Anche questo glorioso Caffè rivoluzionario riapre dopo la pausa estiva e accoglie voi avventori a braccia aperte non a colpi di baionette (ci mancherebbe!), ma di croissant e macaron.
In mezzo alla baldoria generale, siedo al tavolo a me riservato e rifletto che questa rubrica spesso assume l’aspetto di un diario di bordo del mio romanzo, come un “taccuino dello scrittore”. Ogni tanto, infatti, capita che io vi parli non soltanto dei fatti e delle curiosità storiche sulla Rivoluzione Francese, ma anche dei piccoli incidenti di percorso che mi accadono durante la stesura. E chi non ne ha? Ma nel romanzo storico ci sono le grandi trappole e i tarli che rodono… Di recente ne ho avuto uno appartenente al secondo genere.
Sono arrivata infatti al 1792, anno in cui Robespierre traslocò dall’appartamento di rue Saintonge nell’abitazione di Maurice Duplay. Per la precisione ciò accadde nel luglio 1791 dopo l’eccidio al Campo di Marte e in seguito alle proscrizioni rispetto agli elementi più esagitati della Rivoluzione. Dunque queste liste di persone sgradite colpirono, tra gli altri, Danton, Desmoulins, Marat e Robespierre.
Ciascuno reagì secondo il proprio stile: Danton pensò bene di cogliere l’occasione per farsi un viaggetto in Inghilterra col suocero, alla ricerca di una macchina tessile di nuova concezione con cui Monsieur Charpentier voleva impiantare una nuova attività. In Inghilterra, avrebbe anche preso contatti politici con personalità emigrate e agenti segreti, il che avrebbe costituito uno dei capi d’accusa del suo futuro processo. Dopo aver lanciato strali dal suo giornale, Desmoulins s’imboscò – è il caso di dirlo – nella casa di campagna dei suoceri, a Bourg-la-Reine, un paesino a sud di Parigi: il nascondiglio era talmente familiare alla polizia che, forse, non avrebbero pensato di fare irruzione proprio lì. Marat si eclissò nelle cantine della città – su altre fonti ho letto che erano addirittura le fogne – buscandosi una dermatite che lo avrebbe costretto a ripetuti bagni in vasca con sostanze lenitive. Charlotte Corday fu ammessa alla sua presenza mentre era immerso in una vasca bagno, dove lo pugnalò dopo aver passato i filtri di sorveglianza; posizione in cui venne immortalato – e abbellito – nel quadro di David che potete vedere qui sopra.
Robespierre fu invece avvicinato da Monsieur Duplay, un falegname che abitava in rue Saint-Honoré, 366, che gli propose di nascondersi in casa sua. Robespierre era già molto popolare e cominciava a essere conosciuto con il soprannome dell’Incorruttibile, e papà Duplay era un suo fervido ammiratore. In quel luogo Robespierre abitò fino alla sua morte. Era circondato dall’affetto e dalla stima della famiglia, che si componeva dei due coniugi, di tre figlie (una quarta era sposata e viveva altrove), di un figlio maschio e, in tempi successivi, di un nipote ferito durante la battaglia di Valmy. Si trattava inoltre di un luogo particolarmente strategico, in quanto a poca distanza c’era anche l’importante Club dei Giacobini dove Robespierre era un’autentica vedette.
Per accedere all’abitazione si entrava dalla strada attraverso un portone che si apriva su un cortile, di cui ho scovato un disegno sul web, dove c’erano le rimesse per gli attrezzi e il laboratorio di falegnameria di papà Duplay e dei suoi aiutanti. Al pianterreno, le stanze principali erano cucina, salone, sala da pranzo, un salotto destinato a Robespierre dove poteva ricevere e che negli ultimi tempi pare fosse affollato dai suoi ritratti (oggi si direbbe che si faceva molti selfie…). Al primo piano c’erano le camere da letto dei coniugi e delle figlie, e un piccolo appartamento dove avrebbero abitato il fratello di Robespierre, Augustin, e la sorella Charlotte. A Robespierre era stata destinata una camera-studio dove riusciva e vivere e lavorare in serenità. Come potete immaginare, sono andata a curiosare di persona in questi luoghi, anche se sono piuttosto cambiati, come faccio ogni volta visitando il Musée Carnavalet nella speranza che vi siano oggetti nuovi in esposizione. Al numero civico, ora 398, c’è sempre un androne da cui entrare, ma nel cortile si affacciano boutique e negozi. Un tempo, c’era persino un ristorante dedicato a Robespierre che aveva come insegna un suo ritratto a matita.
In una vecchia biografia delle edizioni dall’Oglio, ho una preziosissima mappa che ricostruisce i due piani di casa Duplay: pianterreno e primo piano. Eccoli qui sulla vostra sinistra (pianterreno) e primo piano (destra).
