Maya, l’esuberante cagnolona
della mia amica e blogger Grazia Gironella.

Anima che accarezzo a sera, e sei un cane stanco, 
ma un cane sempre fedele. Un cane
che balbetta un nome: padrone, padrone mio.
Non lasciarmi anima cane, non lasciarmi mai.


Se ben ricordate, avevo presentato il post tematico sul gatto con i famosi versi di un poeta francese, Charles Baudelaire. Quindi, per non far torto a nessuno, introduco questo post tematico con i versi della poetessa Alda Merini. In questa breve poesia lei parla della sua anima accostandola a un animale che ama in modo particolare.
Vi presento quindi l’altro compagno che, ormai da millenni, contende al gatto il cuore del suo bipede padrone; cioè:

il cane

Difficile dire quale dei due prevalga e, in genere, ci si divide quasi nettamente negli amanti dei cani e dei gatti. Ho una decisa preferenza per il gatto in quanto mi identifico con lui per la sua indipendenza. Ma difficilmente potrei resistere a due occhi dall’espressione limpida, all’affetto incondizionato di una creatura non giudicante, alla vista di un essere che ha l’intelligenza di un bambino piccolo, e che si dispera quando non vede il suo padrone (ricordate invece lo sguardo meravigliato del gatto quando entrate nel suo campo visivo?). I cani lasciati a se stessi per lunghi periodi cadono in depressione, a volte si rifiutano di mangiare, aspettano con ansia il ritorno di quel “qualcuno” che è tutto il suo mondo.


Il cane è la bontà personificata e lo scrittore americano Mark Twain sostiene: In Paradiso si entra per favoritismo. Se si entrasse per merito, tu resteresti fuori ed il tuo cane entrerebbe al posto tuo. Come dargli torto? Per questo motivo la storia canina è spesso strettamente collegata con quella del padrone. Per esprimere appieno questa simbiosi, incomincio in pompa magna la mia carrellata con il romanzo di una celebre scrittrice inglese, e dedicato al cane di una poetessa. Un trio vincente.


La copertina del libro,
in una vecchia edizione.

Il romanzo: Flush di Virginia Woolf

Si tratta di un romanzo pubblicato nel 1933 e ha come protagonista un cocker spaniel dal pelo fulvo. Non è un cane qualunque, ma è di proprietà di una donna d’eccezione: la poetessa inglese Elizabeth Barrett Browning. Costretta nelle sue stanze da una malattia forse immaginaria, e da un padre tirannico, Elizabeth trova nella poesia un sostituto alla vita e in Flush un compagno devoto e un attento osservatore. Attraverso la storia dell’uno si rispecchia quella della sua padrona.

Ecco il loro primo incontro, narrato dall’inimitabile prosa di Virginia Woolf:


“Oh, Flush!” disse Madamigella Barrett. Per la prima volta ella lo guardò in faccia. Per la prima volta Flush guardò la dama coricata sull’ottomana.


Entrambi rimasero sorpresi. Grevi riccioli pendevano lungo il volto di Madamigella Barrett, da ambe le parti; grandi occhi brillavano vivaci; una bocca larga sorrideva. Pesanti orecchie pendevano ai lati del muso di Flush; anche i suoi occhi erano grandi e vivaci; larga la sua bocca. Quei due si rassomigliavano. Mentre si guardavano, ognuno sentì: Quello sono io – e ognuno sentì poi: Ma quanto diverso! Qui, il viso pallido consunto di un’inferma segregata dall’aria libera, dalla luce, forse dalla libertà. Là, la faccia sana e fresca di un giovane animale; piena di salute e di energia.

Ritratto di
Elizabeth Barrett Browning.



Divisi l’una dall’altro, e pur fatti del medesimo stampo, chissà se ciascuno di essi non avrebbe completato ciò che nell’altro sonnecchiava? Ella avrebbe potuto essere… questo ed altro; e lui… Ma no. Tra quei due si stendeva il più vasto abisso che separar possa una creatura da un’altra. L’una parlava. L’altro era muto. L’una era donna; l’altro era cane. Così strettamente uniti, così immensamente divisi, si guardavano. Poi, con un salto Flush fu sull’ottomana e si accucciò là dove per sempre sarebbe stato il posto suo, da quel dì in poi – sulla coperta, ai piedi di Madamigella Barrett.

