Gabbiani in volo.
Ecco il turno degli uccelli, queste creature alate che solcano i nostri cieli e tracciano le loro traiettorie servendosi delle correnti e rimanendo sospesi con insuperata grazia. Suscitatori di immensa meraviglia nella capacità di organizzare perfette formazioni di volo o stormi che compongono figure fluttuanti, si muovono come una sola intelligenza, prima di migrare seguendo rotte senza mappa e bussola.

Sono creature che fin dall’antichità furono protagoniste di episodi leggendari, compagne e messaggere di dei o interlocutrici privilegiate di santi, come nell’episodio della predica di San Francesco agli uccelli. Con l’avvento del cristianesimo, gli uccelli furono spesso paragonati agli angeli perché dotati di ali e della capacità di sorvolare il mondo con sguardo onnicomprensivo. Molto invidiati dagli esseri umani per questa loro facoltà di staccarsi da suolo e salire a grandi altezze, destarono l’interesse e la meraviglia del genio Leonardo da Vinci, che ne studiò il volo con appunti e disegni, intenzionato a produrre una macchina volante e permettere all’uomo di realizzare il sogno del volo. Il Codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci (1505) è conservato nella Biblioteca reale di Torino.

Le specie e famiglie di uccelli sono migliaia e migliaia, dall’umile e domestico passero al possente albatros dominatore dei cieli marini. Per non scrivere un post troppo generico, prenderò quindi in considerazione alcuni esemplari particolarmente significativi che abbiano avuto un ruolo incisivo nei differenti miti, e nella letteratura antica e contemporanea. Ogni genere di uccello è corredato da una piccola nota con una curiosità. Ne mancheranno moltissimi, com’è ovvio, ma possiamo sopperire alle mie mancanze con i vostri interventi e i vostri ricordi personali. Andiamo quindi in ordine cronologico e cominciamo con:

I corvi di Odino
Odino (anche noto con il nome tedesco 
Wotan, Odin, Wodan) con corvi e lupi
Odino (anche noto con il nome tedesco Wotan, Odin, Wodan) è la divinità principale della mitologia norrena e germanica. Le fonti principali che permettono di delineare la figura di Odino e i miti relativi provengono principalmente dai miti scandinavi, compilati in lingua norrena (l’antenato delle lingue scandinave odierne) nell’Edda, il ramo meglio conservato nonché più recente dei miti germanici. 
Nella mitologia eddica Odino è il principale rappresentante della classe di divinità dette Asi. Si tratta di un dio  sorprendente e complesso, che di volta in volta si presenta come cercatore di sapienza, come custode di segreti, mago e poeta. E anche un viandante che percorre le strade del mondo, comparendo di volta in volta agli uomini sotto svariate fattezze. Sarà anche il condottiero degli dei e degli uomini contro le forze del caos nell’ultima battaglia: il Ragnarök, la fine del mondo

Nelle raffigurazioni, Odino è spesso presentato in compagnia di due lupi e due corvi. Questi ultimi, Huginn e Muninn, viaggiano per il mondo portando notizie al loro padrone. Odino li fa uscire all’alba per raccogliere informazioni ed essi ritornano alla sera, siedono sulle spalle del dio e gli sussurrano le notizie nelle orecchie. Huginn significa “pensiero” mentre Muninn “memoria”. Nel poema eddico Grímnismál, al XX canto si legge significativamente: « Huginn e Muninn volano ogni giorno alti intorno alla terra. Io ho timore per Huginn che non ritorni; ma ho ancora più timore per Muninn. »


Un QI superiore alla media: questo uccello dalla nera e lucente livrea è considerato il più intelligente della sua specie. Nel corso di numerosi esperimenti ha dimostrato di saper ricavare un metodo per aprire contenitori anche complicati e arrivare al cibo. Pare che il corvo sia eternamente affamato, e per questo motivo sviluppi non solo la sua intelligenza, ma anche un forte opportunismo.

