Speravate di esservi liberati del Diavolo, Bernabò Visconti? Scommetto che avevate già tirato un sospiro di sollievo. E invece no, perché lo si butta fuori dalla porta e lui rientra dalla finestra… e questo oltretutto a pochi giorni dalla festività del Santo Natale. Ma, si sa, il diavolo spunta proprio quando meno lo si aspetta! L’intervista che vi propongo, come avevo fatto presagire, è dedicata agli appassionati di teatro, agli addetti del settore e a chiunque abbia qualche curiosità da soddisfare, in special modo sull’allestimento de Il Diavolo nella Torre. Ha infatti come protagonista Claudio Settembrini.

Claudio è il regista che mi ha commissionato il copione de Il Diavolo nella Torre, il cui debutto è avvenuto l’8 luglio nel castello di Trezzo sull’Adda con replica il 9 settembre. Classe 1963, ha fondato la compagnia teatrale di TeatrOk nel 2007, con cui ha fatto molti spettacoli a Trezzo e nei comuni limitrofi. Ha messo in scena sia commedie classiche come Coppia aperta quasi spalancata di Dario Fo e Franca Rame, A piedi nudi nel parco di Neil Simon, Il Dio del massacro di Jasmina Reza, sia commedie scritte da lui, come Piccoli cambiamenti e Selfie con il morto, nonché una parodia de “I Promessi Sposi” dal titolo Questo matrimonio non s’Adda fare. L’esperienza maturata gli ha permesso di conoscere molti personaggi famosi della tv come Debora Villa, Alessandra Ierse, Nadia Puma. È inoltre autore dei monologhi che prendono vita durante le visite guidate animate estive al castello, come quella del gigante longobardo e dell’armatura di Bernabò Visconti.

L’ho intervistato perché curiosa di scoprirne di più sul suo amore per il teatro e su come ha lavorato sul copione e con gli attori che hanno interpretato Il Diavolo nella Torre! Ecco che cosa mi ha rivelato.

1. Che cosa significa per te il teatro e in quale occasione te ne sei innamorato? Voglio dire: è stato un colpo di fulmine o hai imparato ad amarlo poco alla volta?

L’amore per il teatro nasce… da un altro amore, ovvero quello per la mia professoressa d’italiano delle superiori, che ci portava spesso a teatro. E sì che all’epoca il teatro mi era del tutto indifferente! Il primo spettacolo che avevo visto era La Mandragola di Machiavelli, un testo forte e impegnativo. Mi sono quindi avvicinato sempre più all’ambiente e ho iniziato a seguire varie rappresentazioni, e di conseguenza a leggere moltissimo. Con gli anni poi ho letto centinaia di copioni sia di classici sia di teatro contemporaneo.

2. Che cosa ti piace maggiormente nell’essere un regista? Quali sono le maggiori difficoltà che, invece, incontri?

La cosa più bella in assoluto per me è dare indicazioni agli attori di come eseguire la parte, e vedere il loro miglioramento nella recitazione. Secondo me, infatti, chi fa regia deve anche trasmettere una certa didattica. Non disponendo di attori professionisti, per me è importantissimo anche farli crescere. L’aspetto che, invece, mi causa più problemi è la gestione dei grossi gruppi nell’organizzare uno spettacolo, proprio perché sono attori amatoriali, e hanno molti impegni lavorativi e di altro genere; quindi più attori sono coinvolti in uno spettacolo e più diventa impegnativo e complicato.

3. Oltre che regista, sei anche un autore di copioni per commedie brillanti. Hai mai pensato, un giorno, di recitare tu stesso per ottenere la quadratura del cerchio?

Ho recitato in passato, però ho scoperto che mi piace di più stare “dall’altra parte”, in veste di regista. Non escludo che, un domani, potrei tornare a recitare; in questo caso, però, non mi assumerei anche il ruolo registico. Non è possibile svolgere entrambi i compiti… almeno non per me.

Una suggestiva immagine del castello di Trezzo all’imbrunire (Fonte: http://www.valleadda.com)



4. Hai sempre affrontato commedie brillanti, come Selfie con il Morto ad esempio, ed è la prima volta che ti sei occupato di un dramma, oltretutto a carattere storico. Come ti sei trovato?

Ti dirò la verità: a me non piacciono i drammi, preferisco decisamente le commedie. Ad esempio anche de I Promessi Sposi ho fatto una parodia, in quanto possiedo una vena umoristica congenita. Però mi sono innamorato del tuo testo precedente, Il Canarino, perché è una meraviglia, e pensando che tu mi avresti scritto un copione simile su Bernabò Visconti scritto altrettanto bene. (risate)

Passare da una commedia a un dramma non è un’operazione facile. Si è rivelata un’occasione per mettermi alla prova… e mi sono anche divertito moltissimo. È stata una bellissima esperienza! Questa tua opera storica, accolta con tanto entusiasmo dal pubblico, schiude inoltre la porta a ulteriori approfondimenti di tipo culturale e personale. Ed è godibile da un’ampia fascia di pubblico con persone di diversa preparazione ed età differenti.

