Lo scienziato Albert Einsten così spiegava ai profani la teoria della relatività, nel suo modo spiritoso: “Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività.”

Ho menzionato lo scienziato tedesco (qui fotografato mentre ci fa la lingua) per introdurre il mio post sui romanzi e le raccolte di racconti con differenti velocità di lettura: alcuni fanno l’effetto di una bella ragazza oppure di una stufa rovente applicata alle natiche a seconda dei casi.Tutti noi, lettori accaniti, ci siamo imbattuti in differenti tipologie di romanzi a velocità variabile: pagine che scivolano rapide come saponette su un piano inclinato, altre che procedono, lente ma inesorabili, verso la loro meta, altre ancora che sembrano essere diventate pesi di 15 kg l’uno attaccati ai piedi del lettore.
Naturalmente anche in questo campo tutto è soggettivo, e abbiamo senz’altro opinioni contrastanti su ciò che sia “pesante” alla lettura, a seconda dei nostri gusti. La cosa dipende da molti fattori, alcuni dei quali sconcertanti:
–  il genere. Chi non ama la fantascienza troverà illeggibile un romanzo di Philip K. Dick o di Isaac Asimov. Ad esempio io non amo le storie di spionaggio, e quindi sono sicura che troverei noiosa e complicata La talpa di Le Carré, anche se mi hanno detto che è un capolavoro, e mi si ingarbuglierebbero i tracciati neuronali dopo poche pagine;
lo stile dell’autore, indipendentemente dalla lunghezza del tomo. Ho divorato il possente I pilastri della terra di Ken Follett, mentre ho trovato faticosissimo il pur breve Il bosco degli urogalli di Mario Rigoni Stern;
lo stato d’animo del momento. Se ci si trova in un periodo dell’esistenza dove si soffre di profonda depressione, e senso di sfiducia nel resto dell’umanità, non è consigliabile la lettura del terribile 1984 di Orwell;
– il luogo in cui si legge. Ho appena terminato Mondo senza fine di Ken Follett, un romanzo storico talmente voluminoso che a malapena riuscivo a tenerlo in mano. Dato che leggo quasi sempre in metropolitana, preferivo prendere i vecchi vagoni con i sedili concavi e profondi e un supporto per appoggiare il braccio. Con i nuovi vagoni ho rischiato di farmi venire un principio di tunnel carpale.
Ritornando ai nostri romanzi, ho provato a farne una classifica sulla base della mia esperienza, partendo dal minimo al massimo e attribuendomi un punteggio di lettura e una motivazione stile scolastico. Vediamo se siete d’accordo con me!
Romanzi che non ho mai avuto il coraggio di leggere

Ci sono romanzi che hanno una fama sinistra anche per chi legge abitualmente. Un libro che ho incrociato spesso sul mio cammino, sia per motivi professionali sia come lettrice, è Ulisse di James Joyce. Affrontare questo romanzo mi ha sempre spaventato, tanto più che ne ho una copia a casa con testo originale a fronte, o forse è proprio per questo motivo. Per chi non lo sapesse, Joyce è detestato o adorato a seconda dei casi, in quanto ha ideato non solamente un vero e proprio stile, seguendo la tecnica del flusso di coscienza, ma è anche l’inventore di una miriade di neologismi. Di Ulisse ho letto solamente il celebre monologo di Molly Bloom senza punteggiatura, oltretutto in lingua inglese in quanto stavo lavorando su un’antologia. Di esso vi do solo l’inizio: 

Lui quel giorno che eravamo stesi tra i rododendri sul promontorio di Howth con quel suo vestito di tweed grigio e la paglietta il giorno che feci fare la dichiarazione sin prima gli passai in bocca quel pezzetto di biscotto all’anice e era un anno bisestile come ora si 16 anni fa Dio mio dopo quel bacio così lungo non avevo più fiato si disse che ero un fior di montagna si siamo tutti fiori allora un corpo di donna si è stata una delle poche cose giuste che ha detto in vita sua e il sole splende per te oggi si perciò mi piacque si perché vidi che capiva o almeno sentiva cos’è una donna e io sapevo che me lo sarei rigirato come volevo e gli detti quanto più piacere potevo per portarlo a quel punto finché non mi chiese di dir di si…

La cosa continua per un altro bel pezzo e, prima che arrivi il punto finale, passa almeno una pagina. Confesso che sono una lettrice vecchio stile, e quindi amante della punteggiatura e dei polmoni ben aerati. So già che non ce la potrei mai fare, con un libro del genere, e quindi lascio perdere ogni volta… anche se il caro Joyce continua a farmi l’occhiolino dallo scaffale.