Il pellicano come simbolo cristiano

L’insolito pellicano nel Bestiario francese (ca.1450)
Museum Meermanno – L’Aia
Di come l’uomo medievale considerasse gli animali che lo circondavano, e attribuisse loro significati molto diversi dai nostri, ho già parlato nella recensione di Bestiari del Medioevo, un bel saggio di Michel Pastoureau (qui il link, se volete leggerlo). Ricordo brevemente che qualsiasi animale veniva osservato come portatore di messaggi da interpretare, e incarnazione simbolica. Questa simbologia è duplice, e molto spesso virata al negativo. La Chiesa prende come esempio l’animale come soggetto da condannare, allo scopo di ammaestrare ed edificare i fedeli affinché seguano la retta via e non divengano preda di vizi, che lastricheranno loro la strada per l’Inferno.

A questa nomea negativa sfugge per il rotto della cuffia il pellicano. Il fatto che i pellicani adulti curvino il becco verso il petto, per dare da mangiare ai loro piccoli i pesci che trasportano nella sacca, ha indotto all’errata credenza che i genitori si lacerino il torace per nutrire i pulcini col proprio sangue, fino a divenire “emblema di carità” (O. Wirth). Anche nel Physiologus, una raccolta di incerta datazione, forse del II-IV sec. si dimostra il profondo amore del pellicano nei confronti dei suoi pulcini: «quando ha generato i piccoli, questi, non appena sono un po’ cresciuti, colpiscono il volto dei genitori; i genitori allora li picchiano e li uccidono. In seguito però ne provano compassione, e per tre giorni piangono i figli che hanno ucciso. Il terzo giorno, la madre si percuote il fianco e il suo sangue, effondendosi sui corpi morti dei piccoli, li risuscita». Il pellicano è divenuto pertanto il simbolo dell’abnegazione con cui si amano i figli, e da qui a farlo diventare un simbolo di Cristo il passo è stato breve. L’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla Croce e trafitto al costato da cui sgorgarono il sangue e l’acqua, fonte di vita per gli uomini.

Il pellicano medievale: le rappresentazioni degli animali nelle pitture e nelle miniature medievali sono molto spesso fantastiche. Gli artisti erano più interessati a veicolare, con forme e colori, il loro messaggio che non a rendere l’animale in senso figurativo; inoltre in molti casi conoscevano il loro soggetto solo per sentito dire. Lo dimostra la raffigurazione del pellicano proposta sopra, molto più simile a un rapace, specialmente nel becco e negli artigli.

Il viaggio degli uccelli di Farid Ad-Din Attar

Dopo il pellicano cristiano medievale, mi sembra giusto introdurre gli uccelli nel loro insieme, protagonisti di un affascinante libro di letteratura sufi. Il sufismo o tasāwwuf è una forma di ricerca mistica tipica della cultura islamica, ha origini molto antiche e ha prodotto altissimi risultati in poesia, pittura, musica e danza. Non c’è modo migliore di presentare l’opera che utilizzando la quarta di copertina del libro:

La copertina del libro,
di Edizioni Mediterranee.
L’opera – che è un classico nel suo genere – si configura come una sorta di magistrale «favola esoterica», che ha per oggetto il tema del «viaggio», al tempo metaforico e reale, che l’anima intraprende perché si distacca dal mondo transeunte della materialità per tuffarsi nell’oceano senza rive del mistero divino. 

Protagonista un gruppo di volatili (l’upupa, il pappagallo, il falco, il pavone, ecc.) che, riunitisi a convegno, spiccano il volo alla volta del loro bramato sovrano, il Simorgh (o «Fenice») della mitologia iranica, posto agli estremi limiti della terra conosciuta. Per raggiungerlo, dovranno, tra molti pericoli, attraversare «sette valli», che rappresentano altrettante «tappe» o «stazioni» di un vero e proprio itinerario iniziatico, che si ammanta di simboli universali, suscettibili di interpretazioni plurime. 

