Monumento funebre di Bernabò Visconti
di Bonino da Campione, Museo d’Arte Antica
del Castello Sforzesco di Milano

Eccoci arrivati al secondo appuntamento con quella bella sagoma di

Bernabò Visconti

di cui vi ho parlato nel post precedente in rapporto alla sua vita davvero movimentata e anche al suo monumento funerario che oggi si trova al Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco di Milano (qui il link per chi lo avesse perso e volesse leggerlo).

Come anticipato, in questo post vi parlerò di alcuni luoghi rappresentativi che lo videro protagonista come dominus di Milano dal 1349 fino al 1385, delle sue scorribande venatorie, e anche delle sue battute di caccia in qualità di donnaiolo impenitente. Luoghi dove la realtà storica, quella proveniente da fonti scritte e testimonianze di contemporanei – per quanto alterata ad arte – molto spesso si mischia con la leggenda, la sua nomea da satanasso ed episodi uno più stravagante del precedente. Il tutto naturalmente ha contribuito a connotare questo personaggio di un’aura crudele e fascinosa a un tempo.

Il post è diviso in tre parti, in una sorta di inizio e fine ideali della sua vita:

A. Il palazzo e la cappella gentilizia: la Ca’ di Can e San Giovanni in Conca
B. La residenza di caccia: Il castello di Melegnano
C. Il castello-fortezza di Trezzo sull’Adda

A. Il palazzo e la cappella gentilizia


Se vi capita di passare in piazza Missori a Milano, vedrete delle rovine ergersi al centro di una piazzetta con alcune aiuole e, come ho fatto io in tutti questi anni, probabilmente vi passerete accanto senza degnarle di uno sguardo. Quelle rovine, soprannominate dai milanesi “il dente rotto”, in realtà appartengono alla chiesa palatina attigua a quello che fu il palazzo di Bernabò.

E, sotto quei muri sbrecciati, c’è la cripta di San Giovanni in Conca, visitabile per merito dei volontari del Touring Club, e che riserva innumerevoli sorprese (qui il link della pagina con le informazioni sulle visite). Là dove oggi si erge l’Hotel dei Cavalieri, invece, era l’abitazione di Bernabò Visconti: la famosa Ca’ di Can.

Cerchiamo di ricostruire, con l’aiuto delle fotografie, di alcune stampe e della nostra fervida immaginazione, una zona spazio-temporale che era molto diversa all’epoca. Oggi questa zona è fortemente alterata da eventi storici che si tradussero in saccheggi e furti, e in demolizioni in nome della viabilità urbana, nella nostra ottica totalmente incomprensibili.

La Ca’ di Can

Cominciamo da quello che doveva essere la casa di messere e della sua famiglia, abitata sia bipedi che da quadrupedi. Si tratta di una casa fortificata da cui parte un camminamento rialzato che portava fino all’attuale Palazzo Reale. Tramite vari altri camminamenti la Ca’ di Can è collegata alla porta romana (quella comunale, dedicata a S. Protaso) trasformata in fortezza, a sua volta collegata ad un’altra rocca vicino alla porta di S. Barnaba e alla pusterla del Bottonuto.

Tavola 31 – La chiesa di S. Giovanni in Conca, e l’attigua Ca’ di Can,
in un’incisione di M.A. Dal Re.
Nella Ca’ di Can risiedono anche gli armigeri del signore, nel cortile si tengono giochi d’arme e si svolgono gli addestramenti militari per essere pronti alla guerra. Bernabò ama divertirsi con le beffe e i lazzi dei giullari, con sontuosi banchetti dove avvengono indescrivibili bevute e si tengono scommesse su gare di resistenza e di forza. 
Accanto al palazzo ci sono gli sterminati canili dove trova dimora parte dei numerosissimi cani da caccia di Bernabò, soprattutto mastini. Essi sono liberi di muoversi dove vogliono e sono provvisti di un collarino con lo stemma visconteo onde poterli riconoscere e, soprattutto, rispettare come fossero animali sacri. Ricordo che i cani ammontano all’iperbolica cifra di cinquemila e una parte viene assegnata “d’ufficio” ai sudditi. I prescelti devono provvedere a mantenerli in ottima forma e non possono tenerne di propri. Le visite degli ispettori dei cani di Bernabò servono non solo allo scopo, ma anche a terrorizzare gli sventurati affidatari. I cani sono impiegati soprattutto nella caccia al cinghiale, attività di cui Bernabò è particolarmente appassionato. Il cinghiale vive nelle estese foreste che cingono la città, e devasta i raccolti, ed egli non perde occasione per partire a spron battuto dalla Ca’ di Can con il suo seguito, oppure da uno degli altri suoi castelli. Nella dimora di messere, sono tenuti anche sparvieri e falchi da caccia, che Bernabò non predilige in quanto non può sferrare alla selvaggina il fatale colpo di lancia.
Bernabò Visconti ha fama di grande conquistatore di donne, e amante generosissimo; e tutte le donne che ha amato, soprattutto quelle che gli hanno dato dei figli, restano nelle sue grazie e hanno libertà di continuare a frequentare la sua corte, a meno di non incorrere in gravi manchevolezze come l’accusa di adulterio. Il palazzo del Visconti viene paragonato al serraglio di un sultano da un cronista dell’epoca. Tutto sotto gli occhi della tollerante moglie Beatrice della Scala, donna intelligente, o forse semplicemente assuefatta a uno stato di cose che, all’epoca, era la norma.


