Se vogliamo scoprire come eravamo, o meglio che cosa mangiavamo e perché, non possiamo prescindere dalla lettura del saggio
nel Medioevo
di Massimo Montanari, una vera e propria pietra miliare per chiunque s’interessi al periodo sia come studioso sia come semplice appassionato. Come esplicitato nel titolo, il saggio non riguarda soltanto il cibo inteso come alimento indispensabile alla sopravvivenza, ma anche come espressione culturale dell’essere umano posto in un determinato contesto sociale e religioso da cui viene influenzato e che egli influenza a sua volta. Per questo motivo accade che fortissimi parametri mentali siano a volte più determinanti del cibo stesso, in un’epoca pur soggetta a carestie e alla scarsità di determinati alimenti.
Il capitolo dal titolo “Il peccato di Adamo” crea subito un significativo collegamento del cibo con il passo biblico, ovvero il peccato della gola, e della lussuria conseguente in quanto i progenitori scoprono di essere nudi subito dopo aver ceduto alla tentazione di mangiare del frutto proibito. Per questo motivo nella cultura cristiana il problema del cibo diviene centrale, in quanto è la prima occasione di cedimento ai sensi al di là dell’ovvia necessità di avvalersene per non morire di fame. Se la gola è il primo dei vizi, però, il digiuno diverrà lo strumento con cui fortificare lo spirito e fuggire dal peccato. La sessualità fa così paura che in ambito religioso diventa una vera e propria ossessione e, e l’equivalenza tra la carne alimentare e la carne intesa come corporeità e sensualità è pressoché matematica.
Di contro, è nella classe nobiliare che si sviluppa il polo opposto dell’alimentazione come espressione di forza e violenza. L’uomo nobile, ovvero l’uomo potente, è colui che mangia molto. Non solo, egli deve mangiare molto per esibire il proprio status sociale. Scatta qui l’allarme del pensatore cristiano, soprattutto al cospetto di tale quantità di cibo, in quanto l’eccesso provoca una sovrabbondanza di “umori” che portano alla sovraeccitazione sessuale. Riscaldato da cibo e bevande, il sangue si risveglia e provoca appetiti di vario genere. Santi abati, padri della Chiesa, persino l’apostolo Paolo ammoniscono che la concupiscenza di cibo non è altro che la libido carnale, cosa peraltro confermata anche nei testi di materia medica a partire dal IV secolo, uno per tutti, la Collezione medica di Oribasio. In essi si sostiene che certi cibi favoriscono la sessualità, altri la inibiscono. Nascono così le indicazioni mediche, ad esempio per la cura dell’impotenza, suggerita dallo stesso Oribasio, e alla nascita di una delle teorie fondamentali della medicina medievale, ovvero quella dei quattro “umori”: caldo e freddo, umido e secco che, combinati in varia misura, costituiscono a determinare tutto ciò che esiste in natura, uomo compreso. Da qui ad esempio la predilezione degli eremiti per i cibi crudi, ovvero freddi, come inibitori di sessualità.
Ma il cibo è anche espressione di un incontro-scontro culturale di cui ancora oggi possiamo trovare le tracce sulle nostre tavole e nelle nostre stesse scelte alimentari, e che viene ben spiegato nel capitolo “Barbari e Romani”. La civiltà greco-romana, sviluppatasi in ambito che possiamo definire mediterraneo, ha nella cerealicoltura e nell’arboricoltura con vite e olive la principale fonte del suo sostentamento, accanto a una pastorizia soprattutto a carattere ovino. Grano-olio-vino vengono integrati non tanto dalla carne, quanto dai latticini e in modo particolare dalla produzione casearia. Le popolazioni celtiche e germaniche che arrivano dal Nord Europa, invece, si avvalgono di un’economia silvo-pastorale, con caccia, pesca, raccolta di frutti e allevamento del bestiame allo stato brado, specialmente con riguardo ai maiali. Il regime alimentare di questi popoli prevede quindi un ingente consumo di carne, ma anche di ortaggi derivati dalle coltivazioni orticole. Questi due modelli alimentari così diversi si contaminano e portano a un modello “misto”. Chiese e monasteri diventano i principali motori di espansione del modello produttivo di tipo “mediterraneo”, anche grazie alla necessità di produrre localmente il cibo necessario. Il modello produttivo germanico trova invece ampia diffusione nelle regioni centro-meridionali dell’Europa. Gli spazi incolti come boschi, paesaggi, paludi, non sono avvertiti come un ostacolo, ma occasione di sfruttamento di risorse e come luogo di allevamento, caccia, pesca e raccolta. L’allevamento del maiale, cibo primario nell’Alto Medioevo, è della massima importanza in quanto non è giuridicamente precluso a nessuno. Il dettaglio curioso è che nella Langobardia emiliana precocemente germanizzata sono assai diffusi questi allevamenti suini (ancora proverbiali ai giorni nostri!), mentre nelle regioni limitrofe persiste l’allevamento ovino.