Dei centomila uccelli avventuratisi alla ricerca del loro Signore, a non più di «trenta» (in persiano: si morgh) sarà però dato il privilegio di raggiungere la tanto agognata meta. Questi, difatti, finiranno per specchiarsi nel volto accecante del Re, alla vista del quale, inceneriti, scopriranno – paradossalmente – di essere tornati al punto di partenza.

Il libro è splendido e lo consiglio vivamente a qualsiasi credo apparteniate, se non altro perché compirete davvero un affascinante viaggio attraverso la lettura delle sue pagine insieme con questi uccelli. Ognuno di loro ha un suo carattere, speranze e ambizioni, esattamente come se fossero esseri umani.

Il ricordo di Dio: I sufi attribuiscono molta importanza al dhikr (ricordo di Dio), perché su di esso si radicano la fede, la conoscenza e la fiducia del ricercatore mediante la concentrazione della propria attenzione. Indubbiamente gli uccelli dell’opera compiono il viaggio verso il loro Signore sulla spinta di questo ricordo.




La rondine del Principe Felice

Il Principe Felice è il racconto dal quale prende nome la raccolta di fiabe Il Principe Felice e altri racconti del celebre scrittore irlandese Oscar Wilde.

Ritratto del Principe di Walter Crane
nella prima edizione del racconto (1888).
Il Principe Felice è una statua posta su una colonna, ricoperta di foglie d’oro e pietre preziose, e pertanto ammirata da tutti gli abitanti di un’innominata città. Una notte una rondine, che si sta recando in Egitto, decide di sostare sulla testa del Principe. Lui le chiede di aiutarlo a cancellare le miserie della città che nella sua vita aveva sempre ignorato ma che adesso, dall’alto della colonna, vede fin troppo bene. Vinta dal suo buon cuore, la rondine decide di aiutarlo e inizia a spogliarlo dei gioielli che lo adornano per donarli ai poveri e ai bisognosi che il Principe le indica.

Il Principe, ormai rimasto senza tutti i suoi ornamenti, consiglia alla rondine di migrare verso l’Egitto prima che sopraggiunga l’inverno, ma lei, affezionata alla statua resta a farle compagnia, fino a lasciarsi morire ai suoi piedi. Il cuore del Principe si spezza allora per il dolore.

« “Portami le due cose più preziose che trovi nella città” disse Dio a uno dei Suoi Angeli; e l’Angelo Gli portò il cuore di piombo e l’uccello morto. “Hai scelto bene” gli disse Dio, “poiché nel mio giardino del Paradiso questo uccellino canterà in eterno, e nella mia città d’oro il Principe Felice mi loderà”. »

In difesa della rondine: Il detto latino “Una hirundo non facit ver” viene tradotto in “Una rondine non fa primavera”. Da decenni le rondini però sono in diminuzione in gran parte d’Europa. Per questo motivo la rondine è stata dichiarata specie protetta, e chi disturba la loro riproduzione è punibile a norma di legge.
Gli uccelli del “maestro del brivido”
La locandina originale del film (1963)
Gli uccelli (The Birds) è un film del 1963 diretto da Alfred Hitchcock, ed è uno dei suoi più celebri.  In un negozio di animali a San Francisco s’incontrano l’avvocato Mitch Brenner e la ricca e giovane Melania Daniels, figlia dell’editore di uno dei giornali della città. Tra i due nasce una forte attrazione, e per buona parte il film avanza sul modello delle commedie sofisticate del periodo. 
Un giorno, però, la donna viene improvvisamente attaccata da un gabbiano che le ferisce la testa. Fatti inquietanti si susseguono, e tutti in rapporto agli uccelli: le galline della signora Brenner si rifiutano di mangiare; durante una festicciola di compleanno uno stormo di gabbiani attacca i bambini; la casa dei Brenner viene invasa da centinaia di passeri che entrano attraverso il camino; un agricoltore viene ritrovato nella propria casa, morto, martoriato dagli uccelli che sono arrivati a strappargli gli occhi; un peschereccio viene assalito dai gabbiani e una trentina di bambini vengono attaccati da una frotta di corvi mentre escono da scuola.

