Ehilà! C’è qualcuno che mi sta leggendo? Se qualche lettore coraggioso c’è, gli faccio i miei complimenti in quanto il post sul serpente corredato dall’usuale immagine di apertura non è per tutti! Del resto mi pareva di fare un torto a questo animale che ha una pessima fama se non gli avessi assegnato la consueta foto di inaugurazione.

Col termine serpente, oppure ofide, vengono comunemente chiamati i rettili squamati appartenenti al sottordine Serpentes Linnaeus, 1758 (od Ophidia). Sono strettamente imparentati con le lucertole, considerate più “graziose” se non altro perché non uccidono le prede per inoculazione di veleno o costrizione. I serpenti sono animali carnivori, e si nutrono quindi di piccoli animali, compresi altri rettili, uccelli, uova o insetti. Ingoiano la preda senza masticarla poiché, disponendo di una mandibola estremamente flessibile, possono aprire la bocca e ingoiarla in un sol boccone, anche se questa è di grandi dimensioni.

A livello simbolico, letterario e artistico, il serpente è un animale carico di significati. Particolarmente ricco si è rivelato quindi il repertorio cui attingere, da cui ho tratto alcuni esempi che conosco a sufficienza. Ho già in mente di fare un secondo post dedicato al serpente, quindi preparatevi! Partiamo dunque con il serpente letterario e biblico più famoso di tutti i tempi.
Il serpente nel giardino dell’Eden

Nel capitolo 3 di Genesi i progenitori Adamo ed Eva vivono nel giardino creato per loro da Dio. Ma ecco che, sbucato dal nulla, appare il serpente.

1 Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 
2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 
3 ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». 
4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 
5 Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». 
6 Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò.


Come tutti sanno, il prosieguo della storia prevede che Dio, venuto a sapere della disubbidienza delle sue creature a mezzo del tentatore, maledice il serpente. Pone inimicizia tra lui e la stirpe della donna e lo condanna a strisciare e a mangiare la polvere fino alla fine dei suoi giorni, e la donna lo schiaccerà sotto il suo calcagno. E, naturalmente, anche i progenitori vengono allontanati dall’Eden, ovvero dalla vicinanza di Dio e dallo stato di grazia conseguente. 
Il serpente del passo biblico viene associato a Satana. Fiumi d’inchiostro sono stati versati sul passo citato, quindi lungi da me volermi lanciare in dissertazioni teologiche in questo modesto articolo e in uno spazio così esiguo. Quello che mi ha sempre colpito nella maledizione divina a carico del serpente è che Dio lo condanna a strisciare sul ventre, e quindi se ne può dedurre che, prima, deambulasse su due zampe o comunque si tenesse eretto. Il che presuppone se non un animale bipede, qualcosa di molto simile a un essere umano. Per questo motivo ho scelto il quadro che potete vedere sopra; purtroppo non ho trovato l’autore, anche se il tratto duro parrebbe far pensare a una scuola tedesca, come Lucas Cranach ad esempio.
L’ureo nei copricapi dei faraoni dell’Antico
Egitto e i
l serpente di bronzo


Il serpente non è sempre un simbolo negativo, anzi! Proseguendo in ordine cronologico, possiamo ricordare la decorazione a forma di serpente posta, in origine, ai lati del disco solare e successivamente sul copricapo dei sovrani egizi. Nello specifico l’ureo era la rappresentazione del serpente cobra, sacro alla dea Uadjet, venerata nel 19º distretto del Basso Egitto, una delle due divinità protettrici del sovrano. Insieme alla barba posticcia, l’ureo era uno dei simboli esteriori della regalità.

Qui accanto potete vedere la celeberrima, splendida maschera funeraria dell’antico faraone egizio Tutankhamon (1332 a.C.-323 a.C.), posta nel Museo del Cairo. Tutankhamon indossa il copricapo nemes sormontato dalle insegne regali giustappunto del cobra (Uadjet) e dell’avvoltoio (Nekhbet), che simboleggiano il potere del faraone sull’Alto e Basso Egitto.