Il cibo diventa un linguaggio (“Il linguaggio del cibo”), come si accennava all’inizio: il ricco mangia di più e meglio, mentre il povero mangia di meno e peggio. Non solo il potente deve ostentare, tramite il banchetto, la propria superiorità, ma spetta anche al pauper non ricercare comportamenti estranei al proprio rango, anche se per ipotesi ne avesse l’occasione. Massimo Montanari qui sfata però un luogo comune del Medioevo, perlomeno nei primi secoli dello stesso, e cioè la possibilità di approvvigionarsi di carne. Nell’Alto Medioevo difatti il tipo di economia, basata sull’allevamento e la caccia, consente un regolare approvvigionamento di carne a tutti i livelli sociali, popolo compreso. Solo con il tempo la caccia grossa, come dire, verrà riservata alla nobiltà. A rinforzare la teoria secondo cui l’alimentazione a base di carne è un simbolo, nell’aristocrazia militare si procede a comminare l’astinenza forzata come forma di punizione ed emarginazione a seguito di un comportamento scorretto. Ancora una volta, quello che è un atteggiamento virtuoso in un ecclesiastico diventa una maniera per indicare come indegno un membro della nobiltà.
Anche nella disposizione dei posti attorno a una tavola imbandita si sottolinea con estrema precisione la gerarchia dei commensali a seconda della maggiore o minore vicinanza all’uomo dominante. Questa assegnazione dei posti è estremamente rigorosa alla tavola bizantina, come ci informa un ambasciatore di Ottone I presso il rex Grecorum. Più informale ma altrettanto significativa è la consuetudine dei Longobardi di cui è attento cronista Paolo Diacono, in cui il figlio del re può stare a tavola col padre solo dopo aver sottratto le armi al nemico, e quindi aver dimostrato il proprio valore. Peraltro anche nei monasteri la disposizione a tavola segue un codice rigoroso, come sappiamo dalla Regola di Benedetto e altri analoghi testi. L’abate ha una sua mensa distinta dove accoglie ospiti di riguardo e pellegrini. La solitudine della mensa diventa anche un segno di esclusione sociale, e nessuno può mangiare insieme a uno scomunicato a meno di essere scomunicato a sua volta. Particolarmente interessanti sono le disposizioni testamentarie a favore dei pauperes relative alla somministrazione regolare di pasti a favore dei più disagiati.
Il ruolo degli animali, com’è ovvio, è della massima importanza sulla tavola medievale, ma non solo (“Mangiare gli animali”). Vi sono suddivisioni tra gli animali destinati al cibo e animali da fatica. Il maiale è comunque il sovrano nei banchetti non soltanto per le carni, ma anche per altri usi come lo strutto. Rari e preziosi sono i bovini, di taglia più piccola rispetto a quelli che siamo abituati a vedere sui nostri pascoli; sono utilizzati come forza-lavoro per le operazioni agricole e i trasporti, più che come produttori di carni e latte, anche perché la selezione delle razze avviene in epoca molto più tarda. Soltanto alla fine della vita essi vengono macellati a scopo alimentare. Per il cavallo il discorso è del tutto particolare, in quanto esso è destinato in prevalenza alle cavalcature militari, sebbene non venga esplicitamente proibito il consumo della sua carne nei libri penitenziali (qui il link all’articolo sul cavallo). Si può dire che solo pecore e maiali vengano davvero destinati alla tavola medievale. A questa schiera si aggiungono quelli gli animali da cortile come galline, oche anatre, e la selvaggina di piccola taglia cacciata nei boschi. Grazie alla presenza di corsi d’acqua, molto diffusa è la pratica della pesca e la presenza di pesce di allevamento. Le tecniche di conservazione e preparazione delle carni e dei pesci rivelano grandissima ingegnosità: in un’epoca dove non esistevano i frigoriferi, si sviluppano ad esempio le tecniche dell’affumicatura e dell’insaccamento, o i formaggi stagionati oppure fusi che reggono il passaggio del tempo, e possono essere trasportati da un luogo all’altro nei lunghi e faticosi viaggi.
