Sono notoriamente appassionata di Storia, in modo particolare del periodo medievale ma non solo. Grazie a un entusiasmante romanzo storico, La vipera e il diavolo, recensito su questo blog (qui il link, se volete), di recente mi sono interessata a un personaggio storico lombardo, che ha tutte le caratteristiche per attizzare la nostra fantasia: 
Ritratto di Bernabò Visconti
di Agostino Caironi (1880-1882).
Raccolte d’arte Ospedale Maggiore di Milano.
Bernabò Visconti 

La mia conoscenza ha avuto risvolti inaspettati, che si sono tradotti in una vera e propria passione. Ormai quel furbastro mi ha presa al laccio, e quindi mi tocca parlare di lui ad ogni momento, andare a visitare i suoi luoghi preferiti e sbrigargli varie incombenze.

Tra gli ultimi incarichi svolti per “messere”, mi è capitato di eseguire alcune ricerche sul suo monumento funebre, un vero e proprio capolavoro di arte scultorea funeraria, ad opera di Bonino da Campione, oggi collocato nel Museo di arte antica del Castello Sforzesco di Milano. Dovevo illustrarlo nel corso di una visita guidata a un gruppo di appassionati come me, appartenenti all’associazione Italia Medievale.

A causa di alcuni inconvenienti e della scarsità di tempo, non ho potuto arringare la folla in lungo e in largo come volevo. Per non rischiare di irritare il soggetto, notoriamente suscettibile, ho quindi ho pensato di omaggiarlo con tre post dedicati a lui: il primo ha come oggetto la sua vita e il suo monumento funebre, il secondo i luoghi che lo videro protagonista e il terzo… sarà una vera e propria sorpresa (alcuni di voi già sanno di che cosa si tratta, e quindi acqua in bocca!). 
Ecco qui il primo post dedicato a Bernabò Visconti, affettuosamente soprannominato il Diavolo per motivi che comprenderete. Si compone di quattro parti:
– Biografia (parte 1)
– Il monumento funebre (L’effige del signore, Il cavallo, Il basamento e il sarcofago)
– Biografia (parte 2)
– Conclusioni
Biografia (parte 1)



Bernabò Visconti nasce a Milano nel 1323 , figlio di Stefano Visconti e di Valentina Doria. I dati relativi alla sua infanzia sono scarsi, ma è certo che, ironia della sorte, come secondogenito studiò diritto canonico per essere avviato alla carriera ecclesiastica.

Nel 1346 viene mandato in esilio con i fratelli Matteo e Galeazzo in seguito a una congiura contro lo zio Luchino, all’epoca signore di Milano e che amava i nipoti come il fumo negli occhi. I fratelli ripiegano in Savoia, fanno una puntata ad Avignone presso il Papa, arrivano nelle Fiandre, per finire ospiti alla corte del re di Francia.

Da sinistra, i tre fratelli Visconti. Nell’ordine: Matteo, Galeazzo e Bernabò.
Ultimo a sinistra, lo zio, l’arcivescovo Giovanni.
Bernabò Visconti e Beatrice Regina della Scala
di Andrea di Bonaiuto, S. Maria Novella, Firenze.
Bernabò rientra a Milano alla morte di Luchino (1349), richiamato dallo zio arcivescovo Giovanni insieme agli altri fratelli. L’astuto arcivescovo ha già stabilito la ripartizione dei territori del dominio milanese tra i tre nipoti: Matteo occupa la parte subpadana del dominio milanese, Galeazzo si fa carico dei domini occidentali, limitrofi al dominio sabaudo, e a Bernabò spettano i domini più orientali, limitrofi alle terre degli Scaligeri: Bergamo, Brescia, Cremona e Crema. La città di Milano è gestita congiuntamente dai tre fratelli.

L’arcivescovo è anche un ottimo sensale di matrimoni, in quanto ha già scelto le tre spose per i nipoti. La scelta non è solo mirata a rinforzare i confini in rapporto ai domini, ma ha anche motivi caratteriali. Per il focoso Bernabò viene infatti combinato il matrimonio con Beatrice Regina della Scala, una giovane allevata non per essere un puro ornamento, ma con le capacità di un’imprenditrice ante litteram. Bernabò troverà in lei un’ottima consigliera, una madre feconda e una moglie in grado di calmare il suo carattere bizzoso e collerico.

Bernabò prende residenza nel palazzo che era appartenuto allo zio Luchino, vicino alla basilica di San Giovanni in Conca, una chiesa che sarà molto importante in rapporto al monumento funebre. Riadatta la residenza secondo le sue esigenze, innalzando le mura merlate già presenti sulla struttura e collegandola con un camminatoio sopraelevato al palazzo-fortezza Visconti fatto costruire da Azzone Visconti (attuale Palazzo Reale di Milano).