VOTO: non classificabile (Motivazione: “verifica in classe con foglio consegnato in bianco”)


Romanzi che ho mollato a metà


Il castello di F. Kafka è un romanzo che ho iniziato a leggere per due volte, arrivando sempre a metà e ripromettendomi di riprenderlo, cosa che non è avvenuta. Kafka è uno scrittore che ha sempre avuto curiosi effetti su di me: tanto ho amato i suoi racconti, tanto ho trovato indigesti i romanzi. Probabilmente, però, il mio Q.I. di lettrice è troppo basso per simili imprese… Sono riuscita a leggere Il processo solo perché, la seconda volta in cui l’avevo ripreso in mano, mi sono imposta di leggerlo fino alla fine, fustigandomi a ogni pagina e dicendo “ce la posso fare”. 
Con Il castello il sistema non ha funzionato. Non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo nel romanzo, perché, come saprete, in Kafka non c’è una vera e propria trama, ma un incubo senza fine, e, senza una trama, spesso arranco come una tartaruga vecchia con l’artrite. Oltretutto appartengo al genere della lettrice testona, che quando legge un libro va avanti fino all’ultima pagina, costi quel che costi. 
A parte tutto, Kafka mi piace, per quel poco che sono riuscita a leggere: è insuperabile nel coniugare l’orrore con la normalità. Oltretutto, non è nemmeno vero che senza una trama arranco: in Alla ricerca del tempo perduto  di Marcel Proust non si può dire che ci sia una trama nel senso classico del termine, eppure non ho avuto problemi nel leggerlo. Credo che, quindi, dipenda dallo stile impiegato dallo scrittore praghese.
VOTO: 5+ (Motivazione: “insufficiente, ma il + è per la buona volontà”)



Romanzi che ho mollato a venti pagine dalla fine


Mi è capitato anche questo, e la considero una bruciante sconfitta, molto peggio che non lasciare un libro a metà. È successo una sola volta, ma vi rumino ancora sopra, come un signore feudale che siede accanto al focolare, nel suo maniero, dopo che il nemico gli ha inferto una sonora batosta a un passo dalla vittoria. Del romanzo in questione ho parlato diffusamente in un post dedicato, e quindi non starò a ripetermi. Si tratta di L’arte della gioia di Goliarda Sapienza, un testo cardine del femminismo. Se volete leggere il post, lo trovate qui. Mentre mi contorcevo sul divano nel tentativo di finirlo, mio marito mi ha detto: “Ma lascialo lì!!! Perché soffrire a quel modo?” e quindi ho fatto il classico lancio in stile discobolo. Però sono ancora talmente arrabbiata che non metto neppure la copertina, tiè.
VOTO: 5/6  (Motivazione: “con un po’ di impegno concludevi la prova”)



Raccolta di racconti che ho terminato a fatica

Più sopra ho menzionato Il bosco degli urogalli di Mario Rigoni Stern, e qui vorrei parlarne di nuovo, a riprova che non è la lunghezza che conta, quanto lo stile con cui è scritto un libro. Non mi ricordavo nemmeno che non si tratta di un romanzo, tra l’altro, bensì di una raccolta di racconti, il che rende il tutto significativo. Di solito il racconto è più fruibile del romanzo: chiuso uno, riuscito o meno che sia, si passa al successivo. 
Cito quindi testualmente da una sinossi: Storie di cacciatori, di animali selvatici, di cani, di montagne in cui si respira l’anima degli spazi aperti e di paesaggi impervi solo sfiorati dalla presenza umana. Rigoni sa rendere la limpida immediatezza di ciò che ci circonda e insieme un accento di fiducia nella vita, sprigionando un sentimento altamente poetico e un genuino amore per il suo mondo alpino. “Il bosco degli urogalli” narra di villaggi chiusi nell’inverno con il grato fuoco delle cucine, della solitudine delle albe per i sentieri delle montagne, dei silenzi che riempiono i boschi, attraverso un linguaggio lirico e allo stesso tempo semplice che restituisce al lettore i paesaggi fraterni e familiari del «sergente Rigoni Stern».
Ho trovato questa raccolta di racconti noiosa, forse perché non mi interessa la caccia e non mi interessano gli urogalli. Però ho la montagna nel cuore, essendo trentina di origine per parte materna, e con lunghe estati trascorse tra il verde e le montagne, e certe sensazioni le ho vissute in pieno – il che è, di nuovo, stranissimo. Lo stile è quello di Rigoni Stern, quindi molto schietto e senza pretese letterarie. Ne Il sergente nella neve sulla ritirata di Russia questo stesso stile mi aveva conquistata, facendomi sentire più vicina ai poveri soldati che pativano le temperature polari (ricordo ancora il vino ghiacciato che si staccava a scaglie), che marciavano con le scarpe sfondate, che subivano le incursioni del nemico. La raccolta di racconti, invece, non mi è rimasta impressa per nulla.