Nel saggio c’è il capitolo sulle diete monastiche che riguardano i cibi consentiti e quelli proibiti in corrispondenza del calendario liturgico, l’alto significato cristiano di cibi come il pane (eucaristico) e il vino (benedetto). E gustoso – è il caso di dirlo! – è “Il pranzo dei canonici” dedicato alla furibonda contesa che si innesca nel 1198 tra il vescovo di Imola, Alberto, e i canonici della cattedrale di S. Cassiano. Tra i vari punti delle loro richieste, parecchi sono dedicati al cibo: molto pressante è la pretesa dei canonici di sedere alla tavola del vescovo in occasione di quattro pranzi annuali. Non solo, ma il povero vescovo dovrebbe apprestare i suddetti pranzi anche alla loro familia, ai servientes e ai castaldi con una spesa niente affatto irrisoria per l’epoca, rispettando così la malaugurata consuetudine istituita dal suo predecessore.
Un discorso a parte merita il consumo dei cereali nell’Italia del Sud (“Modelli di civiltà: il consumo dei cereali”), con particolare riferimento alle leggi protezionistiche messe in atto dall’imperatore Federico II per tutelare la produzione nei campi e di conseguenza il lavoro dei contadini. Nel capitolo è molto ben spiegata la cattiva nomea dell’orzo come alimento per gli animali e che persino nelle grandi carestie viene adoperato obtorto collo per produrre pane povero e poco nutriente. Mangiare orzo equivale, nella mentalità dell’uomo medievale, ad essere arrivati al grado più basso della scala sociale, ovvero all’equiparazione con gli animali. Il capitolo “Mercanti” illustra con dovizia di fonti e documentazione il percorso che dovevano fare le navi comacchiesi sotto il regno longobardo di Liutprando per arrivare a Pavia e a quale pioggia di dazi fossero sottoposte.
Infine “Alimentazione e cucina” e “Il sale e la vita dell’uomo” sono capitoli imperdibili per chi scrive racconti o romanzi storici. Nel primo si entra direttamente in cucina, si preparano le pietanze insieme al cuoco di turno e si prende ispirazione da raccolte di ricette; si parla bevande aromatiche e fermentate, insieme a metodi di preparazione, insaporimento e conservazione dei cibi assai intelligenti. La preziosità del sale è ben nota sia come elemento per insaporire sia per conservare, e l’indicazione evangelica “Voi siete il sale della terra” la dice lunga sul tesoro rappresentato nei secoli da questo ingrediente e per cui si combatterono guerre.
Grazie al saggio di Montanari, si può dunque fare una vera e propria immersione nel passato per dare una coloritura più credibile e veritiera alle scene conviviali che scaturiscono dalla nostra penna, se scriviamo di Medioevo.
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Immagini:
- Cucina medievale
- Sant’Onofrio anacoreta in una icona bizantina
- Macellaio – miniatura dal De Univers” di Rabano Mauro – Montecassino, X-XI sec.
- Arazzo di Bayeux – Scena 43 : il vescovo Odon benedice il banchetto – Bayeux, seconda metà dell’XI secolo
- Copertina del libro
È possibile che lo abbia letto in una vecchia edizione? I capitoli che citi mi sembrano proprio quelli del libro che ho letto, oltre una decina di anni fa. All'epoca ho provato anche un paio di ricette, ma con esiti sul disastroso andante…
Allora, vediamo un po'… sul colophon c'è scritto che la primissima edizione del libro è stata pubblicata nel 1988 (c) Gius. Laterza & Figli, la nona edizione nel 2005.
Sei stata coraggiosa nello sperimentare le ricette medievali! Ricordo come uno degli eventi più belli cui io abbia partecipato un banchetto medievale al castello di Corneliano Bertario. Purtroppo non è stato più ripetuto in questa forma bensì nell'ambito di bancarelle del mercato. Da tempo sto anche cercando un negozio che venda idromele per provarne il sapore, ma non riesco a trovarlo.