Si tratta di uno dei film più terrificanti di Alfred Hitchcock. Nello stesso tempo è uno dei più enigmatici, e ha scatenato una ridda di ipotesi tra i registi, i critici e gli addetti ai lavori. Vari temi sono coinvolti, come il contrasto tra un animale ritenuto inoffensivo (“il simbolo della gentilezza”, come spiega un’ornitologa a Melanie). e il suo comportamento aggressivo nel film, il concetto della distruzione e della morte, la responsabilità dell’uomo nei confronti delle specie animali e della natura. Il finale non contribuisce a chiarire il significato profondo dell’opera, ma la lascia aperta a varie interpretazioni.Se volete vedere una scena del film, nello specifico i gabbiani che attaccano i bambini alla festa di compleanno, potete cliccare qui. La scena dura 2 minuti e 14, e fornisce un buon esempio di quello che accadrà.

La battuta: il film ebbe un grande successo, anche perché non si era mai visto niente del genere prima di allora, ma fu stroncato da parecchi articoli di critica cinematografica sulla stampa americana. Quando gli chiesero come avesse reagito alle critiche negative a dispetto del successo di pubblico, Hitchcock rispose ironicamente: “Ho pianto per tutto il percorso da casa fino alla banca.”

Amici e nemici di penne e di piume
Woodstock e Snoopy,
amici inseparabili.
Nel mondo del fumetto e dei cartone animati ci sono numerosissimi esempi di piccoli pennuti. Essi diventano, di volta in volta, compagni affezionati o indispensabili nemici, latori di messaggi oppure attenti osservatori. In questa sede ne citerò due su tutti: Woodstock e Titti.
L’uccellino Woodstock: è un personaggio della striscia a fumetti Peanuts di Charles M. Schulz. La sua nascita avviene nel 1967. È un uccello di specie ignota, che potrebbe essere quindi un degno rappresentante per tutte le specie della sua classe. È di colore giallo ed  è il migliore amico di Snoopy il bracchetto, con cui condivide molte mirabolanti avventure e con cui ha lunghi e intensi dialoghi. Questo piccolo uccello dalle piume arruffate parla o pensa servendosi di linee verticali, perfettamente comprese da Snoopy. Spesso vola con la testa all’ingiù e si lava nella ciotola dell’acqua del bracchetto.

Gatto Silvestro balza sopra Titti…
inutilmente!
Il canarino Titti: (Tweety Bird, Tweety Pie o, più semplicemente, Tweety) è un personaggio delle serie animate Looney Tunes e Merry Melodies della Warner Bros. È un giovane canarino, di sesso maschio nonostante le lunghe ciglia, che vive in una gabbietta e canta felicemente come tutti i canarini. Il suo avvistamento di Gatto Silvestro viene commentato con la famosa frase «Oh, oh! Mi è semblato di vedele un gatto…», nella versione originale inglese: «I tawt I taw a puddy tat», deformazione di “I thought I saw a pussy-cat“. 
Gatto Silvestro ne vorrebbe fare un sol boccone, e per arrivare alla preda s’ingegna come può, adopera sistemi sempre più elaborati, lo insegue per ogni dove, ma non riesce mai nel suo intento. Il canarino viene anche difeso da nonna Granny, una vecchina determinata che prende a ombrellate il gatto, e a volte dal temibile mastino Chopper. In questo brevissimo cartone di 0.21, potete vedere insieme Silvestro e Titti. 
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Ho terminato la mia carrellata e mi piacerebbe avere il vostro parere su questo animale così elegante. Che cosa ne pensate degli uccelli in gabbia? Quali altri esempi vi sono cari?