Con il tempo questa residenza prende il nome di Ca’ di Can, cioè Casa dei Cani. Bernabò ha una passione smodata per la caccia e quindi arriverà a possedere qualcosa come cinquemila cani (sì, avete letto bene… non è un errore), liberi di circolare nel palazzo e in tutta Milano. Dato l’elevato numero di questi quadrupedi, i cagnacci saranno affidati ai sudditi dietro corresponsione di un piccolo stipendio e sottoposti a terrorizzanti visite periodiche da parte dei “canattieri” del signore. I cani, infatti, non devono essere né troppo magri né troppo grassi per correre velocemente dietro alla selvaggina.

Nel 1355 Matteo muore, si presume avvelenato dai due fratelli che si spartiscono poi il dominio.

Il biscione visconteo
di incerta origine

Dal 1356 in avanti inizia una serie di guerre, dapprima in seguito alla discesa dell’esercito imperiale, e sorgono leghe antiviscontee per ridurre la potenza espansionistica di Milano. Queste guerre sono condotte principalmente contro i Gonzaga di Mantova e contro gli Estensi di Ferrara, e si attirano gli strali dei vari Papi che si succedono. L’oggetto principale del contendere è soprattutto la città papale di Bologna, che Bernabò vuole annettere al suo dominio. Le guerre e i trattati di pace si alternano alle scomuniche contro i Visconti. Particolarmente inviso al Papa, Bernabò ne colleziona una lunga serie.

Bernabò deve fronteggiare anche un nemico interno pericolosissimo, ovvero lo scoppio di un’epidemia di peste che decima la popolazione di Milano.

Durante il suo lungo dominio, Bernabò e la moglie Regina hanno una quindicina di figli, che il signore di Milano accasa opportunamente con i rampolli delle più importanti corti europee, come i Wittelsbach di Baviera o gli Asburgo d’Austria. Mantiene inoltre svariate amanti da cui ha un’altra quindicina di figli naturali, cui provvede garantendo doti per i matrimoni delle ragazze e avviando per lo più i maschi alla vita militare, come capitani di ventura o soldati. La Ca’ di Can viene sempre più ad assomigliare a un harem, in cui le amanti o ex ricevono doni in gioielli, vestiti e territori e sono tollerate dalla pragmatica moglie Beatrice. Quest’ultima conclude addirittura affari con Donnina de’ Porri, la favorita del marito.

Bernabò non si occupa solo delle sue donne e della sua discendenza, ma pensa a rafforzare il territorio visconteo, innanzitutto demolendo i castelli germinati sulle terre dei vari signorotti ribelli. Il castello di Pagazzano è uno dei pochi risparmiati. Cittadelle strategiche sorgono nelle città occupate, e vengono ampliate come la Rocca di Bergamo. Molto importante è il castello-sentinella di Trezzo sull’Adda, riedificato su un preesistente castello dell’epoca del Barbarossa. Il castello diviene anche dimora per lo svago e la caccia. Accanto al castello fa costruire un nuovo ponte sul fiume Adda: un’opera architettonica imponente per allora; stando ad alcune fonti era forse il più grande ponte ad arco singolo del territorio europeo dove dirotta il grosso delle merci.

Il monumento funebre

All’età di quarant’anni, e quindi nel pieno vigore (e al culmine della sua “carriera”), Bernabò commissiona il monumento funebre a uno dei maggiori scultori dell’epoca: Bonino da Campione. Lo scultore era a quel tempo già ben noto alla committenza milanese. Nel 1359 aveva realizzato il Mausoleo di Stefano Visconti e Valentina Doria nella Basilica di Sant’Eustorgio, genitori di Bernabò e Galeazzo.

Si compone di due blocchi: il monumento equestre vero e proprio composto da un unico blocco marmoreo, terminato nel 1363, e l’arca (tomba), sorretta da sei colonne affiancate a sei pilastri, terminata nel 1385, e fortemente voluto dal nipote Gian Galeazzo.

Il monumento funebre di Bernabò Visconti.
Attribuzione fotografica: I, Sailko.


L’effige del signore

Dalle dimensioni del monumento equestre si possono già comprendere alcune cose di quest’uomo. Tra l’altro l’effige era completamente ricoperta da una preziosa foglia d’oro, e dipinta in più parti. Il monumento era collocato nella chiesa di San Giovanni in Conca, per la precisione accanto all’altar maggiore.

