Vi sono luoghi dell’anima terribili, che vivono non nelle poesie, o nella bellezza della natura o delle opere d’arte. Appartengono un’anima straziata, umiliata e violentata oltre ogni possibile immaginazione. Come sappiamo, l’essere umano è capace di ogni efferatezza, ma con l’Olocausto superò se stesso in quanto perpetrò il massacro sistematico di milioni di esseri umani, pianificandolo a tavolino, e non come effetto di battaglie, pure orrende e cruente. Nel Novecento il Male parve posarsi come una grande coltre luttuosa non soltanto sull’Europa, ma sul mondo intero, che venne sconvolto da due conflitti senza precedenti. Nella Seconda Guerra Mondiale furono sterminati così tra i cinque e i sei milioni di ebrei secondo le fonti attestate, anche se potrebbero essere molti di più. I sopravvissuti ai campi di sterminio, dopo aver perso tutta o gran parte della famiglia, come nel caso del padre di Anna Frank, e aver attraversato atroci sofferenze, patirono il dolore di non essere creduti, o di avere ascoltatori distratti che avevano soltanto voglia di dimenticare e lasciarsi alle spalle il passato.
Ma, come diceva il filosofo e scrittore George Santayana “Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo“. Occorre avere memoria, e la parola stessa “memoriale” indica qualsiasi cosa che abbia per fine il ricordo o la commemorazione. Occorre non solo ricordare, ma farlo in modo che la Storia più recente non sbiadisca nel fluire del tempo, e non risulti calcificata da cerimonie senza coinvolgimento perdendo così il suo significato. Il rischio del memoriale come edificio statico è anche quella di diventare museo dove si va per dovere, magari scolastico, o curiosità fine a se stessa.
Il Memoriale della Shoah di Milano, detto anche Binario 21, è un esempio vivente di un modo di ricordare la Storia che tocca le corde più sensibili dell’essere umano. Si trova in un’area della Stazione Centrale, e l’ingresso è nella ex-via Ferrante Aporti, ora Piazza Edmon J. Safra, 1, ed è uno spazio che è stato recuperato rispettando l’architettura originaria ed effettuando interventi poco invasivi nell’ottica di offrire un’autentica esperienza, pur con gli inevitabili limiti, di immersione nella memoria.
Devi giungere davanti alla Stazione Centrale, portarti sulla destra e costeggiare il marciapiede. Attorno a te ci sono passanti frettolosi, all’altro lato ci sono bar, negozi, porte e passi carrabili, e un filare di alberi, di quelli che, a Milano, sembrano lottare contro il cemento e lo smog per puro istinto di sopravvivenza. Sui gradini di ingressi sbarrati, a ridosso della stazione, vi sono dei barboni infagottati nelle coperte e nei maglioni, distesi o rannicchiati sopra cartoni e con accanto bottiglie e cartocci di cibo. Anche questa è la città.
Arrivi all’ingresso del Memoriale, un’area un tempo destinata al carico e allo scarico della posta. Tra il 1943 e il 1945, dopo l’armistizio dell’8 settembre e quindi durante l’occupazione dei tedeschi e la Repubblica Sociale Italiana, iniziano i rastrellamenti di massa, gli arresti e le deportazioni. Siamo dunque arrivati nel luogo dove gli ebrei, dapprima rinchiusi nelle carceri di San Vittore e poi trasportati sui camion, venivano caricati sui carri bestiame. All’ingresso ti viene dato un biglietto adesivo da applicare addosso, per ricordare che gli ebrei dovevano portare su giacche e cappotti la stella gialla di riconoscimento bene in evidenza. Nell’atrio c’è una grande scritta grigia che recita INDIFFERENZA, ovvero una delle cause che permise ai nazisti e collaborazionisti di agire indisturbati nei confronti degli ebrei.