L’avventura irrompe poi nella vita della reclusa nelle vesti del giovane e impetuoso poeta Robert Browning. Con lui Elizabeth fuggirà in Italia, dove troverà il sole, la salute e la felicità; e dal poeta avrà anche un figlio. Cane e padrona sono sepolti a Firenze, dove avevano vissuto i loro anni più felici, l’uno nelle cantine di Casa Guidi, l’altra nel cimitero degli Inglesi. Onore a questo piccolo cocker spaniel che, nel suo modo umile e devoto, entrò nell’esistenza di una donna e nella storia poetica.

La fiaba: L’acciarino magico di Hans Christian Andersen.

L’acciarino magico. llustrazione di Heinrich Stub.

Hans Christian Andersen (1805-1875) è stato uno scrittore e poeta danese, celebre soprattutto per le La principessa sul pisello (1835), Mignolina (1835), La sirenetta (1837), La regina delle nevi (1844), Il soldatino di stagno, Il brutto anatroccolo e La piccola fiammiferaia (1845).

L’acciarino magico narra di un soldato, piuttosto avido di denaro, che tornando dalla guerra incontra una donna brutta e vecchia; questa gli chiede di calarsi in un albero cavo dove, sul fondo, troverà tre camere. Che cosa ci sarà al loro interno?

“Denaro, soldato, tanto quanto ne vorrai. Quando sarai arrivato sul fondo, vedrai una galleria illuminata da un centinaio di lampade. Sulla sinistra troverai tre porte: ciascuna di esse apre una stanza. Nella prima camera vedrai un cofano sul quale è seduto un cane con due occhi grandi e piatti. Non averne paura, stendi per terra il mio grembiule blu a quadri, afferra poi il cane e mettilo su di esso: come per incanto, resterà immobile. Apri pure il cofano e prendi tutti i soldi di rame che desideri. Se preferisci invece le monete d’argento, entra nella seconda stanza. Anche qui c’è un cofano difeso da un cane con due occhi grandi come le macine di un mulino. Agisci come la prima volta e prendi tutti i soldi d’argento che desideri. Ma se vuoi l’oro, entra nella terza stanza. Anche là troverai un cane con due occhi grandi come la torre rotonda di Copenaghen. Fai come prima e prendi tutte le monete d’oro che desideri.”



La strega chiede al soldato di recuperare per lei soltanto un acciarino; in cambio, renderà mansueti i tre cani il tempo necessario al soldato per riempirsi le tasche di monete. Una volta risalito, il soldato chiede alla strega cosa vuole fare dell’acciarino: ella non gli dà risposta, così lui, spazientito, le taglia la testa con la sciabola e se ne va con le monete e l’acciarino, che si rivelerà un oggetto magico. …

Il soldato è una sorta di antieroe rispetto al personaggio classico: è avido e senza scrupoli, e non esita a tagliare la testa alla vecchia, e a sperperare poi le monete che ha arraffato. I tre cani simboleggiano i crescenti livelli di difficoltà da superare nella prova, in una sorta di videogioco ante litteram. Di loro il soldato si servirà anche per avvicinare una principessa e riuscire a sposarla. Nella fiaba l’uomo non ha alcun rapporto affettivo con gli animali, che anzi sono rappresentati in maniera spaventosa e iconica tramite gli occhi. Essi si faranno sempre più grandi fino ad arrivare all’ampiezza della torre rotonda di Copenaghen.



Il film: Cujo di Lewis Teague

Sono stata a lungo indecisa nella scelta del film, perché avrei voluto citare Hachikō del 2009, basato sulla storia vera e commovente di un cane, con qualche inevitabile concessione alla lacrima. Poi però ho preferito questo film, dove il cane è decisamente terrorizzante, e come buon raccordo con la fiaba di Andersen.

Cujo è un film del 1983 tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King. Il nome Cujo è quello di un San Bernardo di proprietà di Brett Camber, figlio del meccanico Joe Camber, che vive nella periferia di Castle Rock. Il cane viene descritto come docilissimo, di indole giocosa e amante dei bambini.

La locandina italiana del film.

Tuttavia, in una soleggiata giornata di giugno del 1980, inseguendo un coniglio selvatico, Cujo si ritrova con la testa incastrata in una piccola caverna infestata dai pipistrelli, e da uno di questi viene morso, contraendo così la rabbia e trasformandosi in un mostro aggressivo. Arriva ad attaccare ed uccidere Joe Camber ed il suo vicino Gary Pervier. Il figlio e la moglie di Joe, invece, sono lontani da casa per far visita ad alcuni parenti.

