iliade con quel “deh mi sciogliete la diletta figlia” che attesta di padri proclivi a sentimenti di struggente affetto per le figlie.
O Victor Hugo che per la perdita della figlia, affranto dal dolore dice:
“moi qui fus faible comme une mère” (…) .
Pertanto il padre che narra dei figli è rarissimo in letteratura. “Se questo è un padre” come ha rilevato Cristina, esula dal format del romanzo, ma questo accade a chiunque ( esempio: “Se questo è un uomo” ) rientri nella fattispecie autobiografica, dove i fatti veri necessitano di un'astrazione dalla sconvolgente emozione della realtà, anziché l'inverso, cioè l'immedesimazione per rendere un'emozione immaginata verosimile.
Ci terrei anche a un'altra considerazione, e cioè come il ruolo del padre moderno sia mutato specularmente a un ingresso più deciso della donna nella società (persino militare!). Il padre oggi colma una minore presenza della donna-madre in famiglia: non dovrebbe stupire trovare padri più “mammi” come mamme più “pappi”. "Se questo è un padre" per rendere comprensibile questo processo, traccia la parabola che va dal momento dell'amore a quello del rancore, nelle aule giudiziarie.
Torno ad Ulisse: due Odissee separate da tremila anni! Ulisse non è un padre altruista: subordina la sposa e il figlio, alla sua sete di vita-curiosità. Rivede Telemaco dopo 20 anni di distacco, ma l'affetto fu tenuto vivo da una Penelope “ancora innamorata”. In altre parole se c'è l'amore dei coniugi, questo si riflette inevitabilmente sui figli dando loro serenità anche se non c'è la loro fisica presenza.
Se il buon senso prevalesse in queste vicende, si aiuterebbe i figli a vivere meglio. E' per questo che spero con questo lavoro di aiutare chi attraversa simili frangenti.
Andrea N. Ruffolo
Ringrazio Andrea che, come autore vivente (e per fortuna, direi!) ci ha potuto offrire questo bellissimo commento, che meriterebbe più il nome di "approfondimento". L'argomento del padre è sterminato e riguarda tutti noi come figli, come padri o come madri, perché figura in rapido mutamento.
Andrea, del tuo ricordare il conte Ugolino e della sua terribile vicenda, aggiungo un'altra, straziante domanda che, all'inizio, il conte pone a Dante direttamente: "Ben se' crudel, se tu già non ti duoli pensando ciò che 'l mio cor s'annunziava; e se non piangi, di che pianger suoli?" come a dire che il dolore per quanto si accinge a narrare, cioè la morte dei figli, è al di là di ogni possibile descrizione per chi non l'abbia vissuto, ma solo immaginato. Ma che è il Dolore Sommo.
Ricordo anche nitidamente un articolo apparso su un quotidiano a proposito di un personaggio illustre vissuto nel 1600, periodo in cui la mortalità infantile nei primi anni era altissima: che si rifiutava di chiamare i suoi figli per nome fino a che non avessero avuto 3-4 anni. Questa cosa non era spiegata per durezza di cuore, ma come una forma di difesa interiore, per non affezionarsi troppo a questi piccoli che, nella maggior parte dei casi, erano destinati a morire. Anche questa è una forma di tenerezza, sebbene strana ai nostri occhi moderni. Come sempre, non bisogna giudicare mentalità di secoli or sono con il nostro metro di giudizio.
La tua frase conclusiva è emblematica, cioè che le vere vittime di queste contese giudiziarie dove i genitori sono l'un contro l'altro armati sono sempre i figli, che spesso non hanno gli strumenti degli adulti per potersi difendere, e in cui il “dover scegliere” (e non è una vera scelta, in realtà, ma qualcosa di imposto esternamente senza che vengano ascoltati) porta a un dolore centuplicato. Ti auguro dunque buon lavoro… su tutto!
Non ho letto il tuo libro, ma ti ringrazio ugualmente per avere trattato un tema così importante e per essere un padre presente, che combatte per non perdere il diritto a essere un genitore di serie A. Si sentono vicende in proposito davvero tristi, e considerato che la divisione di una famiglia è comunque di per sé triste, è doloroso che spesso il coniuge e/o la legge peggiorino la situazione.
In questi ultimi anni a Milano ho letto spesso casi davvero tristi di padri separati e spolpati economicamente a tal punto che sono costretti a dormire in auto.
Ho letto anche di alcune organizzazioni caritatevoli, sempre a Milano, che hanno aperto luoghi belli e accoglienti, dove non solo possono alloggiare e condividere le loro esperienze con altri papà nella stessa situazione, ma anche trascorrere nel tempo con i bambini.
Aggiungo una nota su Père Goriot,( imperdonabilmente non rientrato nella nota precedente) in cui Balzac dall'alto del suo cinsimo ci presenta questo padre, vittima del suo amore per le figlie fino al punto di indebitarsi. Ma in fondo, mi domando che cosa c'è di più sano nella nostra vita se non l'amore che ci lega ai nostri figli. Cito me stesso
«Chicca i soldi in Paradiso non comprano nemmeno un grammo di coscienza pulita e nemmeno un ricordo dei momenti belli che non si sono vissuti; quando sarò lassù al pensarci il mio cuore
volerà alto come un falco…». Ancora un grazie a Cristina per questo bel post.
