Nel dizionario Treccani il termine “cavaliere” (dal provenzale cavalier, francese antico chevalier, che risalgono al latino tardo caballarius, derivato di caballus “cavallo”) indica semplicemente “chi sta a cavallo, chi va abitualmente a cavallo”. Solo con il tempo la parola ha assunto una connotazione di stampo militare, ma dalle sfumature anche leggendarie, grazie alle svariate epopee e chanson de gestes medievali.

Pur non essendo tra i miei animali favoriti, è stato dunque un obbligo per me occuparmi del

cavallo 

a causa del rapporto strettissimo, quasi simbiotico, che si è venuto a creare tra l’uomo e questa sua cavalcatura privilegiata. Dai tempi del suo addomesticamento, com’è ovvio, il cavallo viene utilizzato anche come animale atto a tirare carri, carretti e, più raramente, aratri; ma è indubbio che cavallo e cavaliere formino un sodalizio ricco di fascino e significati.

Nelle mie ricerche ho scoperto così che ci sono oltre trecento razze di cavalli, che si dividono in base alla corporatura e al temperamento (a sangue freddo, mezzo sangue e i cosiddetti purosangue). Ci sono inoltre i cavalli da tiro, le “razze leggere da sella” e le “razze da sella”. Nei miei romanzi mi sono divertita ad assegnare ai cavalieri, di volta in volta, il baio con crini ed estremità nere e corpo marrone in tutte le sue gradazioni, il frisone mostrato nella fotografia iniziale, una delle razze equine più antiche in Europa, e naturalmente il cavallo arabo, nobile e dal busto fine e tra i più pregiati, il pomellato grigio oppure bianco con macchie rotondeggianti, e via discorrendo. Sempre sul dizionario Treccani ho imparato che il destriero (o destriere) era proprio il cavallo da battaglia o da giostra dei guerrieri medievali, così detto perché lo scudiero lo conduceva con la destra.

Quindi, per non disperdere ulteriormente le nostre forze, andiamo in ordine cronologico e cominciamo questa nostra cavalcata – è il caso di dirlo! – da un cavallo mitico che ha dato il suo nome addirittura a una costellazione.

Il mito: Pegaso

È il più famoso dei cavalli alati. Secondo il mito, nacque dal terreno bagnato dal sangue versato
quando Perseo tagliò il collo di Medusa. Secondo un’altra versione, Pegaso sarebbe balzato direttamente fuori dal collo tagliato del mostro, insieme a Crisaore. Animale selvaggio e libero, Pegaso viene inizialmente utilizzato da Zeus per trasportare le folgori fino all’Olimpo. Grazie alle briglie avute in dono da Atena, viene successivamente addomesticato da Bellerofonte, che se ne serve come cavalcatura per uccidere la Chimera

Dopo la morte dell’eroe, avvenuta per essere caduto da Pegaso, il cavallo alato ritorna tra gli dei. Pegaso prende il volo verso la parte più alta del cielo e si trasforma in una nube di stelle scintillanti che hanno formato una costellazione, tuttora chiamata Pegaso. Si trova nel cielo boreale; le sue tre stelle più brillanti, assieme a Sirrah (α And), formano un quadrilatero detto il Quadrato di Pegaso.

Nell’opera del 1925 di John Singer Sargent, qui sopra inserita, il pittore mostra Perseo che cavalca Pegaso. L’eroe ha appena tagliato la testa di Medusa, e nell’impostazione il cavallo sembra sorgere come sprigionandosi dal corpo e cavalcando su un sentiero costituito da nuvole aggrovigliate e scalpitando nell’azzurro del cielo. I colori utilizzati sono fredde tinte bianche, celesti e grige. L’oro utilizzato serve per dare rilievo al volume delle nuvole e in special modo alla muscolatura del cavallo, il cui muso si staglia con nettezza sullo sfondo.