Ho un'edizione degli anni '90 con una copertina azzurra. Per le ricette posso dirti di aver torturato delle quaglie (non avendo cacciacione), ma, come si dice in questi casi, il problema ero io, non loro. Ho partecipato a qualche banchetto medioevale, ma ho avuto il sospetto che i cibi fossero un po' addomesticati per il nostro palato… Di certo nessuno ci ha cucinato la zuppa di lingue di cigno (che non ricordo se ho letto in questo libro o in un testo scolastico di storia, ma che è diventata per me l'emblema del banchetto medioevale)
Cacciagione.
Non ho visto nuove edizioni, per cui penso che sia rimasta invariata. Per quanto riguarda i banchetti medievali, le ricette sono sempre un po' adeguate al nostro palato moderno, o dosi abbondanti di spezie ci fulminerebbero all'istante, probabilmente. Mi hai fatto ricordare che un anno fa ho partecipato a un banchetto pure molto bello organizzato a Bernate Ticino da La Compagnia i Corvi di Selene. C'erano degli abbinamenti curiosi di sapori tra dolce e salato, ma molto gradevoli. Insomma, tutte le volte che provo devo dire che gradisco molto.
La zuppa di lingue di cigno che menzioni mi ha fatto ricordare anche il sontuoso banchetto per le nozze di Violante Visconti, sorella di Gian Galeazzo, con il primo marito inglese Lionello di Clarence. Fu allestito un banchetto tra Palazzo Reale e l'allora chiesa dove c'è il Duomo dei cui fasti parlò tutta Europa. C'era anche il pavone arrosto e anche una bella spolverata d'oro sui piatti. Lo sposo poi andò in Piemonte per visitare certi territori, ricominciò a mangiare e pare che morì d'indigestione. Si vede che non era abituato, povero!
Mi sono dimenticata di aggiungere che qui sul blog avevo recensito un ricettario ricavato da scritti Templari. Si trova al seguente link dal titolo "A tavola con i monaci guerrieri": http://ilmanoscrittodelcavaliere.blogspot.it/2015/02/a-tavola-con-i-monaci-guerrieri.html
Se per caso qualcuno volesse sperimentare altre ricette… 😉
Non credo che scriverò mai di Medioevo in modo così approfondito da necessitare di una tale documentazione, ma il post è comunque interessante. Non sapevo, per esempio, della prevalenza della carne ovina e suina rispetto a quella bovina, mentre per fortuna non appartengo più da molto tempo al gruppo, credo abbastanza nutrito, di chi si immagina l'impiego abbondante di patate e pomodori nella cucina del periodo 😉
Ciao, Ivano. Pensa che ho scoperto la questione della scarsità dei bovini non tanto tempo fa. Come al solito avevo scritto la mia bella scena nel romanzo con mucche disseminate sui pascoli e che muggivano rumorosamente, quand'ecco che, facendo un controllo, ho scoperto che non esistevano quasi. Mi è corso il consueto brivido lungo la colonna vertebrale… Il Medioevo è un gran bel periodo su cui scrivere, ma pieno di trappoloni come questo.
Per quanto riguarda i pomodori, eri in buona compagnia. Nel romanzo di Maria Corti che avevo recensito di recente sul blog e che avevi commentato, L'ora di tutti, insiste nel menzionare i pomodori. Le tesi sono due: o è un errore, e come si dice "errare è umano", oppure lo aveva fatto apposta per rendere la vicenda dell'assedio di Otranto più vicina alla nostra contemporaneità.
All'interno del XLI capitolo di "Ivanhoe", che ho letto giusto ieri, ho trovato a pag. 290 (dell'edizione Newton Compton) questa frase:
Da una parte i cuochi stavano arrostendo enormi buoi e grasse pecore; da un'altra venivano aperte botti di birra distribuita a volontà a chiunque arrivasse.
Che bello Ivanhoe, è uno dei miei romanzi preferiti! L'ho letto almeno tre volte. 🙂
La questione dei bovini mi era stata spiegata nei seguenti termini da un altro relatore esperto in paesaggio e agricoltura medievali, in seguito a una mia domanda specifica. In termini molto generali, si può suddividere la presenza di animali da allevamento così:
– fino al 10° secolo = predominanza di suini
– fino al 12°/13° secolo = predominanza di ovini
– nel 1300 e fino alla fine del Medioevo= il bovino si diffonde in Italia settentrionale grazie alla presenza della stabulazione fissa. La sua presenza, pur scarsa è stata attestata anche nell'Alto Medioevo.
