Eccomi con una nuova puntata dedicata agli oggetti in rapporto alle opere letterarie e a quelle artistiche! La scorsa volta ho dedicato l’articolo a quattro oggetti specifici: lo specchio, il pettine, la bambola e il ritratto, tutti in qualche modo relativi alla figura umana (qui il link all’articolo).
Qui invece mi sbizzarrisco con un altro filo conduttore, ovvero il gioco inteso non soltanto come oggetto ma anche come atto del giocare. Il gioco è sempre stato importantissimo nella storia degli esseri viventi non soltanto come forma di intrattenimento, ma anche come modo per apprendere. Se osserviamo ad esempio i cuccioli nei primi mesi di vita, constatiamo come spesso la madre impartisca loro delle vere e proprie lezioni di caccia per renderli, un domani, del tutto autonomi.
Anche il primo gioco che vi presento è un passatempo antichissimo e nobile, ma è anche la metafora della guerra. Avete già capito che si tratta degli scacchi… e, per scoprire quali sono gli altri, non vi resta che leggere oltre.
Gli scacchi: “La variante di Lüneburg” di Paolo Maurensig
Un grande maestro del gioco, Kasparov, disse una volta: “Gli scacchi sono lo sport più violento che esista”, se non altro perché sulla scacchiera suddivisa in 64 quadrati bianchi e neri, con due eserciti composti da pezzi di colore bianco e nero che si fronteggiano, si muove un microcosmo in guerra. Vi si trovano trentadue pezzi, sedici per ciascun colore: un re, una donna (detta anche ‘regina’), due alfieri, due cavalli, due torri e otto pedoni; l’obiettivo del gioco è dare scacco matto, ovvero attaccare il re avversario senza che esso abbia la possibilità di sfuggire. Il re, infatti, è il pezzo in assoluto più importante della propria compagine, perduto il quale si perde la partita.
Il termine deriva dall’occitano e catalano escac, che deriva a sua volta dal persiano شاه, Shah, “re”. Originatisi in India attorno al VI secolo, gli scacchi sono giunti in Europa attorno all’anno 1000, grazie probabilmente alla mediazione degli Arabi; diffusisi nell’intero continente, hanno raggiunto una forma pressoché moderna nel XV secolo in Italia e in Spagna, mentre il regolamento odierno si è “congelato” nel XIX secolo. Sono uno dei gioco più popolari al mondo, nonostante il regolamento complesso.
Non è tutto, perché gli scacchi, esattamente come i tarocchi, possono diventare delle vere e proprie opere d’arte grazie all’abilità degli intagliatori. Un esempio particolarmente prezioso, e che adoro, è rappresentato dagli scacchi di Lewis. Sono intagliati in avorio di tricheco e osso di balena e si trovano al British Museum. Se volete saperne di più e vedere gli scacchi, cliccate su questo link del blog, dove troverete un mio appassionato articolo corredato dalle effigi di questi straordinari e curiosi reperti dai volti quasi caricaturali.
Il romanzo che vi propongo è La variante di Luneburg di Paolo Maurensig, dove il gioco degli scacchi fa da motivo conduttore e risolutore dell’intera vicenda. Lo stesso incipit del romanzo racconta il modo violento in cui nacquero gli scacchi.
Nella storia, il sessantenne Dieter Frisch, ricco uomo d’affari e grande appassionato di scacchi, viene trovato morto nella sua villa. Un lungo flashback descrive al lettore parte della vita di Frisch e le probabili cause della sua morte. Mentre sta viaggiando in treno, Frisch è impegnato come consuetudine in una partita a scacchi con un proprio collaboratore quando nel loro scompartimento entra un giovane. Frisch rivolgendogli la parola viene allora a sapere che questo giovane, Hans Mayer, è stato per un periodo di tempo un campione di scacchi. Mayer racconta come si è avvicinato al mondo degli scacchi e come un certo Tabori («un uomo che ha giocato all’inferno») gli abbia fatto da maestro, portandolo ai massimi livelli per poi scomparire nel nulla. Dopo due anni di totale dedizione agli scacchi il giovane ha una crisi di nervi ogni volta che si confronta con la scacchiera. Finalmente, dopo circa un anno, il maestro si fa nuovamente rivedere. È stato male e probabilmente non gli rimane molto da vivere. Vuole ora “adottare” Hans e confidargli il suo misterioso passato. Un passato che ha a che fare con una famiglia ebrea e con l’orrendo periodo dei campi di concentramento…
“Quasi tutti hanno avuto tra le mani in un modo o nell’altro una scacchiera, hanno provato a soppesarne i pezzi spostandoli sulle case chiaro o scure, e si sono lasciati affascinare da queste figure che rappresentano un re o una regina con tutto un esercito in miniatura. Molti hanno forse provato a dare inizio a quella che è la finzione di una guerra, vivendo l’esultanza della vittoria o l’umiliazione della sconfitta. Pochi, eletti o maledetti che siano, hanno riconosciuto in queste sculture totemiche una lontana ascendenza e per il resto della loro vita non se ne sono più distaccati.”