Vic Trenton, pubblicitario, deve allontanarsi da casa sua per seguire un contratto; sua moglie Donna, insieme al figlio Tad, si recano dal meccanico Camber per far revisionare l’automobile, ma non trovano nessuno se non Cujo. Il cane tenta più e più volte di attaccare i due cercando di sfondare e rompere l’automobile, impedendo loro di scappare. I giorni passano e Donna e Tad sono sempre più sofferenti e accaldati e rimangono senza cibo né acqua, e con l’auto ferma …  e Cujo è sempre là, in agguato, giorno e notte…

L’idea vincente è quella di servirsi del migliore amico dell’uomo per trasformarlo in una bestia orribile degna di fare il paio con l’infernale Cerbero. Inoltre il San Bernardo è un cane notoriamente servizievole e bonaccione, e molto paziente con i bambini; invece nel film prende di mira in modo particolare il piccolo Tad che vuole sbranare a ogni costo, Come nelle migliori tradizioni di questi film con animali fuori controllo, il cagnaccio sviluppa una sua malvagia intelligenza, molto simile a quella di un essere umano, oltre a una notevole forza fisica che lo rende pressoché indistruttibile. Se volete “godervi” il trailer originale, potete cliccare sul seguente link.

Nei cartoni animati: Muttley della Hanna-Barbera

Dopo un cane da incubo, dobbiamo rasserenare gli animi, e quindi è la volta di Muttley (detto anche Borbottone in alcuni adattamenti italiani). Si tratta di un personaggio della Hanna-Barbera apparso per la prima volta nel film di animazione Yogi, Cindy e Bubu (1964), nella parte del cane dell’impresario del circo. Nel 1968 apparve nelle Wacky Races come spalla del cattivo principale

Il cagnone Muttley, che mi ha ben rappresentato
in occasione di un premio molto recente…

della serie, Dick Dastardly. 


Essendo un cane, come tale non dovrebbe parlare mai: tuttavia Muttley riesce sempre a pronunciare i termini “sì”, oppure “medaglia”; in genere si limita a ridacchiare, normalmente alle spese di Dick, ma non di rado formula una serie di brontolii di protesta sempre nei confronti del suo padrone. In vari episodi dimostra di comprendere perfettamente il linguaggio umano. Il celebre “Medaglia, medaglia!” è un’invenzione del doppiaggio in italiano e non è presente nella versione inglese in cui Muttley si limita ad emettere una serie di grugniti di approvazione verso Dick Dastardly che gli chiede se vuole la medaglia.

Nelle Wacky Races indossa solo un collare, ma in Dastardly e Muttley e le macchine volanti ha un’uniforme da pilota della Prima Guerra Mondiale, e accompagna Dick e altri due piloti dello Squadrone Avvoltoi: Klunk e Zilly. In questa serie sfoggia diverse medaglie, ed è sempre alla caccia di nuovi trofei. Spesso Dastardly gliele strappa dal petto (cosa che lo irrita molto) a causa dei suoi madornali errori. In quest’ultima serie, Muttley riesce a volare utilizzando la coda come elica, cosa che gli è molto utile nei frequenti incidenti aerei. Come tutti i cani che si rispettino, ama in modo particolare i biscotti, che lo fanno lievitare per il piacere.

Muttley è un cagnone simpaticissimo dalla forma fisica rotondeggiante, che ricorda nel suo ruolo di comprimario (ma non troppo) una spalla comica o lo scudiero del cavaliere, o il subordinato che però contesta spesso e volentieri il capo. Ha la convinzione di essere il migliore della squadra e pretende un riconoscimento al suo valore sotto forma di medaglia o biscotti. Il suo carattere è un misto di furbizia e ingenuità, e con aspettative esagerate in cui ognuno può facilmente riconoscersi. Qui potete trovare un link con una scena dove a Muttley, che l’ha combinata grossa, viene requisita la medaglia. Ma ha già pensato a come recuperarla!

Nei fumetti: la Pimpa di Altan

La Pimpa è una serie a fumetti italiana disegnata da Altan, con protagonista una cagnolina disseminata di grandi pois rossi, con la lingua spesso penzoloni. Nel 1975 la Pimpa appare per la prima volta, nell’edizione settimanale del Corriere dei Piccoli, rimanendo presente sul periodico per bambini fino alla sua chiusura. 