San Giovanni in Conca


Attigua al palazzo visconteo, è l’antica basilica di San Giovanni in Conca, un tempo basilica paleocristiana e dedicata a San Giovanni Evangelista, detta in Conca forse per l’avvallamento del terreno circostante. Ha pianta ad aula unica e abside semicircolare, viene ricostruita nell’XI secolo e di nuovo nel XIII secolo, dopo le distruzioni dell’imperatore Federico Barbarossa nel 1162. 

In questa fase la basilica, affiancata da un campanile di 24 metri e internamente divisa in tre navate, viene ampliata con un transetto e un tiburio centrale. Sulla facciata, una nicchia ospita il busto di San Giovanni Evangelista, rappresentato nel calderone di olio in cui, secondo la tradizione, lo avrebbe fatto immergere l’imperatore Domiziano, senza che il santo ne soffrisse. Una provvidenziale pioggia spense poi fuoco e calderone in cui era immerso il santo, che trovò il martirio in altro modo.

Nel XIV secolo i Visconti la inglobano nel recinto della loro signorile dimora, facendone la propria cappella gentilizia. Le pareti sono sontuosamente affrescate, ed ecco qui sulla sinistra una porzione degli affreschi che oggi vengono conservati nel Museo di Arte Antica al Castello Sforzesco: si tratta di un Angelo dell’Annunciazione, di fine XII – inizi del XIV secolo. Pregevole testimonianza di pittura lombarda, era collocato sull’arco trionfale della chiesa, le cui navate furono in seguito ornate con affreschi raffiguranti le storie di San Giovanni Evangelista.

Ed ecco una stampa che ricostruisce quello che era San Giovanni in Conca in tutto il suo sviluppo. Provate a immaginare che cosa doveva essere questa chiesa splendidamente affrescata e alla faccia che fece l’arcivescovo San Carlo Borromeo nel vedere il monumento equestre funebre di messere sobriamente ricoperto da preziosa foglia d’oro, e collocato in prossimità dell’altar maggiore.

Durante il Regno d’Italia, e nello specifico nel 1879, a causa dell’apertura di nuove strade l’architetto Angelo Colla propone di accorciare la chiesa, abbattendo le navate, il campanile e restaurando pesantemente la parte rimanente. Così avviene, e la facciata è ampiamente accorciata tanto da finire quasi a ridosso dell’abside. Questa nuova versione viene venduta ai Valdesi, che in seguito avrebbero salvato la facciata durante la definitiva demolizione. 
La demolizione quasi totale ha luogo dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando ci si rende conto della necessità di aprire l’asse tra via Albricci e piazza Missori. Nonostante la consapevolezza dell’antichità del monumento, iniziano i lavori di demolizione, e il sovrintendente dell’epoca riesce solo a fermare la distruzione di parte dell’abside e della cripta.
Mi sarebbe piaciuto assistere alla reazione di messere nel vedere cotanto scempio della sua bella chiesa in nome della viabilità pubblica milanese.
B. La residenza di caccia: Il castello di Melegnano