Di nuovo il mito: il centauro

Proseguendo la nostra galleria degli antichi miti, il rapporto simbiotico tra uomo e cavallo ha dato origine al centauro: un uomo mezzo uomo e mezzo cavallo. Questa figura ha origine dall’amore sacrilego fra il re dei Lapiti, Issione, e una sosia della dea Era, Nefele, dalla cui unione nasce, appunto, Centauro, un essere deforme che si accoppia con le giumente del Monte Pelio e origina una razza di creature ibride, metà uomini e metà cavalli. Questi esseri possono essere incredibilmente saggi o terribilmente crudeli, poiché in loro pregi e difetti della natura umana risultano esasperati.

La più famosa leggenda che coinvolge i centauri è quella della loro battaglia contro i Lapiti in occasione della festa nuziale di Piritoo, la cosiddetta Centauromachia. I Centauri vengono invitati ai festeggiamenti ma, non essendo abituati al vino, ben presto si ubriacano, dando sfogo al lato più selvaggio della loro natura. Quando la sposa Ippodamia (“colei che doma i cavalli“) arriva per accogliere gli ospiti il centauro Euritione balza su di lei e tenta di stuprarla. In un attimo anche tutti gli altri centauri si lanciano addosso alle donne e ai fanciulli. Scoppia una battaglia nella quale anche l’eroe Teseo, amico di Piritoo, interviene in aiuto dei Lapiti. I centauri sono sconfitti e scacciati dalla Tessaglia e a Euritione vengono mozzati naso e orecchie.

Tra i centauri più famosi è Chirone, benevolo e saggio maestro e custode del fanciullo Achille, qui sopra raffigurato in un affresco al Museo Archeologico di Napoli, mentre mostra al giovinetto l’uso della lira. Un esemplare della specie violenta è, invece, Nesso, che tenta di rapire la seconda moglie di Ercole, Deianira, per stuprarla.

Questa creatura fantastica viene raffigurata su terracotte, muri e affreschi e sopravvive nell’araldica medievale come armato di clava e nel centauro sagittario come armato di arco.

Il cavallo e il cavaliere nel Medioevo

Controverso è il consumo di carne equina nel Medioevo secondo lo storico Massimo Montanari nel suo bel saggio Alimentazione e cultura nel Medioevo. L’allevamento del cavallo assicura lavoro e trasporto specialmente in rapporto alle cavalcature militari. Soprattutto da ciò deriva la singolare funzione sociale di questi animali, che finisce col riflettere sul cavallo il prestigio del suo cavaliere; da qui la gravità degli affronti fatti all’aspetto fisico del cavallo, quasi l’animale sia per certi versi umanizzato. Isidoro di Siviglia afferma che “solo il cavallo ha la capacità di piangere per l’uomo, e di provare l’emozione del dolore. Per questo, nei centauri, la natura del cavallo è mescolata a quella dell’uomo.” Non sembra che ci sia una proibizione tout court nell’uso alimentare della carne equina nei libri penitenziali dell’Alto Medioevo; la cosa parrebbe quindi avere una certa discrezionalità.

Comunque sia, nel Medioevo il cavallo diventa non solo la cavalcatura del guerriero, ma un compagno fedele e un amico insostituibile. Un poco come avviene tra padrone e cane, anche tra cavaliere e cavallo si finisce con l’assomigliarsi per carattere e attitudini. Nella Prima Crociata del 1095-1099, e nel romanzo- saggio di Franco Cardini L’avventura di un povero crociato, lo storico descrive la terribile marcia dei crociati attraverso l’Anatolia e specialmente l’attraversamento dei monti dell’Antitauro, la “montagna del diavolo” abitata secondo la tradizione da spiriti malvagi. Egli scrive che il sentiero s’inerpicava talvolta lungo i costoni resi insidiosi dagli spigoli taglienti di grige rocce scistiche, talatra costeggiava pareti lisce, quasi a picco, percorrendo una cornice stretta poche braccia che dava direttamente su abissi vertiginosi e che spesso si dovevano superare profondi crepacci passando su malsicuri ponti di legno e di corda. Non fidandosi ad attraversare quelle instabili passerelle con i loro cavalli, armi e armature, alcuni cavalieri cercano di disfarsi dei loro animali cedendoli ad avidi pellegrini per pochi soldi. Ma alle volte cavalli e muli mettono scivolano lungo i sentieri e cadono loro stessi negli strapiombi. Così, uomini abituati a tutte le battaglie e a tutte le durezze, e spesso impietosi con i loro stessi congiunti, scoppiano in lacrime come bambini quando i loro cavalli muoiono a quel modo, oppure a causa di ferite e malattie. Sentono di aver perso una parte di loro stessi.