Il Memoriale è un grande spazio apparentemente vuoto e silenzioso, che devi scoprire man mano e quasi in punta di piedi come se entrassi in un luogo sacro. Vi sono dei tabelloni da leggere, appesi su pilastri nella penombra, che costituiscono il filo conduttore di questo segmento storico degli orrori, e che ti aiutano a capire. Mentre stai leggendo, un rombo scuote il soffitto e le pareti, e rabbrividisci perché ti sembra di rivivere… poi ti rendi conto che il rumore fragoroso è il rombo dei treni che, al di sopra, stanno partendo. I treni di oggi. Eppure l’impressione che ne ricavi è fortissima, meglio di qualsiasi colonna sonora.
Puoi continuare a leggere oppure entrare in uno degli spazi insonorizzati dedicati ai filmati con le testimonianze dei sopravvissuti, vedere i luoghi e ascoltare, seduti in silenzio e con il cuore stretto.
Arrivi finalmente al binario dove sono dei carri merci originari, del tipo utilizzato per le deportazioni. Puoi salire se vuoi, oppure girarci attorno. In uno trovi una corona e dei fiori. Ogni carro veniva stipato di persone – uomini, donne, bambini, vecchi, mamme e papà – fino all’inverosimile, a furia di calci e pugni, tra i latrati dei cani e le urla dei soldati, terrorizzanti perché sbraitavano in una lingua che nessuno capiva. Con sé avevano pochissimi oggetti, preparati nel giro di venti minuti dalla notifica della deportazione. Quindi il carro veniva piombato e posizionato su un carrello traslatore, che si muoveva lungo un’enorme galleria, visibile ancora oggi, poi immesso su un ascensore montavagoni e poi sollevato fino a raggiungere un binario di manovra all’aria aperta situato tra i binari 18 e 19. In questo modo nessun passante della stazione si rendeva conto di che cosa vi fosse al’interno di quei carri merci.
Agganciati al locomotore, aveva inizio il trasporto verso le tappe intermedie di Fossoli e Bolzano per poi proseguire verso la destinazione finale, cioè i campi di concentramento di Auschwitz e Bergen Belsen. All’interno dei vagoni surriscaldati d’estate, o gelati d’inverno, non c’era aria, cibo, acqua, spazio per muoversi o distendersi, luoghi per espletare i propri bisogni. Molti piangevano, alcuni pregavano. Tante persone già debilitate morivano ancora prima di arrivare alla meta finale.
Oltre i vagoni, nel Memoriale c’è una grande installazione con sfondo nero su cui compaiono 774 nomi. Essi rappresentano il carico umano dei convogli partiti da qui il 6 dicembre 1943 e il 30 gennaio 1944 dalla stazione con destinazione Auschwitz-Birkenau. Di queste persone, solo 27 sopravvissero. Sulla banchina, ci sono delle targhe con delle date, ognuna delle quali rappresenta una partenza. Altrove si può accedere anche a un grande spazio chiuso di forma conica, dedicato al raccoglimento, alla meditazione, alla preghiera, per credenti e non credenti. In altre parole, dedicato alla memoria.
In un’altra zona c’è anche una raccolta di oggetti al tempo del regime fascista, che hanno stretta attinenza con la questione ebraica, come elenchi di arrestati, proclami in lingua tedesca, giornali con l’entrata in vigore delle leggi razziali, fotografie di adunate oceaniche con cartelli raffiguranti lo stereotipo dell’ebreo. In un altro settore del Memoriale, assai più toccante, sono invece raccolte le fotografie, le lettere, gli scritti, le cartoline delle persone e delle famiglie deportate, e non solo. Testimonianze commoventi, come le letterine dei bambini ai nonni, con disegni e frasi d’affetto, compiti di scuola, brevi messaggi, alcuni oggetti, vestiti per neonati. Queste persone ritratte quasi sempre sorridono al fotografo – il tempo è prima della tragedia, ed essi si trovano con i propri cari, in qualche località di vacanza, o nelle loro case.