Il monumento è autocelebrativo e mostra con chiarezza l’affermazione di potere del dominus nella raffigurazione di se stesso come armato per la guerra. Nonostante questo, però, si tratta di un’armatura alla leggera. C’è un’importante novità connessa a questo, cioè la rappresentazione del signore a volto scoperto e senza elmo. Questa scelta rompe con la tradizione gotica di raffigurare il cavaliere bardato con il volto celato dell’elmo, ridotto ad una “macchina di guerra” e tutt’uno con il cavallo.

Il signore viene quindi ritratto privo di elmo, i capelli corti stretti sulla fronte da un cerchio di metallo che pare la versione militare di una corona, la barba forcuta che scende dal mento, il che non era una stranezza sua per farlo sembrare ancora più temibile e luciferino, ma una moda dell’epoca. L’espressione sul volto di Bernabò è grave, ancora strettamente legata allo stile ufficiale del “ritratto sovrano” .

La sua figura è chiusa nell’armatura composita tipica della seconda metà del XIV secolo, con un’alternanza di elementi di acciaio e cuoio. Nella parte superiore Bernabò indossa:


· un usbergo in maglia di ferro a maniche corte
· una soprasberga istoriata con la biscia viscontea, ovvero lo stemma araldico del casato, di grandi dimensioni in modo che sia ben visibile anche se il monumento è posto a grandi altezze
· una collarina corazzata per le spalle fissata da un cuoietto con guardaspalla uscenti
· guanti d’arme
· bracciali metallici per le braccia.

Alla vita Bernabò ha una cintura con placche circolari sbalzata a cinque foglie e affibbiata alla sinistra; fibbia e puntale sono di forma lobata e appuntata. Semplici lacci trattengono i foderi di pugnale e spada.

Acquaforte del 1825.

Nella parte inferiore si possono notare le gambiere metalliche con cosciali interi, tutti in acciaio sul davanti mentre la parte posteriore è in cuoio.

Il pugno destro di Bernabò stringe il bastone del comando, mentre dal suo fianco sinistro pende il fodero della spada a due mani. L’abbigliamento del guerriero e la riproduzione delle armi dimostrano la maestria degli armaioli milanesi, i migliori in Europa.


Altro elemento interessante è la tipologia di sella, che non è da battaglia ma da torneo, quindi alta, con arcioni stretti e poco avanzati. Questo conferisce alla figura una postura dritta e tesa, e dunque maggiore fierezza.

Il cavallo

Il destriero visconteo è privo di barda e testiera, “nudo” e possente. Il muso richiama molto quello del cavallo che verrà montato dal simulacro di Cansignorio della Scala. La potenza dei volumi accompagna quella dell’uomo che lo monta. Ai piedi della statua e affiancate al cavallo ci sono due piccole figure femminili, cioè la Fortezza e la Temperanza.

Il basamento e il sarcofago

Il sarcofago del Signore viene aggiunto un ventennio dopo, nel 1385, e fortemente voluto dal nipote Gian Galeazzo. Il basamento è composto da sei colonne che circondano sei pilastri ottagonali. Su di essi poggia la cassa contenente il sarcofago in pietra di Bernabò composta da quattro pannelli:

– sul fronte i quattro Evangelisti, affiancati da due Dottori della Chiesa.
– altri due Dottori della Chiesa si trovano sul lato opposto. Tra i due Santi una raffinata Incoronazione della Vergine.
– i pannelli sui lati lunghi presentano, sul fianco sinistro i santi Cristoforo, Caterina, Giorgio, Eugenio, Antonio e Giona accanto ad una Crocifissione.
– sul lato opposto un Cristo in Pietà con la Vergine, san Giovanni Evangelista e due angeli reggicortina, affiancati da Barnaba, Bernardo, Giovanni Battista, Damiano Gottardo e Cosma.

Sui lati del sarcofago sono gli stemmi dei Visconti.

Biografia (parte 2)

Cattura di Bernabò Visconti
di Ludovico Pogliaghi (metà ‘800)-
Museo Civico Carlo Verri di Biassono.

Bernabò Visconti propone al nipote Gian Galeazzo, che nel frattempo ha ereditato i territori alla morte del padre Galeazzo, di sposare la figlia Caterina. L’intento è quello senz’altro di recidere il “ramo secco” della famiglia e di riassorbirlo nella sua linea di discendenza. Gian Galeazzo è vedovo della prima moglie francese da cui ha avuto due figli (Azzone e Valentina), e acconsente al matrimonio. Nei giorni delle nozze, il figlio Azzone muore, e Bernabò non gli fa neanche le condoglianze – il che costituirà uno dei molti motivi di rancore contro lo zio.