Per questo gioco così cerebrale ho scelto il dipinto di Robert Macbryde (1913–66), The chess player, c.1947-1950. Nell’opera i volumi nel corpo del giocatore richiamano la tavola del gioco sottostante. La tavola è posta in perpendicolare rispetto allo spettatore, che in questo modo ha una nitida visuale dell’alto .Il giocatore non ha una fisionomia ben definita, come se la sua personalità non fosse importante, anche se parrebbe essere una donna. Non ha un avversario contro cui giocare: sta giocando contro se stesso; a meno che il suo avversario non sia lo spettatore del quadro, ovvero noi. Le tinte gialle e rosse predominano nella composizione, a tratti fluide e a tratti spigolose.
Le carte: “La briscola in cinque” di Marco Malvaldi
Anche le carte da gioco hanno un’origine molto antica, come gli scacchi. Le prime testimonianze del loro uso risalgono alla Cina poco dopo l’invenzione della carta, forse attorno al X secolo. Il tempo ed i modi dell’introduzione delle carte da gioco in Europa è oggetto di discussioni. Il 38º canone del Concilio di Worcester (1240) viene spesso citato come dimostrazione dell’esistenza delle carte in Inghilterra alla metà del XIII secolo, ma i giochi de rege et regina che vi vengono menzionati più probabilmente erano gli scacchi. Alla fine del XIV secolo comunque l’uso delle carte da gioco si diffonde rapidamente in Europa.
Per le carte da gioco mi sono subito venuti in mente i quattro terribili vecchietti del BarLume, che sono diventati delle celebrità grazie ai gialli di Marco Malvaldi – un vero caso editoriale. Leggere un libro di Malvaldi significa far volare le ore in compagnia di storie non banali, raccontate con una prosa gustosa e sagace che alterna abilmente i vari punti di vista dei personaggi. Esilaranti sono i dialoghi tra questi attempati investigatori, poiché sboccati e ricchi di doppi sensi secondo la migliore tradizione toscana. Tutti i romanzi di Malvaldi sono ambientati infatti nell’immaginaria cittadina sul mare di nome Pineta, e hanno come protagonisti il barista Massimo Viviani, la sua procace aiutante Tiziana, e soprattutto gli ottuagenari che hanno colonizzato il suo bar, ovvero il nonno Ampelio, Gino Rimediotti, Pilade del Tacca e Aldo, il “più giovane” della combriccola.
Nel romanzo La briscola in cinque dà l’avvio alla storia la scoperta, in un cassonetto dell’immondizia, del cadavere di una giovanissima ragazza. L’omicidio ha subito l’aspetto di un brutto affare tra droga e sesso, anche a causa della licenziosa vita condotta dalla giovane, una ragazza di buona famiglia. E i sospetti cadono subito sugli amici della ragazza, persi in un vorticoso giro di discoteche e cattive compagnie. Ma il paese è piccolo e la gente mormora, soprattutto Massimo e gli infaticabili vecchietti, che, tra una partita e un battibecco, e provvisti di tanto tempo, sono gli investigatori ideali per far luce su questo caso la cui soluzione, ovviamente, non è quella che è stata ipotizzata dalle forze dell’ordine.