Un altro serpente benefico e, anzi, curativo è quello di bronzo, anch’esso di biblica memoria. Gli Israeliti sono stati liberati dalla schiavitù in Egitto e viaggiano verso la terra promessa, guidati da Mosè. Ma il viaggio è duro e molti si loro si lamentano. Dio li punisce inviando fra loro dei serpenti velenosi che mietono numerose vittime. Il popolo pentito si rivolge allora a Mosè affinché preghi il Signore di allontanare i serpenti. Dopo la preghiera di Mosè, Dio gli ordina di forgiare un serpente di bronzo e di collocarlo in vista del popolo: chiunque fosse stato morsicato dai serpenti velenosi, si sarebbe potuto salvare solo guardando verso il serpente di Mosè.

Ci sono diverse raffigurazioni del serpente di bronzo, ma il mio preferito è, com’è ovvio, il serpente collocato nella chiesa milanese di Sant’Ambrogio. È posto alla sommità di una colonna con capitello corinzio e la sua fattura è così realistica da sembrare che stia per guizzare via e scendere dalla colonna sopra cui è posto.

Questo serpente specifico ha un’origine piuttosto misteriosa, ed è detto di Basilio II in quanto si dice che venne donato dal basileus  di Costantinopoli attorno all’anno 1000. Con il tempo gli furono attribuite proprietà taumaturgiche, tanto che le donne portavano i figli affinché “il serpente” li curasse, fino a quando l’intervento di San Carlo Borromeo non pose fine a pratiche che considerava idolatriche.

Il serpente nello stemma Visconti 

Di recente non ho più avuto modo di parlare di Bernabò Visconti (qui il link per chi non lo conoscesse), e quindi mi è arrivato da messere un vero scappellotto virtuale. Mi affretto quindi a porre rimedio e a illustrarvi il serpente più famoso di tutta l’araldica medievale nostrana, ovvero di quello che campeggia nello stemma della famiglia Visconti. Il cognome deriva dal latino vice comitis, che significa “vice conti”.

Per la verità le origini dello stemma sono incerte, e non si sa nemmeno se sia un serpente, una vipera oppure un drago. Inoltre non è sicuro se la persona che tiene nelle fauci sia un bambino o un saraceno, e se lo stia ingoiando o rigettando. Il rettile ondeggia sulla punta della coda e spesso ha la corona alla sommità del capo. Nell’immagine qui proposta, potete vedere quello che campeggia sul muro esterno dell’Arcivescovado di Milano. La Bissa milanese è invece blu nella versione colorata, usanza che parrebbe derivata da una rappresentazione longobarda.

Quello che è certo è che i componenti della famiglia Visconti, abilissimi comunicatori e propagandisti di se stessi, avvolsero la nascita dello stemma nella leggenda. Infatti secondo Michel Pastoureau, nel libro Medioevo simbolico, in origine i Visconti erano soltanto signori di Anguaria, il cui nome evoca il latino anguis (serpente) e, nella metà del XIV secolo i Visconti introducono a ragione dello stemma una leggenda ammantata di eroismo.

Ecco alcune delle sue molte versioni. La prima narra che Bonifacio, signore di Pavia, sposa Bianca, figlia del duca di Milano. Mentre Bonifacio combatte contro i Saraceni, il figlio viene rapito e divorato da un enorme serpente. Al rientro dalla guerra, Bonifacio si mette sulle tracce del serpente e, scovatolo, lo uccide facendogli vomitare il proprio figlio miracolosamente vivo. Un’altra versione prevede invece che il loro capostipite adotti il rettile nel proprio stemma dopo essersi salvato dal morso di una vipera entratagli nell’elmo durante la Prima Crociata. Un’altra versione, ancora diversa, racconta che il Visconti fu invogliato a far proprio il serpente dopo aver ucciso il drago Tarantasio, un bestione che terrorizzava gli abitanti del lago Gerundo nella zona di Lodi, mangiava i bambini, fracassava barche e aveva pure l’alito pestilenziale.

