Eccomi di nuovo a partecipare molto volentieri a un’altra edizione di Insieme raccontiamo, iniziativa ideata dalla vulcanica blogger Patricia Moll in Myrtilla’s House. Stavolta non potevo proprio fare la gnorri oppure battermela all’inglese, visto che, a quanto pare, le ho dato io lo spunto con un mio commento a proposito, o a sproposito, di una foto!

Ecco dunque il link al post relativo a questa edizione n. 17.

Le regole sono semplici: Patricia pubblica un incipit con una foto e i partecipanti si sbizzarriscono con un finale che dovrebbe essere contenuto tra le 200/300 battute oppure le 200/300 parole. Si può postare lo scritto direttamente nei commenti del blog di Patricia mettendo il link al proprio blog se postiamo il finale lì oppure indicando il link. Si possono aggiungere foto, video, musiche.

Stavolta volevo tenermi parca con le parole, ma ho raggiunto le 300 così, senza colpo ferire. Et voilà!



L’incipit di Patricia è:



Era l’alba. Gli piaceva scendere in spiaggia a quell’ora. In giro non c’era ancora nessuno perché i vacanzieri erano andati a dormire da poco.

Il silenzio interrotto solo dalla voce del mare lo rasserenava.

Girovagando, aveva oltrepassato il promontorio. In una piccola baia seminascosta l’aveva trovata…



e la foto è la seguente:

https://pixabay.com/en/ship-wreck-fraser-island-australia-652598/

Ed ecco come sempre il racconto completo. Leggetelo ascoltando il brano strumentale Nearer, my God, to Thee, al seguente link:

***

Era l’alba. Gli piaceva scendere in spiaggia a quell’ora. In giro non c’era ancora nessuno perché i vacanzieri erano andati a dormire da poco.

Il silenzio interrotto solo dalla voce del mare lo rasserenava.

Girovagando, aveva oltrepassato il promontorio. In una piccola baia seminascosta l’aveva trovata.

Non l’aveva vista subito, fermo com’era sulla spiaggia e rivolto all’immensità dell’oceano. Sospinta dalle onde, era arrivata fino ai suoi piedi, toccandolo come fanno i cani quando vogliono richiamare l’attenzione, con piccoli, teneri tocchi del muso.

Il suo primo pensiero fu: “Ecco come la gente riduce le spiagge: a un immondezzaio.” Poi si chinò e la prese. Si rigirò la bottiglia tra le mani: era whisky distillato a Cork, per quel che poteva indovinare dall’etichetta vecchia e ormai illeggibile. Lui insegnava letteratura inglese a Dublino, ma di whisky irlandese un po’ s’intendeva.

Era vuota, perlomeno di whisky, ma c’era dentro qualcosa. Stappò il sughero e, dando brevi colpi col palmo, fece uscire il pezzo di carta ripiegato e contenuto al suo interno. “Il classico messaggio nella bottiglia… come nel racconto di Edgar Allan Poe,” pensò l’uomo, divertito.

Aperse il biglietto e lesse una grafia incerta e sgrammaticata:

È l’una e quaranta di notte e stiamo affondando. Chiunque tu sia, ti supplico di pregare per me quando sarò morto. Che il Signore abbia pietà della mia anima.

Doran Murray, 15 aprile 1912

Confuso, egli alzò lo sguardo all’oceano e per un attimo non capì più dove fosse.

S’accasciò sulla spiaggia, con le gambe rese molli. Aveva un tremito violento alle mani, quella che reggeva il pezzo di carta, e l’altra aggrappata alla bottiglia, come se l’avesse scolata di colpo.

“Dio del cielo… ” mormorò il professor Murray. Non era possibile… doveva essere una coincidenza che lo scrivente avesse il suo stesso nome e cognome. Quello di un trisavolo morto nel disastro del 1912.


Lo sciabordio delle onde gli ricordava ora una musica di violini.

Una musica struggente.

E gli pareva che il suo cuore, così simile a un relitto arrugginito, emergesse dalle acque e si presentasse, infine, al cospetto del cielo.

Unknown landscape  di William Trost Richards (1833-1905)
Hudson School River