In un passaggio del libro viene richiamato proprio il gioco della briscola in cinque. Massimo non ne può più di stare dietro il banco a far finta di fare il barman, così fa un timido tentativo di “levarsi di torno i vecchi – tanto simpatici, ma dopo un po’ non ne puoi più – per poi chiudere e andare a casa”. I vecchietti invece gli propongono di imparare a giocare alla briscola in cinque. Incuriosito, Massimo accetta.
I quattro presero la loro seggiola e si accomodarono al tavolo senza le solite ghirlande di improperi, anzi, con un atteggiamento decisamente diverso: qualcosa a metà tra il compiaciuto e il concentrato, come se fossero depositari di un grande segreto e fossero contenti di aver trovato qualcuno in grado di apprezzarlo.
I pantaloni venivano sistemati, le maniche tirate su e le sigarette messe con gesto sacrale sul tavolo, come a sottolineare a se stessi che ce ne sarebbe stato un gran bisogno. Il tipico atteggiamento di chi pregusta qualcosa.
L’ambientazione del romanzo è riconoscibile e molto gradevole, in quanto ciascuno di noi avrà frequentato una sonnolenta cittadina di provincia, magari durante le estati dopo l’anno scolastico, e sarà entrato in uno di questi bar apparentemente quieti, dove gli occhi si alzano tutti insieme per scrutare “il forestiero” comparso nel locale. Per questo libro ho scelto I giocatori di carte di Paul Cézanne del 1892, che fa parte di una serie di cinque quadri tutti dedicati a un gruppo di uomini che gioca a carte in una trattoria e che si dirada via via fino ad arrivare a soli due giocatori. Anche le volumetrie cambiano, facendosi più statuarie e geometriche. In questo quadro c’è un impasto di colori caldi e terrosi, rappresentati dalle giacche di alcuni giocatori, dal tendaggio e dalle sedie, in contrapposizione ai colori freddi degli abiti di altri partecipanti. Tutti i vestiti sembrano in qualche modo macchiati dalle pennellate. Il fazzoletto rosso al collo dell’osservatore in piedi è l’unica nota squillante di una composizione dove il tempo sembra sospeso nell’atto del giocare, e dove è tangibile il silenzio che avvolge la scena.
Il gioco da tavolo: “I giocatori di Titano” di Philip K. Dick
Il gioco da tavolo ha avuto la sua origine in epoca più recente. Si avvale di una ben definita superficie di gioco, che viene detta di solito tabellone o plancia dove non esistano termini più specifici legati allo specifico gioco in questione; sulla superficie vengono solitamente piazzati e/o spostati i pezzi che, sempre in assenza di termini più specifici, si diranno segnalini. Si tratta di un tipo di passatempo molto diffuso nella società occidentale e gode di innumerevoli classificazioni. Di solito i giochi da tavolo possono essere fruiti da persone di differenti fasce di età, e dunque costituiscono un momento importante di aggregazione; vengono infatti definiti anche “giochi di società”.
Molti anno or sono avevo fatto delle grandi scorpacciate dei libri di Dick, e quindi, a parte la trilogia di Valis, possono dire di aver letto la stragrande maggioranza delle sue opere. Mi è subito venuto in mente I giocatori di Titano (The Game-Players of Titan), romanzo di fantascienza pubblicato nel 1963, in quanto ruota proprio attorno a un gioco di società. Il gioco si chiama il Bluff, è di origine aliena ed è stato portato sulla Terra dai titaniani, specie di grosse amebe gelatinose. Essi sono giunti sulla Terra dopo una guerra tra Stati Uniti e Cina nella quale è stata impiegata un’arma batteriologica che ha reso sterili molti dei superstiti. Dal momento che le donne fertili sono poche, il gioco del Bluff è stato adottato per consentire agli americani maschi di scambiarsele, vincendole e perdendole insieme a proprietà, terreni, intere città. I titaniani, all’inizio creature apparentemente inoffensive e bislacche, si rivelano man mano essere conquistatori tutt’altro che teneri. Avvengono alcuni delitti e una misteriosa cospirazione s’intreccia al tentativo di rivincita del protagonista, Peter Garden, che ha perso moglie e proprietà al tavolo del Bluff. …
Attorno al gioco si affollano tutta una serie di personaggi strampalati tra cui i cosiddetti precog, ovvero coloro che hanno capacità di preveggenza.La trama è apparentemente demenziale, come del resto è comune a molti romanzi di Dick, e su tutto aleggia quella sorda inquietudine che è la cifra dei romanzi di Dick anche in assenza di avvenimenti cruenti; e vi assicuro che la resa è sorprendente.