5. Come hai concepito la messa in scena de Il Diavolo nella Torre?

Nel pensare all’allestimento ho dato più importanza ai personaggi e ai costumi, anche perché la mia intenzione è stata sempre quella di poter ripetere lo spettacolo in varie location. Non mi sono concentrato molto sulla scenografia perché, un domani, avevo in mente di metterlo in scena in una villa storica, ad esempio, dove ogni quadro potrebbe essere rappresentato in una stanza diversa e farlo diventare così uno spettacolo dove è il pubblico a essere in movimento. Il fatto che la scenografia sia ridotta al minimo rende lo spettacolo più fruibile e adattabile anche in altri contesti, e anche più facilmente trasportabile. E comunque la tendenza odierna, anche per spettacoli in teatri importanti, è di avere una scenografia essenziale. Nell’ideare l’allestimento de Il Diavolo nella Torre sono stato comunque agevolato dal fatto che si tratta di una storia locale, e quindi per me è stato facile concepirlo perché già conoscevo la vicenda e soprattutto perché mi piaceva.

6. Al di là del classico ambiente-teatro, come hai fatto a scegliere il luogo dove debuttare? Avevi in mente varie soluzioni?

Inizialmente pensavo a un allestimento all’aperto, tra le rovine del castello, cosa che non escludo possa farsi con il ritorno della bella stagione. Questo tipo di allestimento ha però dei costi non indifferenti da valutare, e delle difficoltà tecniche. Ad esempio, in questo caso è necessario l’acquisto di una pedana, in modo da sopraelevare gli attori. Un’altra idea era l’utilizzo dei sotterranei del castello, ovvero dei cinque stanzoni collocati sotto il livello del fiume, dove il pubblico si potrebbe spostare da un ambiente al successivo già allestito per la scena. Tuttavia è improponibile, almeno per una parte del pubblico, in quanto non tutti riescono a seguire una storia in movimento (e in questo caso devi selezionare le persone, avvisandole prima del tipo di spettacolo che andranno ad assistere), e ci possono essere oggettive difficoltà nella discesa dei gradini. C’è anche il problema dell’umidità, specialmente d’inverno. La terza opzione ricadeva sull’attigua “sala Bernabò”, una stanza con delle decorazioni alle pareti e usata per i matrimoni, ma è stata scartata per la pessima acustica e per la scomodità nel far cambiare gli attori. Una possibilità che ci è venuta in mente ora è rappresentare lo spettacolo nella Sala della Società Operaia, che ha un palco sopraelevato e un maggior numero di posti a sedere. Certo, si perderebbe molto il fascino di non trovarsi più nel castello e quindi nella parte antica!

7. Quando avviene la fase del casting in generale? Hai già avuto subito in mente a chi affidare i ruoli nel caso de Il Diavolo nella Torre, perlomeno quelli primari?



Quelli primari sì, come nel caso di Bernabò Visconti (interpretato da Dave Coal) e del nipote Gian Galeazzo (interpretato da Gianluca Tomasina). Poi mi dispiace quando non riesco ad assegnare una parte a un attore specifico per sua indisponibilità, in quanto conosco i miei attori da molti anni e so quali sono i loro pregi e i loro limiti. So quindi in quale ruolo potrebbe funzionare meglio una persona piuttosto che un’altra. D’altro canto ho l’opportunità di lavorare con tanti attori bravi del gruppo, e quindi per l’attore stesso è una sfida proporsi in un personaggio diverso dal solito repertorio. Il Diavolo nella Torre è esemplificativo, e il caso di Dave è eclatante. Lui è cresciuto molto interpretando il ruolo di Bernabò Visconti, in una parte drammatica.

8. Riesci a capire il rapporto tra un testo e la lunghezza dello spettacolo?

Adesso perché ne ho letti moltissimi, quindi ho acquisito molta esperienza. Un maestro del teatro che ho conosciuto, Luigi Lunari autore di Tre sull’altalena, mi ha insegnato, tra le altre cose, che una commedia deve avere una certa durata per essere meglio apprezzata dal pubblico. Per quanto mi riguarda, la prima volta leggo il copione in maniera veloce; la seconda volta, se ho intenzione di fare una regia, leggo con le pause giuste che immagino nella mia mente. Mi segno quindi tutte le pause sul copione e prendo nota della durata della commedia.

9. Come hai lavorato con gli attori in fase di prove ne Il Diavolo nella Torre?

Dopo aver consegnato il copione con i ruoli assegnati, ognuno degli attori fa una lettura in solitaria del testo, come se fosse una normale lettura e per prendere cognizione di causa del testo stesso. La fase successiva è lo studio del personaggio e qui chiedo a tutti di portarne una piccola biografia, in base all’idea che ci si è fatta. Occorre comprendere il testo dell’autore, o dell’autrice in questo caso, e non è facile. Lo studio del personaggio è una parte fondamentale. La volta successiva ci si ritrova e si fa una lettura con espressioni verbali, come se si stesse registrando un radiodramma concentrandosi esclusivamente sul linguaggio paraverbale: esprimere cioè le emozioni vocalmente e senza gestualità.