Molto interessante conoscere i costumi alimentari del Medioevo, il sale credo fosse importante perchè fondamentale nella conservazione dei cibi, leggendo il tuo post mi sono venuti in mente tanti metodi che usavano i miei nonni che non avevano il frigorifero in casa. A pensarci non è tantissimo tempo fa, erano gli anni settanta, il frigo non lo avevano ancora tutti…
Sì, per il sale si sono scatenate delle vere e proprie guerre. Ad esempio il pane toscano non salato è derivato proprio da uno di questi conflitti, per cui decisero di non salarlo e la consuetudine è rimasta. Il frigorifero è un'invenzione del Novecento, in effetti. Nei monasteri usavano anche la ghiacciaia per conservare i cibi.
La sezione storica del catalogo Laterza è favolosa, anche per chi non è "esperto"! Non ho letto questo titolo, conosco Montanari e apprezzo il suo modo di "raccontare": riesce ad appassionare con grande abilità, senza pesantezza alcuna.
Sui luoghi comuni riservati al Medioevo si potrebbe scrivere davvero a lungo! Per esempio pochi sanno che esistevano piccole comunità di proprietari allodieri, liberi cioè, tra persone non appartenenti all'aristocrazia, soprattutto nel periodo alto medievale.
Le cose e si complicano quando si studiano piccole aree: i discorsi generali non funzionano mica tanto bene in questo caso! Ecco l'importanza degli studi d'archivio e la saggistica mirata.
Ti cito un autore che potrebbe interessarti assai: Chris Wickham.
E avrei l'intenzione di proporre sul blog un bel saggio (di altro storico)… 😉
Grazie per questo approfondimento, interessante e piacevolissimo *__*
Prima o poi mi metto di buona lena e scrivo un post sugli stereotipi del Medioevo, poco ma sicuro! E mi sa che devo anche suddividerlo in più puntate, tanta è l'abbondanza del materiale. In effetti, come dici tu, la situazione cambia anche molto da zona a zona, non si può generalizzare. A me ha divertito molto la questione del consumo di carne suina nelle zone emiliane come collegata con la persistenza dei Longobardi di origine germanica, e quindi gran mangiatori di carne. Però, come dice lo stesso Montanari, ti spostavi di poco e la situazione differiva.
Grazie per la dritta sull'autore! Attendo allora con piacere la recensione del saggio. 🙂 E grazie anche per l'apprezzamento… ho sempre timore nel proporre questi articoli un po' impegnativi, ma voi siete dei lettori favolosi. ^_^
Veramente interessante. Avevo letto qualche articolo sull'argomento, ma questo è di gran lunga il più esaustivo.
Grazie mille, Ariano! L'argomento cibo, poi, è sempre interessante in quanto riguarda la vita quotidiana di tutti noi. Come per la moda, anche il cibo è l'espressione significativa di una determinata epoca.
Decisamente affascinante e ricca di spunti curiosi. Per esempio, tutto sommato, dei modi di designare le persone sulla base della teoria dei “quattro umori” non ce ne siamo ancora del tutto liberati nemmeno oggi: sanguigno, collerico, malinconico, flemmatico, sono tipologie ricorrenti anche nel linguaggio comune. Un altro passaggio che ha attirato la mia attenzione è quello relativo all’accostamento con la tavola bizantina: se nel nostro Medioevo mangiavamo con le mani, a Bisanzio già usavano la forchetta. Pare (così ho sentito dire durante una presentazione di un romanzo ambientato nel Medioevo) che da noi si guardasse all’esotica posata con sospetto dettato dal pregiudizio, come se il voler evitare il contatto diretto del cibo con le mani implicasse uno stato di salute del commensale, in parte o del tutto, compromesso. Bello, davvero! 🙂
La storia della forchetta è curiosa: i Longobardi già la usavano, ma quella a due rebbi per infilzare la carne e tenerla ferma mentre la tagliavano. La prima forchetta a tre punte apparve più tardi e venne guardata con sospetto dagli uomini di Chiesa in quanto ricordava uno strumento demoniaco.