La Pimpa e il signor Armando vanno in bici.
La Pimpa vive fuori città, nella casetta del signor Armando, un uomo buono e accomodante provvisto di baffoni, un naso lungo, una grossa cravatta rosa e un cappello verde. Il primo incontro dei due avviene in un bosco. Armando, in cerca di fragole, scorge i grandi pois della Pimpa e scopre che la cagnolina sa parlare, è curiosa, simpatica e affettuosa. Armando invita a casa la nuova amica e le mette a disposizione una stanza con un grande letto e una vivacissima trapunta multicolore. Nei confronti della Pimpa, ha un atteggiamento paterno, e di rado la sgrida.

Gli amici più cari della cagnolina sono il coniglio a pois celesti Coniglietto, la gatta azzurra Rosita, e il gallo Colombino. Poi c’è Tito, un cucciolo di cane tutto blu che in alcune storie appare come altro ospite della casa di Armando, e moltissimi altri animali.

La Pimpa si avventura dappertutto, esplorando il mondo attorno a sé, magari volando in aeroplano fino in Africa, navigando in barca fino all’Australia o ancora partendo con il razzo Egidio per volare tra le nuvole, sulla luna e in mezzo alle stelle. A sera, la cagnolina rientra dall’Armando e gli racconta l’esperienza della giornata: “Armandone” appare quasi sempre scettico e la Pimpa puntualmente lo rassicura regalandogli i souvenir dei suoi fantastici viaggi. Poi si fa dare dall’Armando un bicchierone di latte e si mette a dormire.

La Pimpa osserva il mondo con gli occhi dei bambini piccoli, esattamente come Peppa Pig nel mio post tematico sul maiale. La linea del disegno è molto grossa e dai tratti semplici, i colori sono uniformi e allegri, lo sfondo luminoso. Armando è il prototipo dell’omino buffo e poetico, una sorta di Charlot disegnato, e la cagnolina è la dolcissima compagna di una vita all’apparenza solitaria. Le storie sono irrorate dai colori di un mondo fantastico e di ricca inventiva. Il sito ufficiale è: http://www.pimpa.it/

La curiosità: il cane de La voce del padrone

Il marchio della Gramophone.
Il celebre marchio de La voce del padrone rappresenta un cane Jack Russell Terrier intento ad ascoltare i suoni che provengono dalla tromba di un grammofono. Venne concepito e dipinto da un noto pittore londinese, Francis Barraud.

Alla morte del fratello Mark, Barraud aveva ricevuto un cane di nome Nipper e un grammofono con molti cilindri su cui era incisa la voce di Mark. Pare che Nipper fosse effettivamente solito ascoltare la voce del suo defunto padrone nella posizione ritratta da Barraud.

Il dipinto, intitolato His Master’s Voice, fu acquistato dalla società Gramophone a scopo pubblicitario, e divenne poi il marchio dell’etichetta discografica. A titolo di gratitudine, Barraud ricevette dalla società un lascito pensionistico annuo di circa 30.000 lire, durato fino alla sua morte.




Citazioni:
Anche le citazioni sul nostro amico cane sono sterminate, e quindi vi rimando di nuovo al sito Aforisticamente dove potrete pescarne altre. Io vi propongo le seguenti:
Dinamismo di un cane al guinzaglio di Giacomo Balla (1912).
Albright-Knox Art Gallery di Buffalo
La riconoscenza è una malattia del cane non trasmissibile all’uomo. (Antoine Bernheim)

Se hai un cane, hai un amico e più diventerai povero, migliore sarà quell’amico. (Will Rogers)

Signore, lasciami essere metà dell’uomo che il mio cane pensa io sia. (Anonimo)

Ed Argo, il fido can, poscia che visto ebbe, dopo dieci anni e dieci, Ulisse, gli occhi nel sonno della morte chiuse. (Omero)

Date all’uomo un cane e la sua anima sarà guarita. (Ildegarda di Bingen)


***

E voi siete gattari o canari, o ambedue le cose? Quali sono state le vostre esperienze con i cani letterari e quelli in carne e ossa?




Fonti: 

Flush di Virginia Woolf, edizione La Tartaruga
Wikipedia per trame e presentazioni dei personaggi, fortemente adattate e integrate.