Ci guardano da un passato che sembra lontanissimo, e che invece è accaduto appena settant’anni fa. Un battito di ciglia, una svolta di strada, a livello temporale. Sono morti pochi anni prima della nostra nascita. Ci chiedono di non dimenticarli, e il Memoriale è per loro, ma anche per noi.
Chiudo con una citazione dalle lettere di Etty Hillesum, che una giovane ebrea olandese scrisse nel 1942-1943 da Amsterdam e poi dal campo di smistamento di Westerbrok, da cui fu poi deportata verso Auschwitz. Questa toccante riflessione riguarda ogni essere umano: “Credo che per noi non si tratti più della vita, ma dell’atteggiamento da tenere nei confronti della nostra fine.”
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Link al sito de Il Memoriale della Shoah per trovare orari e altre informazioni. Il giorno lunedì alle 18,30 è possibile effettuare una visita guidata.
Fonti:
Memoriale della Shoah di Milano – pubblicazione
- Foto 1 – Ingresso al Memoriale
- Foto 2 – Inaugurazione della nuova Stazione Centrale di Milano
- Foto 3 – Carri merci nel Memoriale
- Foto 4 – Il carrello elevatore
- Foto 4 – Ebrei provenienti dai Carpazi arrivano ad Auschwitz. Visibili sullo sfondo le ciminiere dei crematori II e III del campo di concentramento di Auschwitz
- Foto 5 – Il Muro dei Nomi
- Foto 6 – Fotografie dei deportati
- Foto 7 – Etty Hillesum
Leggendo il tuo post mi è venuto il magone, lo stesso che mi ha preso quando ho visitato la casa di Anna Frank ad Amsterdam e Dacau in Germania. Sono solo settanta anni fa, sembra impossibile che sia stata raggiunta una simile malvagità progettata scientificamente per lo sterminio di un popolo. La parola indifferenza mi ha fatto pensare purtroppo che il pericolo è sempre in agguato, bisogna ricordare il passato soprattutto per non voltare la testa dall'altra parte di fronte ad atteggiamenti che potrebbero portare a nuove aberrazioni.
Grazie di aver letto, Giulia, e soprattutto grazie del tuo commento. Anch'io avevo visitato la casa di Anna Frank ad Amsterdam e mi ricordo che ne avevo ricevuto un'impressione molto forte, una di quelle che ti penetra tutto il corpo. Sebbene non ci fossero oggetti spaventosi, i muri trasudavano ancora paura e tristezza come se ne fossero stati impregnati. Invece, non ho mai visitato campi di concentramento, ma mi ripropongo di farlo in futuro. Il pericolo di razzismi e nuove forme di aberrazioni è sempre dietro l'angolo, quando si rischia di fare di ogni erba un fascio e cavalcare gli isterismi collettivi.
Ciao Cry. Grazie del tuo post. Pur essendo molto vicina a Milano e avendo lavorato in gioventù alle Poste di via Ferrante Aporti e conoscendo bene la zona, mi è sempre mancato il coraggio di recarmi al Memoriale della Shoah riproponendomi di visitarlo e così facendo ho sempre rimandato.