VOTO: 6 1/2 (Motivazione: “è intelligente, ma non si applica abbastanza”) 



Romanzi che ho letto in tempi ragionevoli

Per fortuna sono la maggior parte e potrei citarvi tantissimi titoli, sia di autori affermati che di quelli meno noti, e indipendentemente dalla lunghezza, dal genere e dalla difficoltà dello stile. Vi inserisco quindi un paio di copertine dei miei preferiti, nominandovi  tipologie differenti: 

Maigret e l’informatore di Georges Simenon, Neve sottile di Junichiro Tanizaki, Il dandy della reggenza di Georgette Heyer, Ubik di Philip K. Dick, Norwegian Wood di Murakami Haruki, L’opera al nero di Marguerite Yourcenar, Le onde di Virginia Woolf… ecc.
VOTO: 8 (Motivazione: “un buon risultato, ma potresti fare ancora meglio”)




Romanzi che ho letteralmente divorato

Di solito quando parlo di romanzi che ho letteralmente divorato cito sempre La donna in bianco di Wilkie Collins, contemporaneo di Dickens e considerato il padre del romanzo giallo, a rischio di risultare monomaniacale. Qui però vorrei fare un’eccezione e menzionare invece Possessione della scrittrice inglese Antonia Byatt, romanzo del 1990 vincitore del Booker Prize. Nel 2002 dal libro hanno tratto un deplorevole film con i pur bravi Gwyneth Paltrow, Jennifer Ehle, Aaron Eckhart e Jeremy Northam.

Il romanzo narra la storia di due accademici dei nostri giorni, che seguono le tracce lasciate dalla storia d’amore, in precedenza sconosciuta, tra due famosi poeti vittoriani, lo sposato Randolph Henry Ash e la nubile Christabel LaMotte. Si tratta dunque di una vera e propria indagine investigativa, con consultazione di documenti, viaggi per eseguire sopralluoghi, oggetti rivelatori, poesie che si possono leggere in modi diversi. Ci sono anche molti colpi di scena e risvolti appartenenti al romanzo gotico. 

Possessione è scritto bene assai (il tipico romanzo per cui direi “mi piacerebbe averlo scritto io”), ed è movimentato dalla scelta di variare lo stile, usandone uno più veloce e snello per le parti ambientate ai giorni nostri, oppure di tono ottocentesco quando si introducono diari, lettere, poesie del passato. Tocca anche temi considerati scabrosi per la mentalità vittoriana, come il lesbismo e l’adulterio, nonché il senso di indipendenza al femminile. Il titolo si riferisce all’interesse, poi trasformatosi in ossessione, da parte dei due studiosi, che intendono andare fino in fondo alla loro ricerca, persino quando sembra che non approdino più a nulla per mancanza di indizi. Man mano che la caccia prosegue, aumenta il grado di chiarezza non solo sulla qualità del rapporto tra i due ricercatori, ma anche in se stessi. A testimonianza che la curiosità e la voglia di conoscenza è donna e uomo, appartiene a tutti i sessi e a tutti i lettori.
VOTO: 9 (Motivazione: “perché il 10 non si dà a nessuno…”)


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E voi, quali sono i romanzi che vi hanno fatto dannare nella lettura? Quali rileggereste anche domani?