Non sarebbero stati in grado di giocare in coppia, lo sapeva. Carol non riuscirà a reggere la malinconia di Pete, la sua ipocondria. Toccava a lei giocare. E lui semplicemente non troverà in lei una donna che lo accetti. Tornerà da me, lo so, avremo una relazione extra-Gioco. Dovrà farlo, o avrà un crollo emotivo.
Toccava a lei giocare. Il giro iniziale fu completato senza l’elemento del Bluff; venne usato il rotatore visibile, non le carte. Freya fece girare e ottenne un quattro. Al diavolo, pensò portando avanti la sua pedina di quattro caselle sul tabellone: era finita su una casella tristemente familiare: Imposta sui consumi. Pagate $500.
Pagò, in silenzio; Janice Remington, che teneva il banco, ritirò le banconote. Quanto sono tesa, pensò Freya. Lo siamo tutti, qui, Luckman compreso.
Per il romanzo mi ispirava questo quadro di Yue Minjun, anche se mancano completamente i riferimenti al gioco. Si tratta di un artista cinese contemporaneo, che è molto conosciuto per i dipinti a olio raffiguranti se stesso sempre congelato o moltiplicato in una risata. Yue è spesso indicato come facente parte del movimento artistico “Cinico realista“, sviluppatosi in Cina dal 1989.
Il quadro s’intitola Sky ed è del 1997, e mostra appunto l’artista moltiplicato sulla groppa di alcuni volatili, mentre sghignazza in varie posizioni, ora chiudendosi gli occhi, ora quasi cadendo di sotto, ora osservando il panorama. Viceversa, gli uccelli – che sembrerebbero cigni selvatici – volano tutti, impassibili, nella stessa direzione. Il cielo azzurro e le nuvole leggere e delicate contrastano con la situazione grottesca e surreale. In particolar modo il corpo dell’uomo è di un rosa che sconfina in un color magenta e che lo fa assomigliare a un pupazzo di plastica.
Fonti:
- Wikipedia per l’origine dei giochi menzionati
- “La variante di Lüneburg” di Paolo Maurensig – Adelphi
- “La briscola in cinque” di Marco Malvaldi – Adelphi
- “I giocatori di Titano” di Philip K. Dick – Fanucci editore
Immagini:
- Pixabay per immagine iniziale
- “The chess player” di di Robert Macbryde, c.1947–1950
- “I giocatori di carte” di Paul Cézanne del 1892
- “Sky” di di Yue Minjun del 1997
Non ho mai scritto nulla che ha a che fare con il gioco. Se penso a questo argomento, è facile: "Il giocatore" di Dostoevskij 🙂
Avevo pensato anch'io a Il giocatore, ma ormai avevo scritto l'articolo e mi sembrava che diventasse troppo lungo. Quel romanzo meriterebbe un post tutto suo.
Per i romanzi, cito Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio, di L. Carroll, incentrati, il primo sulle carte da gioco, e il secondo, sugli scacchi. Inoltre, penso a Il giocatore, di Dostoevskij, con la descrizione del mondo dei pokeristi (inevitabile ripetersi), ma penso anche a
La difesa di Luzin, un romanzo di Nabokov, nel quale il tragico protagonista è un appassionato di scacchi.
Per combinazione avevi postato sul tuo blog le contaminazioni artistiche con i quadri dei bari di Caravaggio e La Tour! 🙂
Penso comunque che gli scacchi possano sviluppare una forma ossessiva. Nel bellissimo romanzo che ho appena concluso, Medicus di Noah Gordon, lo Scià di Ispahan gioca a scacchi compulsivamente. Del resto non oso pensare alla fatica mentale di partite che possono durare anche giorni.