Le parole di Etty Hillesum sono esplicite. Di fronte a tanta malvagità dove ogni possibile resistenza viene spezzata sul nascere e dove l'uomo viene cancellato, negato nei suoi valori più veri per dare spazio alla brutalità cieca mi sento di dire come disse Primo Levi, attenzione voi che state al calduccio nelle vostre case, fate in modo che questo che è stato non si ripeta più. Purtroppo l'uomo è una brutta bestia, la peggiore: è capace di grandi cose sia nel bene che nel male. So che sto dicendo cose scontate ma ogni giorno se solo noi tutti ci impegnassimo un po' di più a favore della verità, del bene e della conoscenza a favore del prossimo sconosciuto e non solo a nostro vantaggio sarebbe già un qualcosina in più. Buon weekend
Ciao Wanda. In realtà la nascita della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano è avvenuta nel 2007, e quindi non avresti potuto visitarlo prima. Anzi, non è ancora del tutto completato, ma di recente ho visto al tg che sono stati stanziati dei soldi. Infatti sono ancora da completare la biblioteca, l’auditorium, gli allestimenti permanenti, gli spazi di supporto e l’ingresso nord. Il valore di questo luogo particolare, come ho cercato di spiegare nel post, è proprio la sua unicità, in quanto è stato restaurato in modo conservativo e sono stati ripristinati elementi tipici dell'architettura dell'epoca, pur con l'introduzione di nuovi spazi per la testimonianza e il raccoglimento.
Ho appena finito di leggere le splendide lettere di Etty Hillesum, di cui mi ripropongo di parlare a breve nell'ambito di un articolo a lei dedicato. Vorrei aggiungere che, oltre alla parola Indifferenza, concorsero secondo me anche la Paura di ritorsioni nel caso le persone avessero aiutato gli ebrei e il Lavaggio del Cervello che le masse avevano subito. Nel memoriale c'è una foto con una folla oceanica che regge cartelli caricaturali di ebrei.
Buon weekend anche a te.
Eventi terribili di uno dei momenti più bui della storia del nostro paese. Giusto ricordare quei fatti e non dimenticarli mai affinché non si ripetano.
Oserei dire uno dei momenti più bui della storia dell'intera umanità. A memoria d'uomo non si era mai visto niente del genere. Bisogna visitare questi luoghi quando si può, io era molto che volevo vedere il Binario 21.
Mi hai messo i brividi, Cristina!
e penso che anche mio nonno salì su uno di quei treni, non da Milano ma da Torino e nemmeno ebreo. Soltanto alpino trentacinquenne richiamato in guerra nel 43 pochi giorni prima del rastrellamento…..
Ti condivido anche sul mio blog.
Grazie di cuore, Patricia. Grazie anche per la condivisione sul tuo blog.Io ho trovato proprio di recente delle lettere di mio zio, che era stato messo in un campo di concentramento a Leipzig in Austria. Infatti da lì scriveva lettere e cartoline… che effetto vedere il francobollo con il profilo di Hitler! Ma tuo nonno era poi tornato?
Mio nonno era del 1908. Era stato richiamato ai primi di settembre del 1943, con 35 anni compiuti. L'8 si era firmato l'armistizio, il 10 erano entrati i nazisti nella caserma di Pnerolo dove c'era lui e l'11 era in viaggio su un carro bestiame per Norimberga.
Era tornato, sì, liberato da non so chi ma non importa grazie a ciunque sia stato, malato e non si era mai più ripreso.
Tengo come una reliquia la sua carta d'identità del campo di concentramento di Norimberga
Ho anche scritto un post mettendone la foto, appeno lo ritrovo ti metto il link se ti interessa.
Ecco il link Cristina. C'è la storia di mio nonno e la foto della carta d'identità.
https://hermioneat.blogspot.it/2015/01/giornata-della-memoria.html
Per una serie di circostanze mi sono capitati sottomano una serie di documenti con la storia della famiglia di mio padre: lettere che si scambiavano i fratelli al tempo della guerra, tessere annonarie, libretti paga e anche appunto carte d'identità. Ne ho trovate anche dei nonni del Regno d'Italia. Le ho riorganizzate e riordinate, è stato un lavoro enorme, ma l'ho fatto con amore. Poi ho riordinato le fotografie, anche se di molte persone ignoro l'identità. Ma sono troppo belle per buttarle via!
Grazie mille anche per il link, poi andrò a leggerlo con tranquillità… perché sono letture che richiedono dedizione.