Dalla volta successiva in avanti si fanno le prove, sempre con tutti gli attori presenti e non a scene isolate. È importante che ci siano tutti quanti, infatti, perché anche chi non recita osserva e partecipa. Alla fine della serata chiedo dei pareri.

Quando si sorpassa lo scoglio della memoria, si abbandona il copione e si interpreta il personaggio non più solo nella fase di paraverbale, ma in ogni aspetto, anche nella prossemica. Per chi non lo sapesse, la prossemica è lo studio dello spazio, cioè la posizione in cui deve restare un attore rispetto all’altro, e le distanze. Anche le distanze comunicano molto, ed è un aspetto che spiego sempre nei miei seminari. Di solito le prove vengono svolte una volta alla settimana, ma l’ultima settimana ci siamo visti quasi tutte le sere a ridosso della data del debutto, e abbiamo dovuto fare una vera full immersion per entrare anima e corpo nello spettacolo.

10. Di solito intervieni per correggere gli attori sui gesti, e quanto?

Di solito intervengo sempre! I gesti comunicano molto di più delle parole in alcune situazioni. Faccio un esempio: io mi arrabbio molto con chi non ha la parola in quel momento, e rimane fermo. Il pubblico non guarda solo chi sta parlando, guarda anche chi è fermo; e chi è fermo è più soggetto all’errore e ad attirare anche l’attenzione. Tante volte quando si fanno le prove l’attore sbadiglia… no! Tu sei lì, sei fermo, ma nello stesso tempo devi entrare nel personaggio. Questa forma di attenzione io la rimarco molto nei gesti. Faccio un altro esempio: due che parlano in una scena di film parlano uno di fronte all’altro, se sono a teatro devono “aprirsi” verso il pubblico in una posizione che potrebbe sembrare innaturale, ma che è decisiva per la comprensione. Un altro aspetto che curo molto è il ritmo, perché un testo, e non parlo del tuo, a volte può risultare una nenia ed essere noioso. Se una parte specifica è un po’ lunga bisogna trovare il modo di spezzare il ritmo. Sono tutte cose che comunque si imparano con l’esperienza: io ho fatto una scuola di regia e mi è servita a poco.

Lo scontro tra Bernabò Visconti e Giovannola, la madre di Bernarda.

11. Lavori da solo sulle trovate registiche sono gli stessi attori a suggerirti degli adattamenti?

Io sono assolutamente aperto e disponibile a ricevere suggerimenti, a patto che, nelle mie commedie, non si cada nella sguaiataggine per strappare l’applauso facile. A me piace, invece, che il pubblico abbia sempre il sorriso sulle labbra, all’inglese. Nel caso del tuo Diavolo, gli attori sono stati perfetti nei loro suggerimenti.

12. Come hai fatto a scegliere le musiche?

Ho impiegato tre notti intere nella ricerca! Le musiche sono state trovate su Jamendo, e sono molto suggestive perché sono moderne ma hanno una risonanza antica. In alcune scene Dave, che ha molto orecchio musicale, essendo una persona creativa e un musicista, comincia a parlare quando finisce la musica, e aumenta o diminuisce il ritmo in funzione della musica…

13. Che cosa ti ha lasciato questa esperienza di regia?

Mi ha riempito proprio perché mi mancava un’esperienza seria, che avrei cercato io per primo per completarmi. Se non t’avessi conosciuto e non mi avessi scritto questo copione, che per me è stata un’occasione, avrei fatto questa esperienza – magari molto più tardi, ma l’avrei fatta. Mi ha permesso anche conoscere meglio i miei attori nella veste drammatica.

14. Ci sono ulteriori idee per far crescere in visibilità lo spettacolo?

C’è appunto l’idea di fare lo spettacolo all’aperto, il che potrebbe anche prevedere l’utilizzo di proiezioni sui ruderi del castello. La seconda idea è un cortometraggio.

15. Quali progetti hai per il futuro?

Innanzitutto c’è il progetto di trasformare in un musical la mia parodia de “I Promessi Sposi” dal titolo Questo matrimonio non s’Adda fare, ma avverrà l’anno prossimo quando sarà disponibile la compositrice. Ora stiamo facendo del cabaret, e in più ci sarà una nuova commedia che sto scrivendo, dal titolo Il sostituto. Sto inoltre valutando la possibilità di rappresentare Confusioni di Alan Ayckbourn.

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La compagnia al completo de Il Diavolo nella Torre.


La mia intervista si
conclude qui… auguro naturalmente a Claudio di realizzare i suoi progetti, e
soprattutto che ci siano molte repliche dello spettacolo Il Diavolo nella Torre, e che possa diventare itinerante!