Per quanto mi riguarda ho scritto del gioco delle Bocce, se va bene come gioco (e non come sport), mentre sulle carte dovresti chiedere a tuo marito circa quel gran capolavoro che è IL CASO DEI FRATELLI SIAMESI dove le carte da gioco sono fondamentali, una grande prova di Ellery Queen, tra i suoi gialli migliori secondo me, raffinatissimo.
Sandra
Le bocce sono un gioco a tutti gli effetti, almeno secondo me. Il marito conferma il CAPOLAVORO che menzioni. 😉 Propone anche Ellery Queen e la parola chiave, ma non sa se c'entri molto col gioco. A me vengono più in mente film che libri, a dire la verità, come il celebre La stangata e tutto il filone dei giocatori d'azzardo.
Bellissimo post, che ho letto avidamente essendo stato in passato un appassionato di gioco di scacchi, di carte e di società.
Alle carte associo senz'altro il magnifico "Gioco all'alba" di Arthur Schnitzler. Per la pittura avrei pensato anch'io a Cezanne.
Per gli scacchi, so pensare solo ad "Attraverso lo specchio" di Carroll, già citato.
Per i giochi di società, al momento nulla.
Credo mi piacerebbe molto il primo libro del post, forse anche il secondo. Davvero sorprendente, per finire, il quadro del Cinese!
Grazie mille del commento, Ivano. 🙂 Gioco all'alba non me lo ricordo bene, avendolo letto ere geologiche fa.
Per quanto riguarda il gioco di carte e la pittura, avevo provato a fare una ricerca extra-Cézanne, ma non c'è niente di pregevole.
Il primo libro del post ti piacerebbe senz'altro secondo me. Il secondo con i vecchietti del BarLume è esilarante!
Avevo notato un'opera di questo artista cinese usata come copertina di un libro, mi pare fosse di Einaudi. Lo trovo molto d'impatto come immagini, e naturalmente inquietanti.
I bari di Caravaggio, no?
Sandra
Per combinazione di quel quadro ha parlato Clementina nell'ultimo post del suo blog. 🙂
Ho dimenticato di dire che nel mio "L'Estate dei Fiori Artici" il gioco occupa un post di rilievo. Una delle scene clou riguarda proprio una partita a carte.
Ottimo!
I tarocchi possono essere considerati anche un gioco? Forse anticamente sì. Mi sono venuti in mente in rapporto alla tua blog novel.
I tarocchi? Credo solo anticamente, a meno che uno non consideri un gioco anche leggere le carte ;D
Tra l'altro la mia poesia preferita, che ho pubblicato anche sul mio blog, si intitola proprio "Vuoi giocare?".
Qualche scettico potrebbe pensarla proprio così. 😀
Prima o poi vado a cercare la poesia che hai pubblicato sul tuo blog. Mi fa venire in mente, per contro, la canzone di Mina Non gioco più.
Non sono molto originale e anch'io cito "Il giocatore" di Dostoevskj, l'unico libro incentrato sul gioco che abbia mai letto. In parte anche "La novella degli scacchi" di Zweig che però ha piuttosto dei forti simbolismi nell'ambito della presa di potere dei nazisti). Personalmente non sono un gran giocatore, quindi anche le opere che trattano dell'argomento mi intrigano poco (infatti, neanche a farlo apposta, non ho letto nessuno dei libri che hai citato 🙂
Però mi hai incuriosito.
A me piace leggere romanzi e racconti sul gioco e sui giocatori, ma non entrare nei luoghi preposti. Infatti sono andata solo un paio di volte nei casinò, rischiando l'iperbolica cifra di ben 10.000 lire di allora e perdendola alla roulette. La seconda volta avevo giocato allo slot, ma senza nessuna convinzione. Insomma, sono una giocatrice svogliata. Però vi passerei molto tempo osservando i giocatori e le loro interazioni, quello sì. Penso che sia molto interessante.