In tutti i modi i Visconti adottarono un simbolo che, con l’andar del tempo, suscitò un vero e proprio terrore. Chi avvistava le insegne con la Biscia milanese cominciava a tremare perché erano guai sicuri in arrivo. Tra i maggiori nemici dei Visconti erano i fiorentini che crearono per l’occasione dei sonetti con cui gratificavano l’ambiziosa Milano con il titolo di “serpe”, “vipera” e altri epiteti affettuosi, stramaledicendola come in questo passaggio del Sonetto per San Miniato di Franco Sacchetti (1370).
Biscia nimica di ragione umana,
che ‘l verno, quando l’altre stan sotterra, 
tu vai mordendo e faccendo guerra, 
mancata t’è la tua speranza vana!



Man mano che i membri della famiglia Visconti si succedevano al potere, ognuno di loro apportava dei cambiamenti per “personalizzare” il rettile che compariva ovunque, quindi anche sulle monete. Ad esempio sotto il nostro Bernabò Visconti era diventato un drago crestato come nel fiorino che potete vedere qui sopra. La moneta ha lo scudo dal biscione sormontato dal cimiero con il drago crestato e ai lati le lettere D – B, il tutto entro cornice di quattro semicerchi e quattro angoli. Posso supporre che B fosse l’iniziale di Bernabò, mentre non ho la minima idea di che cosa sia D. Sul retro invece la biscia è sormontata da aquila e accostata dalle lettere D – B.

Sotto il dominio del nipote e ormai duca Gian Galeazzo, la biscia era inserita nel sole serpentiforme i cui raggi evocavano il guizzo di moltissime serpi, come nell’affresco della Rocchetta al Castello Sforzesco di Milano, che potete vedere qui. Beh, insomma, in qualsiasi modo fosse raffigurata, sempre biscia era… e la cosa più straordinaria è che il sole serpentiforme “esplode” letteralmente nella magnifica vetrata dell’abside del Duomo di Milano:

Per concludere rammento il motto Visconti. su cui ogni commento è superfluo:

Vipereos mores non violabo
Non violerò le usanze del serpente

Sir Biss nel film d’animazione Robin Hood (1973)

Sopravvissuti a stento dalle grinfie dei luciferini Visconti, riportiamo il sorriso sulle nostre labbra e facciamo un collegamento ideale con il Medioevo del soggetto precedente. Sir Biss (Sir Hiss in inglese) non poteva certo mancare nella mia galleria di serpenti, perché, nonostante il suo ruolo, è davvero simpatico in quanto è spesso vittima delle sfuriate di re Giovanni.

Si tratta di un personaggio del film d’animazione Robin Hood di Walt Disney, dove  i protagonisti della ben nota storia sono tutti interpretati da animali. Giovanni Senzaterra, usurpatore del trono al fratello Riccardo partito per le crociate, è un leone capriccioso, infido e mammone. Si avvale di un unico consigliere, ovvero Sir Biss, un cobra reale vestito di mantello e cappellino piumato e dalla parlata sibilante, ma che viene ascoltato molto di rado dal sovrano. Il re lo strapazza continuamente, e una volta gli rompe uno specchio in testa, al che Sir Biss esclama: “Gasp! Sette anni di guai! E avete rotto lo ssspecchio di vostra madre!” mandando il re in crisi edipica con tanto di pollice ficcato in bocca.

Curiosità: il serpente più velenoso del mondo

Per concludere, il Taipan occidentale è il serpente più velenoso del mondo. La resa massima registrata per un morso è 110 mg, sufficiente per uccidere circa 100 esseri umani, o 250.000 topi. È 50 volte più velenoso del Cobra comune. Se volete vedere il Taipan, cliccate qui.

***


Non vi chiederò se vi piacciono i serpenti, ma se siete riusciti ad arrivare fino in fondo alla mia carrellata e se avete qualcosa da raccontare di vostri incontri con questi rettili. Io ne ho diversi!
***

Fonti:
Immagine iniziale: Pixabay
Fiorino visconteo: http://www.astanumismatica.it/
Immagine dell’abside del Duomo scattata da me
Tutte le altre immagini: Wikipedia