Nel dipinto che vi propongo sopra, e che è opera di Ferdinand Leeke, non poteva mancare un’immagine di Parsifal  visto il titolo di questo blog, nello specifico Parsifal in Quest of the Holy Grail… Lascio a voi l’interpretazione del dipinto, limitandomi a dire che quel prato fiorito e il fiumiciattolo che scorre di lato mi ricordano molto certi angoli del Trentino.

La cavalla storna di Giovanni Pascoli

Arriviamo così a una poesia in cui noi tutti scolari italiani ci siamo imbattuti nelle antologie letterarie: La cavalla storna del poeta Giovanni Pascoli, penultima inserita nei Canti di Castelvecchio. La poesia è stata composta da Pascoli in memoria del padre, assassinato sul suo carro mentre tornava verso casa, il 10 agosto 1857. L’autore all’epoca aveva circa dodici anni e non furono mai individuati i colpevoli, anche se si fecero delle supposizioni.

Il fatto costituisce quindi un vero e proprio giallo. L’animale ha visto l’autore materiale dell’omicidio, ma non può esprimersi nel linguaggio degli uomini; e gli uomini non possono intendere il linguaggio animale. Ma la madre di Pascoli entra nella stalla e si mette a dialogare con la cavalla. Ecco gli ultimi versi della poesia:

Mia madre l’abbracciò su la criniera
“O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!


a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona… Ma parlar non sai!


Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!


Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.


Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.


Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.


La paglia non battean con l’unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.


Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome… Sonò alto un nitrito.

Se desiderate udire l’intera poesia recitata dall’inconfondibile e calda voce di Alberto Lupo, ecco il link su Youtube, mentre accanto ai versi trovate uno schizzo dello stesso Pascoli. L’aggettivo “storna” significa di mantello di cavallo grigio scuro macchiettato di bianco.



Il film: Seabiscuit di Gary Ross del 2003

Seabiscuit – Un mito senza tempo (Seabiscuit) è un film del 2003 diretto da Gary Ross. Il film è tratto dal libro del 2001 intitolatoSeabiscuit: una leggenda americana di Laura Hillenbrand.

Nell’America degli anni trenta, il paese si trova travagliato dalla crisi economica a causa della Grande Depressione. Il giovane Red Pollard viene lasciato dai genitori a un tutore che può curarsi di lui, dato che la famiglia non ha più i mezzi per mantenere tutti i figli. Contemporaneamente, il magnate dell’automobile Charles S. Howard scala le vette del successo con la sua attività ma subisce una tremenda tragedia. Infatti suo figlio Frank, muore a causa di un incidente. Dopo questa vicenda, il suo matrimonio fallisce. Nello stesso tempo, Tom Smith un uomo che si potrebbe definire l’ultimo cowboy, gira per il paese cercando di adattarsi alle modernità della nuova corrente.

I loro destini si accomuneranno quando Howard decide di assumere Smith come allenatore per i cavalli della sua scuderia. Durante questa collaborazione, ad una corsa ippica, Howard, che intanto si è risposato con una ragazza messicana, decide di acquistare un cavallo dalla pessima reputazione, ovvero Seabiscuit. Smith, allena il cavallo riconoscendo in lui un potenziale campione, nonostante sia considerato basso, grasso e con un difetto alla zampa.