Il castello di Melegnano,  più precisamente Castello Mediceo come mi ha puntualizzato la guida con cui ho visitato l’edificio, ha una pianta a forma di U, si presenta con una struttura laterizia compatta e chiude con la sua monumentalità la piazza della Vittoria. 
Il Castello Mediceo di Melegnano
L’origine di questo castello è da riportarsi alla crescente potenza della famiglia Visconti: nel 1243 il podestà di Milano, Cattellano Carbone, responsabile della difesa della città e della campagna circostante, ordina la costruzione di una fortezza in Melegnano. Questa fortezza viene chiamata con il nome di receptum, un vocabolo che identifica un luogo dove si potessero raccogliere cose e persone, sia per difendersi che per attaccare. La fortezza viene chiamata anche con il nome di “motta”, che significa rialzo di terra formato appositamente nella pianura e munito di fosse, bastioni e torrette. Il receptum edificato nel 1243 viene ampliato da Matteo I Visconti. Da Stefano Visconti nascono tre figli; tra questi il terzo è il nostro Bernabò, e con lui il castello assume la tipica struttura a quadrilatero con alte torri angolari
Come si è detto, Bernabò è un cacciatore accanito e ha numerose dimore da cui parte per le sue battute di caccia. Una di queste è il castello di Melegnano, o Marignano se vogliamo ricordare il nome originario della località.  Da qui egli fa aprire una nuova strada “carrozzabile” che lo trasporti velocemente fino al castello di Pandino, la strada Pandina. In realtà poche tracce rimangono qui di messere, in quanto negli anni successivi il luogo diventa dimora di Gian Giacomo Medici detto il Medeghino: un avventuriero e condottiero vissuto tra il 1498 e il 1555 i cui comportamenti truci offuscano quelli del Visconti, facendolo sembrare buono come un pezzo di pane. Tanto per dirvene una, questo Medeghino girava armato di una pratica ascia per appoggiarvisi, ma anche per fare a pezzi i suoi nemici all’occorrenza. E poi non era fascinoso come Bernabò, con il suo codazzo di donne e la sua sterminata figliolanza.

La copertina del saggio
di Daniela Pizzagalli

Mi piace però ricordare che nei dintorni di questo castello avviene uno dei numerosi aneddoti che vedono protagonista Bernabò. Questi parte per la caccia con la sua solita energia, seminando la scorta di armigeri e cacciatori che non riescono a stargli dietro. Si smarrisce così nelle foreste della zona, e all’imbrunire incontra un contadino che è lì a far legna. Bernabò chiede all’uomo, che non lo ha riconosciuto, di accompagnarlo fuori dal bosco promettendogli una moneta d’oro come compenso, e mentre si avviano comincia a sondare l’uomo per scoprire che cosa si pensa del signore di Milano. Il contadino ne dice peste e corna, asserendo che è crudele oltre ogni immaginazione: un autentico diavolo.

Arrivati nei pressi di Melegnano, scorgono un gruppo di persone con delle fiaccole, e il contadino spiega che ogni tanto il signor Bernabò Visconti si perde e che quindi con tutta probabilità sono i servi che lo stanno cercando. Dagli atteggiamenti di reverenza, il contadino capisce però con chi ha parlato, e desidera essere già morto per paura delle torture che lo aspettano. Invece Bernabò lo fa entrare al castello di Melegnano, gli fa servire una lauta cena e lo fa dormire in un morbido letto di piume. Il giorno dopo gli chiede come ha passato la notte, l’uomo gli risponde “splendidamente come fossi stato in paradiso”, e il signore, dandogli la moneta d’oro promessa, lo manda libero con una battuta scherzosa sul fatto che presso il Diavolo si è assai ben trattati.

Nei pressi di Melegnano, e sul ponte levatoio accanto al fiume Lambro, ricordo che nel 1373 avviene anche l’incontro con i legati papali che recano l’ennesima bolla di scomunica o, secondo altri, giungono a notificargli le volontà del Papa in merito ad una controversia sul possesso di Bologna. Alla lettura del plico papale, Bernabò dice “Scegliete pur voi, o mangiare o bere“: i due capiscono che il “bere” significa essere buttati nel fiume, magari con il rischio di annegare, e preferiscono ingoiare la pesante pergamena con tanto di cordone di seta. Da qui deriva il modo di dire “mangiare la foglia” (“manger la feuille”: “mangiare il foglio” in francese). Bernabò ha dato quindi il suo contributo alla creazione di nuove, vivaci espressioni della nostra bella lingua italiana. Ironia della sorte, uno dei due legati, Guillaume de Grimoard, alcuni anni dopo diventa Papa prendendo il nome di Urbano V con grande costernazione del nostro linguista.






C. Il castello-fortezza di Trezzo sull’Adda

I castelli di epoca viscontea nel milanese formano una sorta di cintura difensiva. All’epoca di Bernabò, vengono eretti sia da lui sia dal fratello Galeazzo con cui spartisce per lungo tempo il dominio sui territori milanesi. Il castello di Trezzo sull’Adda, già esistente all’epoca di Bernabò, nasce a difesa di un ponte sul fiume e per la sua posizione strategica viene dapprima conteso fra Federico Barbarossa e la città di Milano e in seguito fra i Visconti e i Torriani. Più volte distrutto o incendiato, viene sempre ricostruito.

Il castello fortezza di Trezzo sull’Adda
dal sito http://www.addainsieme.it/trezzo-sull-adda/

I resti attuali sono proprio quelli della costruzione del 1370 di Bernabò Visconti del quale è residenza e poi prigione fino alla sua morte (1385) ad opera del nipote Gian Galeazzo Visconti, figlio di Galeazzo da cui aveva ereditato i territori alla morte del padre.

Inseriti in un parco molto ben tenuto, i ruderi del castello di Trezzo ricordano delle rovine gotiche di epoca Romantica e sono assai scenografici; il castello fu demolito pietra su pietra, che fu rivenduta per costruire l’Arena Civica di Milano. Si può facilmente immaginare come doveva essere questo luogo quando il castello si ergeva in tutta la sua imponenza. Nel museo del castello, c’è un modellino che lo mostra come doveva essere un tempo. Eccolo:

Vi si nota il ponte, un prodigio ingegneristico, che collega le due sponde e da cui transitavano
mercanti, carri e carretti, viandanti di ogni specie e che devono pagare il dazio. Nel ponte c’è un livello inferiore coperto, che serviva a Bernabò per spostarsi da un capo all’altro senza essere visto, magari per andare a caccia. Oltre il fiume, infatti, si stendevano i territori della Repubblica Veneta, pericolosa nemica dei Visconti.

L’unico edificio ancora integro è la torre di 42 metri di altezza, che si erge accanto al fiume. Provarono a smontare pure questa, ma i costi della demolizione erano superiori ai guadagni ricavati dalla vendita delle pietre, e perciò si rinunciò all’operazione. Dalla sommità si gode la magnifica vista dell’Adda che si snoda come un grande serpente –  o come una biscia viscontea se preferite – formando una potente S e cingendo due lati del castello, o quello che ne resta. Dalla torre si vedono bene anche le Alpi Orobiche.

All’interno della torre, ci sono almeno un paio di poesie dedicate a colui che qui trascorreva la sua villeggiatura in ameni svaghi. Ve le propongo qui sotto: Bernabò a Trezzo e L’ora di Bernabò.

Altro luogo di grande suggestione sono i cosiddetti sotterranei: enormi ambienti dagli alti soffitti e dagli ampi finestroni a graticci, che probabilmente erano depositi di viveri. In uno di questi ambienti c’è la stanza della tortura della goccia, dove i prigionieri venivano legati e sottoposti alla tortura della goccia che, lentamente, scavava il cranio e li faceva impazzire. Nell’ultima stanza c’è un grande pozzo dall’aria sinistra, collegato con un altro pozzo soprastante nel cortile, e quindi en plein air. In fondo a questo pozzo ci sono delle lame, che dovevano servire come modo per impedire l’accesso ad eventuali assalitori dalla parte del fiume.

Proprio questo castello è sia fortezza sia luogo dei suoi piaceri, in quanto molto spesso Bernabò vi giunge senza la moglie Regina della Scala. Per distrarsi organizza banchetti e feste, e invita le più belle fanciulle trezzesi. Nel castello viene imprigionato con la sua favorita Donnina de’ Porri e muore, pare avvelenato da un piatto di fagioli su mandato del nipote Gian Galeazzo.

E qui viene avvistato a più riprese il fantasma di un uomo in armatura, che sembra quello del monumento di Bonino da Campione presentato all’inizio di questo post, e in quello precedente. Il castello è infestato anche da apparizioni di ragazze, si odono rumori sinistri come l’abbaiare di moltissimi cani ed è meta privilegiata di associazioni di cacciatori del paranormale. Che ci crediate o no, è davvero un luogo molto particolare!

A parte le suggestive rovine del castello e i suoi fantasmi, Trezzo sull’Adda è un luogo bellissimo, immerso nella natura e con piste ciclabili che corrono lungo il fiume.Se desiderate organizzare una gita, tutte le informazioni sono sul sito della Pro Loco Trezzo. Bernabò Visconti vi aspetta con impazienza. Mi raccomando, non deludetelo…

Alla prossima per il grande finale!

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Fonti: 

  • Bernabò Visconti di Daniela Pizzagalli – Rusconi
  • Sito Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco di Milano
  • Wikipedia per le informazioni sui luoghi