Io ho provato più o meno le stesse sensazioni quando ho visitato Risiera San Sabba a Trieste – che è l'unico vero campo di concentramento su suolo italiano. Mi ricordo una gran tristezza, e il fastidio – per usare un eufemismo – che mi hanno dato quei giovani che invece ridevano e scherzavano. Non so come facevano a non sentire l'aura particolare del luogo. In ogni caso, a posteriori mi sembra molto triste anche questo fatto.
Mattia, grazie del commento. La tua descrizione dei giovani ridanciani mi fatto venire il recente documentario Austerlitz dove un regista ha filmato di nascosto il comportamento dei turisti che chiacchierano, ridono, si fanno i selfie, riducendo la visita a una gita qualsiasi e dissacrando così il ricordo di una tragedia.
Leggendo il post ho sentito correre un brivido lungo la schiena. Eppure avevo visitato quel luogo, così come la risiera San Sabba, ma di fronte all'orrore non ho mai trovato antidoti (e ne sono fiera). A questo proposito, mi viene in mente uno stralcio di un dialogo tra l'agente Smith e Morpheus nel film Matrix,durante il quale l'uomo viene paragonato a un'infezione estesa, a un cancro. Ecco, mi trova d'accordo e non solo per la spietatezza dimostrata verso l'ambiente, ma anche verso i propri simili. Tra l'altro, rispetto a ciò che ho letto nei commenti, sui giovani che irridono dei luoghi di memoria, avrei da aggiungere che, purtroppo, non sono i soli. Grazie di aver scritto questo articolo, Cri.
Grazie a te del bel commento, Clem. Quando si riduce lentamente l'uomo a un oggetto o a un numero, allora nulla riesce più a toccare le coscienze. E' solamente quando ti trovi davanti quell'oggetto o quel numero, che ritorna persona, che capisci che è un essere umano anche lui. Non per tutti è così, ma in genere scatta il meccanismo di identificazione di fronte al dolore. Il rischio del ricordo come cerimonia è di diventare retorico, ma nel caso del Binario 21 non lo è.
Hai ragione, esistono luoghi di una bellezza terribile dal momento che ci raccontano lati del passato rcchi di storie drammatiche.
Ciao
L'importante è non dimenticare quanto dolore questi avvenimenti abbiano arrecato. Grazie di essere passato.
Quando vedo luoghi come il Memoriale o leggo certi libri o anche articoli come questo, vengo assalita da un'ondata di dolore ma anche di autentico terrore che il passato si ripeta(intendo qui vicino a noi, che in altri posti del mondo non è mai "passato"), che l'orrore venga di nuovo a travolgerci e,soprattutto, a travolgere i nostri figli. E allora spero che la memoria dell'orrore, il dolore per "l'anima straziata" e la paura per il futuro dei nostri figli ci possano salvare. Ma il terrore più autentico si rinnova nel constatare che certe caratteristiche dell'animo umano – indifferenza, ignoranza, crudeltà – sono più che mai presenti.
Penso che la forma di sofferenza più grande per un essere umano sia quella di veder soffrire i propri cari senza poter intervenire. Lo scriveva anche Etty Hillesum, che era una persona radiosa e prodiga di attenzioni e amore verso il prossimo: al campo di smistamento di Westerbrok asseriva di poter sopportare tutto fino a che era da sola, ma quando poi erano arrivati i genitori e il fratello l'angoscia si era inasprita.
Ho sempre vissuto vicino a Milano (per un periodo anche a Milano) ma non sapevo dell'esistenza di questo luogo. Di sicuro vale la visita, così come moltissimi monumenti che ricordano la shoa e che riescono a far riflettere molto più dello studio, dei numeri e dei servizi che vengono passati in tv solo nella settimana in cui cade il Giorno della memoria.
Capire certe cose non è possibile a meno di non viverle, ma penso che il ricordo debba essere mantenuto il più a lungo possibile. Credo sia inevitabile, con il passare degli anni, che la storia diventi un semplice esercizio scolastico, quindi testimonianze come questa sono importantissime.