Nel 1385, preoccupato per l’aggressiva politica dello zio e del suo clan familiare, e la sua ingerenza in tutti i campi, compresa la vita privata, Gian Galeazzo decide di agire e, d’accordo con i suoi consiglieri, prepara una serie di capi d’accusa per giustificare arresto e incarcerazione e prevenire la reazione della parentela europea.

Con la scusa di un pio pellegrinaggio, attira Bernabò fuori dalla Pusterla di Sant’Ambrogio, a Milano. Bernabò si reca all’appuntamento accompagnato solo dai figli Rodolfo e Ludovico. Viene catturato dagli uomini di Gian Galeazzo che poi si impadroniscono dei punti chiave di Milano, mentre alla plebaglia viene lasciata licenza di saccheggiare il palazzo di Bernabò.

Il vecchio tiranno viene rinchiuso nelle segrete del suo stesso castello di Trezzo sull’Adda, insieme alla favorita Donnina de’ Porri che ha chiesto di condividere la sua sorte. Rimane segregato per alcuni mesi, poi muore avvelenato da un piatto di fagioli, molto probabilmente su amorevole mandato del nipote e genero.

Conclusioni


Dopo la sua morte nasce la leggenda nera di Bernabò, in vita soprannominato il Diavolo come dicevo. La sua figura di signore crudele e tirannico viene sottoposta alla damnatio memoriae, anche ad opera del nipote che l’ha spodestato. Una serie di novelle toscane del Trecento e del Cinquecento, quindi originarie in una zona dove l’avversione per i Visconti è particolarmente forte, completa l’opera.

Il personaggio tuttavia non è non così lineare come la Storia ce lo presenta, ma è composito e, per certi versi, contraddittorio. Ecco qualche spunto di riflessione:

· possiede un senso dell’onore smisurato fin da giovane, persino maggiore di quello dei suoi contemporanei. Per l’uomo medievale l’onore è tutto, ma Bernabò lo vive all’ennesima potenza;

· conferisce importanza alla famiglia intesa come clan allargato, sia per motivi di interesse sia per autentico affetto nei confronti dei figli naturali e delle sue donne; alla morte della moglie Beatrice Regina, obbliga i sudditi a condividere il suo lutto per un anno. Nonostante questo, condanna spietatamente Bernarda, una delle sue figlie naturali, a morire di fame perché accusata di adulterio;

· ha un senso di giustizia inflessibile, riconosciuto persino dai nemici; per contro, un carattere capriccioso e collerico, uno humour macabro, che si traducono in punizioni e torture prolungate all’insegna del sadismo;

Episodio della vita di Bernabò Visconti (post 1831).
Palazzo Cernezzi, Como.

· è un guerriero valoroso e un ottimo stratega militare, che s’interessa ai nuovi macchinari bellici per conquiste ed assedi; si circonda di consiglieri fidati;


· è un mangiapreti, specialmente nei confronti di coloro che predicano bene e razzolano male. Famoso è l’episodio dei legati papali cui fa inghiottire la bolla di scomunica, con cordoncino incorporato, pena il finire scaraventati nel fiume Lambro (rappresentato qui in un quadro dell’800).

· è un uomo colto che legge i poemi cavallereschi, poiché conosce il francese essendo vissuto in Francia da giovane, e non il rozzo feudatario che era lo standard; ma organizza anche banchetti, feste con la presenza di giullari sboccati e gare di forza, bevute e trivialità.
Un autentico personaggio da romanzo. 
Un’ultima curiosità sul monumento equestre e su come approda al Museo d’arte antica al Castello Sforzesco. Anni dopo San Carlo Borromeo, inorridito dalla deificazione di un uomo in carne ed ossa accanto al luogo dove si adora nostro Signore, lo fa portar via. Dopo vari trasferimenti e un passaggio nella chiesa di S. Alessandro, il monumento approda al Castello dove si trova accanto al sarcofago di Beatrice Regina della Scala.
Non si sa dove riposino le ossa dei due coniugi. Però qualcosa è rimasto dei vari spostamenti del monumento funerario di Bernabò e del sarcofago di Regina. Se entrate nella  chiesa di Sant’Alessandro e girate subito a destra, troverete una rientranza con due targhe commemorative. Bernabò Visconti e la moglie sono finiti in una nicchia che assomiglia assai a un ripostiglio per secchi e scope.
Sic transit gloria mundi.

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Fonti: