La fine dell’anno si avvicina a grandi passi e anche in questo caffè rivoluzionario non si può non parlare di calendario. Sì, ma di un calendario molto particolare, che nasce per l’appunto nel 1793. Il 20 settembre 1793 il matematico Romme propone alla Convenzione – ovvero l’assemblea dei deputati – di riformare completamente il calendario, troppo tradizionale e troppo collegato alla religione cattolica. L’anticlericalismo in Francia sta toccando l’apice, e quindi la proposta è subito accolta con entusiasmo.

Niente più santi da calendario, dunque. Infatti la riforma prevede che gli anni siano calcolati a partire proclamazione della Repubblica, cioè il 22 settembre 1792, quindi con effetto retroattivo, mentre i mesi e i giorni saranno distinti da numeri (rispettivamente da 1 a 12 e da 1 a 30). Il poeta e commediografo Fabre d’Eglantine, qui in un ritratto dell’epoca, tempererà l’aridità del calendario matematico con un tocco di poesia. Quindi i mesi riceveranno nomi che si ispirano alle attività agricole o alle caratteristiche atmosferiche e collegate alla terra: quindi ci sarà Vendemmiaio, Brumaio, Frimaio, Nevoso, Piovoso, Ventoso, Germinale, Floreale, Pratile, Messidoro, Termidoro, Fruttidoro.

Ogni mese è diviso in tre decadi, e ogni decadì (decimo giorno) è considerato festivo in sostituzione della domenica. Infine, dal momento che 12 mesi di 30 giorno ognuno fanno un totale di 360 giorni, sono introdotti 5 “giorni sanculottidi” (6 per gli anni bisestili) in modo da far tornare i conti.

Tutto chiaro sulla carta e a tavolino, naturalmente. Ma il popolo, ancora affezionato alla scansione settimanale, alle feste con i santi, ai riti agricoli e alle domeniche come giorni dedicati al riposo e alla Messa, non riesce a fare i calcoli, s’imbroglia e si confonde facilmente. Ragion per cui molti continuano a seguire il metodo tradizionale, specie nelle campagne e con buona pace della Repubblica. Infatti con il nuovo calendario la settimana lavorativa si appesantisce perché passa da sei giorni a nove… e quindi perché bisogna faticare tre giorni in più?

Durante il periodo in cui la decristianizzazione tocca l’acme, e quindi non ci sono nemmeno più le campane che suonano per chiamare alla liturgia, bande di ferventi patrioti aggrediscono le persone in mezzo alla strada, chiedendo a tradimento: “Che giorno è oggi, cittadino?” Se gli “intervistati” non sanno rispondere in modo corretto, gli energumeni passano alle maniere forti e cominciano a malmenare i poverini.

In conclusione, se fossi vissuta in quel periodo mi sarei presa una scarica di legnate un giorno sì e l’altro pure. Io e la matematica siamo due rette parallele che non s’incontreranno mai… al limite ci saluteremo dalle corsie opposte.

Questa mania di glorificare l’inizio dei regimi mi ha ricordato anche il sistema di computo dell’era fascista, che adottava come data di inizio quella del giorno successivo alla marcia su Roma del 28 ottobre 1922 e usando i numeri romani. Ma gli esempi sono innumerevoli.

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Al di là delle stravaganze delle dittature… ai tempi dei nostri genitori, ad esempio, si imparava il catechismo a memoria, oppure le date di eventi e battaglie in Storia, cosa noiosissima. A voi vengono in mente ricordi astrusi collegati all’obbligo della memorizzazione, a scuola o in altre circostanze?

Fonte:
L’incorruttibile rivoluzionario che lasciò la testa sulla ghigliottina – Collana “I grandi contestatori”: Robespierre – Mondadori