Andrea N. Ruffolo
Grazie a te per questo ulteriore commento e per aver citato un passaggio del tuo libro. Sono contenta perché ne sta nascendo un bel dibattito. A presto!
sì certamente, Cristina…e come dimenticare quell'immortale "ahi , dura terra perché non t'apristi?" che chiude il passaggio? troppo poco spazio invero per esprimere l'importanza di questo tema. Ecco, che come hai detto il dolore per la perdita di un figlio, è il dolore sommo dell'animo. Cosa che per restare in ambito fiorentino assocerei con quell'altro capolavoro di arte che è la Pietà di Michelangelo. La Vergine Madre, Figlia del Suo Figlio: ma come dici tu Cristina, il tema è così vasto e profondo che ridurlo in
poche righe sembra quasi delittuoso.
Andrea Nikolaevic Ruffolo
Questo blog è stato pensato proprio per offrire uno spazio anche di riflessione su temi profondi. Il dolore per la perdita di un figlio meriterebbe proprio un capitolo a sé. Quindi ben venga questo tuo ulteriore pensiero, e grazie per aver menzionato la Pietà di Michelangelo e la figura della Madonna, in cui si concentra tutto il dolore non solo di una madre, ma del mondo.
Ciao Cristina, il tema è bellissimo e assai difficile, ma tu ce lo proponi, come sempre, nel migliore dei modi: complimenti, sei bravissima!
Per rispondere alla tua prima domanda, vorrei citare due romanzi, molto diversi tra loro, anche molto lontani anagraficamente l’uno dall’altro, ma entrambi, seppure in modo differente, ci fanno capire quanto il rapporto padre-figlio sia comunque un tema contorto.
Il primo romanzo è La coscienza di Zeno, di Svevo perché qui il protagonista, Zeno Cosini, è un uomo che ha vissuto un difficile rapporto con il padre. Egli è un uomo che per anni e anni si tormenta nel cercare di capire quale possa essere il senso della propria esistenza, messa mille volte in discussione da un padre, impietosamente giudicante e perennemente insoddisfatto del carattere e delle scelte del figlio. Zeno, però è anche un uomo che, alla fine, ritrova il suo senso e la sua serenità, ricorrendo all’analisi e accettandosi così com’è, con il suo carico di dubbi e incertezze. In questo romanzo emerge una figura paterna autoritaria, normativa, emotivamente distante.
Il secondo, invece, è frutto della letteratura dei giorni nostri: si tratta de Gli sdraiati di Michele Serra e affronta un rapporto padre-figlio diverso, nel quale, ancora una volta, un padre, cinquantenne, si rivela incapace di relazionarsi con slancio affettivo al figlio, adolescente, vissuto come un alieno. Se Svevo tratteggiava una figura paterna dura e prevaricatrice, Serra mette in luce un’immagine di padre confusa, che dichiara il proprio fallimento genitoriale, un uomo che, nonostante la paternità, tutto sommato, continua a non riuscire a trovare la propria identità (nonostante il tono leggero del romanzo quel padre resta un personaggio malinconico).
Non intendo sottrarmi alla seconda domanda, il tema è indubbiamente importante, oltre che spigoloso. Ho perso mio padre quando ero molto piccola, per cui ho sperimentato soprattutto la sua assenza e talvolta mi rendo conto che alcuni miei personaggi sono “anche” dei surrogati di un’immagine paterna, volutamente e deliziosamente aspirazionale.
Un abbraccio!
Cle-Dani
Ciao Clementina, grazie per il tuo prezioso contributo, molto bene argomentato e che è un ulteriore approfondimento. La figura del padre, nei secoli, è sempre stata misteriosa a mio avviso, perché incapace di estrinsecare quella tenerezza e quell'orgoglio per i figli che, invece, fungono da sprone alla formazione di una personalità completa e ricca di sana autostima. Mi viene in mente a questo proposito anche la figura del padre nel romanzo "I Buddenbrook" di Thomas Mann, o anche il principe Francalanza ne "I Vicerè" di de Roberto, tutte figure temibili e durissime con cui confrontarsi.
Dei due romanzi che proponi, ho letto solo il primo, ma ne conservo un ricordo sbiadito, forse perché è un romanzo complesso che all'epoca non colsi in tutte le sue sfumature. Del secondo invece ho molto sentito parlare, quindi ti ringrazio per la tua analisi puntuale.
Mi dispiace per la perdita di tuo padre,che rimane sempre come un vuoto, piccolo o grande che sia. Anch'io ho vissuto la figura paterna come assente nella mia infanzia, sia pure in modo diverso dal tuo come raccontavo, e credo che l'affollamento di personaggi paterni nei miei romanzi sia dovuto a quello. Il padre ideale nei miei romanzi è Geoffroy de Saint-Omer, una specie di Atticus Finch ante litteram (anche lui è vedovo). Pur essendo un uomo medievale, per certi versi ha anche delle anticipazioni moderne dovute alla sua profonda onestà e spiritualità interiore.
Un abbraccio e grazie ancora,
Cristina