Sei bravissima Cristina a fare gli abbinamenti con libri e quadri sull'argomento! Pensa che io sono negata in tutti i giochi perché fondamentalmente sono pigra, a scacchi proprio non riuscirei a giocare, ma sapevo giocare a dama (lo so è tutta un'altra cosa, ma ti dà l'idea) e mi annoiano anche i giochi delle carte, so giocare solo a scopa con le carte napoletane che secondo me sono bellissime. Riguardo alla tua domanda anche a me viene in mente Il giocatore di Dostoewskij, ma non ho mai scritto una scena incentrata sul gioco, penso che sarebbe difficile farlo per me dato che non pratico affatto, dovrei documentarmi! Sono stata però in diversi casinò, Las vegas ma solo come visita e Montecarlo, ma ho giocato dieci euro alla roulette, ovviamente perdendo…
Allora i tuoi dieci euro persi corrispondono alle mie 10.000 lire! Anzi, sei una giocatrice più spericolata di me, visto che hai buttato il doppio sul piatto. 😉 A parte gli scherzi, a me piacciono moltissimo non tanto i giochi d'azzardo quanto i giochi di società. Da bambina adoravo il Gioco dell'Oca e più avanti Visual Game in modo particolare in quanto ci si faceva delle gran risate. Mi viene in mente ora di aver giocato per un po' anche a Backgammon.
Avevo dimenticato il gioco dell'oca! È vero ci giocavo anch'io, anche i giochi di società adesso che ci penso, mi piaceva molto Trivial e tabù, devo aver giocato anche a Visual Game ricordo il nome ma non ricordo il gioco…
A Trivial qualche volta ho giocato, c'erano domande davvero difficilissime. Anche Scarabeo mi piaceva molto. Il Visual Game è un gioco a coppie basato sulle carte. C'è un percorso con dei segnalini, si tirano i dadi e si decide quale tipo di carta estrarre a seconda di dove si è e della difficoltà. La parte divertente sono i disegni: uno dei due disegna e l'altro indovina nel tempo di un minuto, e ci si scambia poi il turno la volta successiva. Si ha tempo un minuto per disegnare, e ci sono cose più semplici come gli oggetti – che però ti fanno avanzare meno – e altre veramente difficili come i verbi e i proverbi. A casa ne ho una versione più avanzata che comprende anche i titoli dei film. La cosa bella è che non devi essere Michelangelo, ma puoi rendere l'idea con pochi tratti efficaci. E non è ammessa la mimica!
Sempre bellissimi post! Non ho la forza di un commento più raffinato, ma leggo e apprezzo…
Grazie di cuore di essere passata, Tenar, e di aver lasciato una traccia.
Bellissimo post, ricco di informazioni e di fascino. I vecchietti del Bar Lume li conosco come fossero i miei vicini di casa, ormai! Pensando al gioco, agli scacchi in particolare, il libro che mi viene in mente è "Poirot e i Quattro" dell'amata Agatha Christie.
Grazie mille del commento, Lauretta. Non mi perdo nemmeno un romanzo di Malvaldi, mi diverto molto con le battutacce dei vecchietti. E mi fa piacere che "la terza età" sia rivalutata grazie a loro. Avevo visto anche la versione tv con Filippo Timi nella parte di Massimo, ma non mi aveva entusiasmato.
Concordo perfettamente, la trasposizione televisiva dei vecchietti e del "barrista" l'ho trovata pessima! 🙂
Molto virata sul grottesco, a mio avviso. Ho trovato insopportabile e antipaticissima la commissaria Alice Martelli nonché fidanzata di Massimo; invece nei libri è una bella figura.
La Variante di Luneburg l'avevo letto al liceo. Non mi ero piaciuto, però.
Dick aveva un po' un'ossessione per i giochi, tanto che molti suoi racconti parlano di giocattoli (uno su tutti: "I giorni di Perky Pat").
Per quanto riguarda i giochi, mi viene in mente il racconto di Fredric Brown Inno di Congedo, che avevo omaggiato nel mio primo libro in un racconto che ne riprendeva la tematica.
Dick era paranoico, a dirla proprio tutta. Anche nel suo romanzo Tempo fuori luogo o Tempo fuori di sesto tutto è basato sulla risoluzione del gioco a premi: "Dove andrà oggi il nostro Omino Verde?" dove il personaggio del gioco si muove sopra una scacchiera. Ciò non toglie che sia un grandissimo autore, e sono felice di aver letto quasi tutte le sue opere come narro nel mio post sul lettore-cannibale: http://ilmanoscrittodelcavaliere.blogspot.it/2014/09/xxvi-il-lettore-cannibale.html.