Mi stavo accingendo a scrivere una scena che mostrava la stanza di Robespierre e alcune persone che entravano dal corridoio quando, osservando la mappa… ho scoperto che non c’era alcun corridoio. Sono rimasta a dir poco basita. Se ingrandite la mappa del primo piano e osservate, infatti, il numero 10 (stanza di lui) e il numero 8 (gabinetto), potete vedere da voi stessi che non esiste un corridoio, ma le finestre sulla destra danno direttamente sul cortile. Nella stanza 10 c’è un muro portante sulla sinistra, una sagoma nera con due punte che probabilmente corrisponde a un camino e dei varchi con porte che portano da una stanza all’altra. La cosiddetta “infilata di stanze”. Diverse testimonianze dell’epoca affermano, infatti, che la sua finestra dava sul cortile come nel celebre film. Tra la 10 e la 11 (stanza del figlio di Duplay) si vede una linea sottile in corrispondenza dell’ipotetica porta: probabilmente era stato disposto un tramezzo, magari in legno, per isolare l’illustre inquilino e consentirgli un minimo di privacy. Peccato che, però, chi lo andava a trovare passava direttamente dal gabinetto, dopo essere emerso dalla tromba delle scale… comunque, problemi suoi. Rileggendo una biografia sui Desmoulins, dove c’è una descrizione dell’appartamento della coppia, scopro che anche lì non ci sono i corridoi, ma tutt’al più un vestibolo quadrato.
Mi sono allora consultata con la mia amica Antonella Scorta, l’autrice del guest post Alla ricerca degli antenati, e che è la stessa persona che mi aveva risolto la questione delle sigarette all’epoca: lei adora mettersi nei panni di una Sherlock Holmes in gonnella! Esaminando insieme la mappa, e ragionandoci sopra a lungo, è arrivata alla conclusione che non c’era alcun corridoio; e ha affermato serenamente: “Il corridoio era uno spreco di spazio, all’epoca… persino a Versailles ci sono enormi saloni uno di seguito all’altro,” e quindi mi ha convinto definitivamente. Niente whispering corridors in casa Duplay, con buona pace della mia scena. Vorrà dire che Robespierre riceverà i suoi visitatori nel salotto al pianterreno o, se proprio li disprezza, indicherà loro senza parlare il gabinetto, gesto più eloquente di ogni insulto.
Penserete che sia un po’ matta, ma è la follia di chi scrive romanzi storici mettendoci impegno e un po’ di serietà. Non vorrei mai che il dio del romanzo storico visiti i miei sogni, tuonando: “Hai messo il corridoio nella scena! Orrore e vituperio! Quando il romanzo verrà pubblicato lo scopriranno subito! “
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E voi, avete mai provato a scrivere in un locale pubblico, come il classico scrittore cui viene riservato un posto speciale? Se non l’avete fatto, vi piacerebbe provare?
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Fonti immagini
- La morte di Marat di Jacques-Louis David (1793) Wikipedia
- Robespierre di Mario Mazzucchelli – edizioni dall’Oglio
Una scrittura che ti sta portando a prendere atto di un singolare modo di concepire le abitazioni. Vada per l'infilata di stanze e l'assenza di corridoi ( tutto sommato anche da noi una volta si disponevano così gli ambienti ) ma il bagno come passage è davvero curioso!
🙂
In effetti penso che il corridoio sia arrivato nel dopoguerra, ovvero con l'età del benessere. Sicuramente nelle case contadine non c'erano corridoi. Sarebbe interessante sentire l'opinione di un architetto!
Per quanto riguarda il passage nel bagno, spero almeno che mettessero un paravento o un tendaggio… 🙂
Mamma mia che meravigliosa descrizione puntuale, da orologiaio svizzero!! Non riuscirei mai a essere così meticoloso e mi lascerei prendere dalla foga della fantasia e dell'imprecisione che in un romanzo storico rigoroso farebbe crollare la costruzione come un castello di carte. Per quanto riguarda il corridoio come architetto direi che sono e sempre esistiti. Nell'arte militare cosa erano le trincee se non corridoi difensivi e nelle case romane i criptoportici erano corridoi sotterranei, poi sviluppatosi nell'edilizia militare medievale, e sostituito dalla sequenza di stanze nelle residenze principesche. Forse nella casa borghese appare ai primi dell'800 quando l'ampliarsi degli edifici, il corridoio permetteva di passare in tutti gli ambienti garantendo il doppio affaccio ( corte e strada). quello che tu descrivi come alloggio del falegname sembra un corridoio ( couloir) realizzato da una controparete: un passaggio stretto che collega più ambienti. Infine mi permetto una piccola osservazione nella tua magistrale ricostruzione: userei il termine pianta (plan) piuttosto che "mappa” che mi sa di inglesismo. Complimenti! Andrea Ruffolo
E io ti ringrazio infinitamente per la delucidazione, Andrea! 🙂 Infatti dopo aver pubblicato e rilanciato su Fb, ho pensato "Chi meglio di Andrea, che è architetto, potrebbe svelarmi l'arcano?" Ho pensato anch'io che il corridoio, così come lo conosciamo nelle nostre case, fosse nato in tempi piuttosto recenti. La tua spiegazione è dettagliatissima e molto interessante, perché all'arte militare non avevo proprio pensato. Grazie anche della precisazione sul termine mappa / pianta. 🙂 Sono molto contenta!