Dopo averlo rimesso in sesto, con una dieta bilanciata e la compagnia nella stalla di un cavallo bianco e un cane, si tratta di trovargli un fantino. Entra in scena Pollard che durante la sua giovinezza ha girato il paese facendo degli incontri di boxe e sbarcando il lunario come fantino. Seabiscuit e Pollard hanno lo stesso carattere nervoso e Smith, dopo che i due si incontrano, capisce che sono fatti l’uno per l’altro. …

Pur con le inevitabili differenze tra il libro e la sua versione cinematografica, il film è ben realizzato e commovente al tempo stesso. Tre uomini, considerati dalla società come “falliti” a causa di avversità personali ed economiche, si trovano prontamente estromessi non solo dalle possibilità di realizzazione e sostentamento ma anche dal diritto ad avere una vita dignitosa e affettivamente ricca. E il film è soprattutto la storia di un cavallo, anche lui considerato uno scarto a causa del suo difetto e quasi in procinto di essere abbattuto. Tra incomprensioni, difficoltà e conflitti, nasce tra questi esseri umani un’amicizia solidissima e il cavallo tanto disprezzato, e che nessuno voleva diventa non soltanto il simbolo di un riscatto, ma una creatura amata e rispettata come dovrebbe essere chiunque, qualsiasi difetto o disabilità abbia.

Infatti nell’incipit del libro Seabiscuit – Una leggenda americana si legge: “Nel 1938, nell’elenco dei personaggi più famosi dell’anno, al secondo posto c’era Franklin Delano Roosevelt e al terzo Adolf Hitler. In testa alla classifica non c’era un uomo ma un cavallo grasso, zoppo e testardo, guidato da un fantino sfortunato e cieco da un occhio. Il suo nome era Seabiscuit.”


Più sopra, la locandina del film, con Tobey Maguire nel ruolo di Pollard e, qui, il vero Seabiscuit con Tom Smith.

La curiosità: il cavallo di Muybridge

Nato nel 1830, l’inglese Muybridge fu un pioniere della fotografia del movimento. Nel 1878 gli si chiede di confermare un’ipotesi, ovvero che durante il galoppo di un cavallo esiste un istante in cui tutte le zampe sono sollevate da terra. Nel 1878, Muybridge fotografa con successo un cavallo in corsa utilizzando 24 fotocamere, sistemate parallelamente lungo il tracciato. Ogni singola macchina viene azionata da un filo colpito dagli zoccoli del cavallo. La sequenza di fotografie chiamate The Horse in motion mostra come gli zoccoli si sollevino dal terreno contemporaneamente, ma non nella posizione di completa estensione, come era comunemente raffigurato. Questa situazione è spesso raffigurata nei dipinti e disegni degli inizi del 1800.

I risultati di Muybridge sconvolgono questa visione e influenzano pesantemente l’attività dei pittori, che si affidano sempre più al mezzo fotografico per meglio riprodurre quello che l’occhio umano confonde. L’analisi forse più attenta del movimento catturato da Muybridge viene portata a termine da Edgar Degas, che studia a fondo tutte le posizioni assunte dal cavallo.

Sequenza animata di un cavallo da corsa al galoppo. Le foto che la compongono furono scattate da Edward Muybridge (morto nel 1904) e pubblicate per la prima volta nel 1887 a Philadelphia con il titolo Animal Locomotion.

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Avrei voluto inserire anche il film d’animazione Spirit – cavallo selvaggio, ma il post si sarebbe fatto troppo lungo. Non ho inoltre mai letto il libro di Michael Morpurgo, War Horse né visto il film. Qualcuno li conosce? Avete esperienza diretta con i cavalli?

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Fonti:

Immagine d’apertura: cavallo frisone www.maneggio-persiceto.com
Wikipedia per gli estratti su Pegaso e centauro, e i testi (adattati e tagliati)
Alimentazione e cultura nel Medioevo di Massimo Montanari – edizione Laterza
L’avventura di un povero crociato di Franco Cardini – edizione Mondadori