Uno dei modi migliori per sensibilizzare penso sia ricordare alle persone ciò che è accaduto, trasmettendo però un senso di shock, di inaspettato. Ricordo che rimasi davvero impressionata sull'argomento quando, con la scuola, vidi uno spettacolo teatrale in cui il pubblico veniva coinvolto. Mi colpì molto più delle lezioni e le ricerche.
Ciao, Patty, grazie mille per il tuo lungo e articolato commento. Proprio come dici, è meglio far toccare con mano quello che accadde per quanto si può. Se invece si impongono commemorazioni e si fanno discorsi sempre uguali, si rischia di cadere nella retorica. Volutamente ho sempre evitato di andare a visitare il Memoriale della Shoah nel Giorno della Memoria proprio perché è sovraffollato. Il giorno in cui sono andata io non c'era quasi nessuno, e l'ho visitato bene e con la tranquillità necessaria. Ho già in programma di ritornarci facendo la visita guidata.
Leggo con un po' di ritardo questo articolo. Mi sono ritrovato a essere commosso. Ho il ricordo di tanti racconti di sopravissuti, da ragazzino ascoltavo come se si trattasse di qualcosa di assolutamente impossibile da concepire. Purtroppo crescendo impari che l'orrore è sempre dietro l'angolo. Brava Cristina, e grazie.
Ciao, Max, grazie del tuo commento e non preoccuparti del ritardo. Anch'io ricordo i racconti di mio padre quand'era in Africa come carrista… ovviamente lui cercava di sdrammatizzare come Benigni in La vita è bella però qualcosa trapelava. Mia madre, invece, che è più giovane di dieci anni, e trentina, si ricorda ancora della ritirata tedesca verso il Brennero. Erano delle iene rabbiose, non si poteva nemmeno guardarli storto per paura di rappresaglie.
Purtroppo hai ragione, l'orrore è sempre pronto a manifestarsi e per noi europei è tanto più inesplicabile in quanto stiamo godendo di un periodo di pace davvero lunghissimo.
A presto sul tuo blog.
Una delle pagine più orribili della storia. E poi nella frase che hai citato alla fine, quanta commovente rassegnazione: non stringersi attorno ai ricordi della vita, ma imparare ad accettare con dignità l'idea della morte.
La dignità che aveva un popolo e che mancava ai suoi persecutori.
Orribile, hai detto bene, Marina. Da sempre, a fasi alterne, il popolo ebraico ha dovuto subire persecuzioni di ogni sorta, ma niente riesce a eguagliare l'orrore della Shoah. Se penso che è successo pochissimo tempo fa, fa veramente paura.
Metto a confronto le nostre piccole o grandi angosce quotidiane, quando ti arriva quello scoramento per cose che non vanno come vorresti, con l'angoscia vera, profonda, abissale, provata da queste persone, e mi vergogno dei miei pensieri.
Sto rileggendo a distanza di anni Il diario di Anne Frank, ho intenzione di farne una rappresentazione teatrale, e a ogni pagina c'è da restare annichiliti dinanzi al senso di ingiustizia, al sopruso subito, ai sogni spenti.
Non sapevo di questo memoriale di Milano.
Hai ragione, Luz, succede lo stesso anche a me quando m'innervosisco per gli intoppi quotidiani, o per cose pianificate da tempo che non vanno per il verso giusto. Mi vergogno poi profondamente!
La tua idea di fare una rappresentazione teatrale de Il diario di Anna Frank è ottima, soprattutto perché ci saranno degli attori molto giovani, e sarà molto coinvolgente per loro e per il pubblico. Quello che mi ha sempre colpito leggendo il Diario è il senso di grandissima maturità da parte di una persona che era poco più di una bambina.
Per quanto riguarda il memoriale, ogni tanto lo nominano in televisione, ma più che altro nel tg Lombardia.