"Hai messo un abete! Ma lì c'era una quercia!" Giuro, a me è capitato. Io pensavo di aver inventato la pianta di sana pianta (ah, battutone…) e invece ero incappata proprio in una quercia storica, presente già in epoca napoleonica e abbattuta a inizi '900. Il mio romanzo era ambientato nel 1881, quindi la quercia era proprio al suo posto, anche se la mappa storica che stavo consultando non ne portava traccia. Insomma, ti capisco. E gli scrupoli non sono mai troppi!
Agli alberi non avrei mai pensato! Ma in effetti ci sono anche le piante secolari, e quindi le insidie si nascondono pure lì. Quando descrivo le scene con la luna, vado a controllare sul calendario perpetuo in quale fase fosse, sono diventata paranoica. Ora mi faccio pure i problemi sul clima, se in quel dato giorno pioveva o ci fosse il sole, ma lì non c'è calendario al mondo che possa dirtelo. Che vitaccia.
Già!
😉
Mai pensato di scrivere in un luogo pubblico: troppa confusione, troppo rumore. Mi piacerebbe invece una baita in montagna.
Io non ho mai provato a scrivere nei luoghi pubblici, ma deriva soltanto dal fatto che non possiedo un portatile. Il secondo motivo è che devo continuamente consultare biografie e scartoffie varie. La baita in montagna è una bella idea, a me piacerebbe anche una casetta sul lago.
Anche oggi sta vincendo la tendenza a eliminare i corridoi per avere più spazio, però non c'è il passaggio obbligato per il bagno per uscire: "permesso devo uscire" "mi dispiace, è occupato"! Scrivere in un luogo pubblico? Io non ho mai provato, ma ogni tanto mi piacerebbe scegliermi un angolino tranquillo in un bar e provare a buttare giù delle idee osservando il via vai della gente, chissà magari prima o poi lo farò, per ora scrivo solo a casa…
E' vero, oggigiorno anche il cosiddetto atrio o vestibolo quadrato per dare l'idea di maggiore ampiezza. Scrivere in un luogo pubblico non dev'essere facile. Io riesco a isolarmi nella lettura, ma la scrittura è un altro paio di maniche, comporta passaggi ulteriori.
Beh, denoti una professionalità encomiabile. Una ricerca storica così approfondita per rendere storicamente accurato una paragrafo del tuo romanzo è segno di grande serietà (e d'altronde noi appassionati di storia lo sappiamo che la storia è una cosa seria; io non ho scritto molte cose storiche, e quelle volte in cui l'ho fatto gli ho sempre dato una connotazione vagamente fantastica proprio per giustificare le inevitabili inesattezze nei dettagli).
Riguardo la tua domanda, no, non ho mai scritto in un locale pubblico. Ho bisogno di solitudine e silenzio per scrivere, mi serve l'atmosfera rassicurante di casa.
Grazie del commento, Ariano. Io adotto il metodo "della nebbia" con il Medioevo quando le informazioni sono incerte o proprio non ci sono fonti: rimango sul vago anch'io oppure tolgo proprio il dettaglio. Nel caso della Rivoluzione Francese i documenti sono moltissimi, però il rischio è di sovrapporre la propria contemporaneità come in questo caso e di procedere "a naso". Tanto per rimanere sul pezzo, sono sempre stata convinta che le finestre di Robespierre non dessero sul cortile, ma affacciassero dal lato opposto. Mi sbagliavo!
Ma che meraviglia. E che meticolosità. Complimenti, un post interessantissimo: brava.
sinforosa
Grazie infinite, Sinforosa! Sono contenta che ti sia piaciuto tanto. A presto. 🙂
Niente in contrario a prendere appunti per la storia in un luogo pubblico, anzi, lo trovo liberatorio dai gravami domestici, anche mentali; ma per scrivere davvero dovrei essere in una biblioteca o in una chiesa. Senza silenzio sono nei guai. 😉
Ho letto da qualche parte una frase che recita: "Leggere non mi risolve i problemi, ma nemmeno fare le pulizie." Sarebbe perfetto applicarla anche alla parola "scrivere". 😉
Come dicevo sopra, non ho mai provato a scrivere nel caos, ma a naso direi che non fa per me. Quindi sono avvisati i bar che tengono a disposizione il tavolino per lo scrittore osannato: tenetelo pure libero per altri… ! 🙂