Io di Dick ho letto tutti i suoi racconti e i suoi romanzi di fantascienza. Mi mancano quei 5-6 romanzi mainstream che ha scritto e l'Esegesi, che non so se avrò mai il coraggio di affrontare.
L'Esegesi terrorizza anche me! Per il momento mi sono limitata a segnarla sul quadernino degli acquisti… è un primo passo.
Cristina… mi vergogno, l'ho impostato e poi mi sono arenata.
Colpevole è la memoria che manca… è andata in ferie lei emi ha mollato qui.😊
Provo a ripensarci!
Ma dai, Pat… non preoccuparti. Con tutto quello che avrai da fare, un post è l'ultimo dei tuoi pensieri. Anche se non lo scrivi TVB lo stesso! 🙂
Pensando ai giochi fuori dal loro normale contesto, mi viene piuttosto in mente il fatto che alcuni videogiochi contengono in sé la possibilità di… giocare. Su The Witcher 3, che sto giocando ora, oltre a seguire il corso della storia, nelle locande o presso alcuni personaggi puoi giocare a dadi o a carte; inoltre puoi fare a pugni oppure fare corse a cavallo puntando denaro. Mi sembra carina questa idea del gioco nel gioco. 🙂
Ecco, sono talmente poco propensa ai videogiochi che non ci ho nemmeno pensato. Però il gioco nel gioco è un concetto davvero interessante, in quanto il gioco diventa potenzialmente infinito. 🙂
Mi viene in mente che le prime carte da gioco dovrebbero riportare Coppe, Bastoni, Spade e Denari come i tarocchi e che sono quelle con cui si gioca ancora nei paesi. Quelle che ho sempre usato io, cioè Fiori, Quadri, Picche e Cuori, dovrebbero essere più tarde.
Un gran bel libro, quello di Maurensig, il cui finale però mi ha lasciato una vaga sensazione di… incompiutezza. A te no?
Volendo riproporre questo tuo stesso post (e lo farò) la mia scelta andrebbe però su un altro titolo, che qui non ti rilevo perché quando sarà il momento lo leggerai.
La buona notizia è che finalmente ho completato la mia risposta al tuo primo post sugli oggetti. Ci ho messo un secolo ma alla fine ce l'ho fatta. Programmato per domattina. Ora però spegno il piccì e vado a nanna.
Ciao, TOM! Per quanto riguarda il libro di Maurensig, l'avevo letto secoli fa e quindi non mi ricordo molto bene il finale. Però mi ricordo le interminabili partite a scacchi tra i protagonisti. Grazie per le belle notizie sul primo post degli oggetti, che sono molto curiosa di leggere. Salutami Simona.
Ora ti svelo una cosa: non ho mai voluto imparare a giocare a scacchi, non so perché, ma mi hanno fatto sempre una cordiale antipatia. Però le scacchiere possono essere autentiche opere d'arte e oggetti molto belli da esporre: mia nonna ne aveva una che ammiravamo con i pezzi tutti in legno scolpiti a mano, anche perché i pezzi erano opera di mio nonno.🤗
Anche il gioco a briscola, mai saputo fare, una cosa molto impopolare. La verità è che a me non piace giocare a carte. 😋
Mi sono piaciute le opere artistiche che hai abbinato, per quanto riguarda quelle letterarie, ricordo una storia con un finale che mi ha deluso, ma godibile nella sua trama: "La musica del caso" di Paul Auster, dove un uomo incontra casualmente un giocatore d'azzardo che lo trascina in una disavventura.
Grazie mille del commento, Marina. A dirti la verità io non sono una grande giocatrice di scacchi, mi piacciono di più la Dama e soprattutto Otello (quello con le pedine bianche e nere) in cui ero imbattibile. A carte mi piaceva giocare a Canasta con mio papà, da ragazzina. Invece Ruggero, mio marito, è un giocatore di poker piuttosto bravo, tanto che ha la classica "faccia da poker". 😉
Se avessi dovuto abbinare anche i film, avrei citato la scena in Blade Runner con il replicante Roy Batty che gioca a scacchi a distanza con il suo inventore, e lo batte. Di Paul Auster ne avevo letti alcuni, ma non quello che hai portato come esempio.