A me piace molto, invece, fare dei paragoni tra la disposizione a tavola di allora e quella delle moderne riunioni aziendali. Una volta avevo letto un piccolo trattato sui gesti, e un capitolo era dedicato ai posti che istintivamente si occupano durante le riunioni di lavoro. Anche lì significativa era la posizione rispetto al "capo" in base alle relative tipologie umane. Davvero interessante! Grazie del tuo bel commento.
Interessante e spiegato molto bene..grazie
Grazie, Biljana, e benvenuta sul blog. Spero di vederti ancora da queste parti. 🙂
Bello, Cristina, soprattutto perché scopro cose nuove e mi diverte immaginare le peculiarità di altre epoche storiche. La cosa che trovo affascinante è il proporre menù antichi a civiltà odierne: quando ho letto nei commenti di vostre partecipazioni a banchetti medioevali ho sorriso. Ho pensato ai vari ristoranti etnici, cucina giapponese, cinese, indiana e a nuove formule legate alla storia: ristorante medioevale, oggi cena all'Antica Roma; ci sarebbe un ottimo menù fine settecento… 😁
A me ha sempre divertito molto immaginare questi banchetti nei castelli con i signorotti che lanciavano le ossa ai propri cani da caccia. Pensa a Bernabò che ne aveva cinquemila, che daffare aveva a lanciare! 😉
Per quanto riguarda i banchetti sperimentati in prima persona, mi ricorderò sempre la scodella fatta con il pane, sempre al famoso castello di Corneliano Bertario: una volta mangiata zuppa in essa contenuta, occorreva mangiare anche la scodella. Sull'ipotetico menu di fine Settecento, potrei farci un pensierino. ^_^
😂
🙂 Come fai a inserire le faccine complete nei commenti?
Molto interessante, particolarmente in questi giorni in cui il Medioevo popola i miei pensieri e pure i miei sogni. Credo sia "colpa" del tuo romanzo "La colomba e i leoni", che sto terminando di leggere e che mi ha presa per bene, come il primo. 😉
Che cosa meravigliosa mi hai detto! Come sai benissimo, quando si comincia a imparare bene una lingua, si sogna nella lingua stessa. Ormai ti stai trasformando anche tu in un guerriero medievale, cara Grazia! Poi mi dirai in pvt le tue impressioni. 🙂
Interessante. Io qualche anno fa sono stato a una presentazione di un libro che ricostruiva le ricette in uso alla corte sabauda. Tutta roba strapesantissima, degna della cucina dell'antica Roma. 🙂
Eh, sì, ormai siamo diventati tutti delicati di stomaco. Basta pensare al fatto che non riusciamo più a bere il latte di mucca appena munto. Perfino mia madre non ci riusciva, nemmeno da bambina… e lei è originaria del Trentino! 😉
Avevo solo sfiorato questo tuo post e adesso ho avuto modo di leggerlo.
Voglio servirmene per la mia prima classe, dove stiamo trattando in questo periodo l'apogeo del mondo medievale. C'è da dire che ho anche mostrato loro un documentario molto ben fatto della serie degli Angela, grandi divulgatori. Insomma, tutto diventa molto utile per comprendere quel mondo almeno un minimo.
Quanto al cibo, anni fa partecipai in una scuola a un vasto progetto sull'alimentazione nel Medioevo. Con l'aiuto di alcuni enti locali, creammo un allestimento con cibi cucinati seguendo antiche ricette, gli alunni vestirono con abiti assomiglianti a quelle epoche… insomma, gran bella esperienza.
Sarei davvero felice e onorata se utilizzassi il mio articolo per la scuola. I documentari degli Angeli sono sempre molto accattivanti, anche perché inseriscono degli spezzoni tratti da film, che restituiscono in maniera più vivida e interessante la società di un determinato periodo. Invece avevo visto la serie TV I Medici e l'ho trovata a dir poco imbarazzante a partire dalla recitazione dell'attore che interpretava Cosimo, e che aveva partecipato a Il Trono di Spade. Un'amica laureata in Storia medievale mi ha detto che c'erano errori storici non da poco.
Io ho mollato quella serie giusto dopo la prima puntata. 🙂
Hai fatto benissimo! 😛 Io invece mi sono anche divertita nel vedere la "recitazione" dell'attore, soprannominato "Cosimo-mai-'na-gioia". La mia amica sosteneva che l'unico modo per capire il trascorrere del tempo era osservare se il ciuffetto di capelli era bianco o bruno.