Si può diventare immortali anche con un solo libro.

Esistono scrittori che, per motivi di forza maggiore – ad esempio perché morirono giovani o perché diedero il loro meglio con un solo romanzo – possono essere annoverati come i cosiddetti “autori di un unico libro“. Quel libro, però, ha dato loro la certezza di poter attraversare indenni lo scorrere impietoso dei secoli senza essere dimenticati; anzi, più il tempo passa e più sembra che le loro opere si incidano nella mente dei lettori come sulle tavole di smeraldo di Ermete Trismegisto.

In questo articolo provo ad elencare alcune opere che mi hanno particolarmente colpito e che non cesserei di leggere e rileggere. Le elencherò in ordine di pubblicazione e mi occuperò soltanto di coloro che sono passati a miglior vita. Non voglio certamente portar male ai viventi (o bene, dipende dalle credenze popolari), e per chi è ancora in questo mondo c’è sempre speranza che sforni un altro capolavoro. Indicherò anche che cosa mi ha particolarmente colpito di quel romanzo. Ecco qui i miei magnifici:



Frankenstein, o il moderno Prometeo
di Mary Shelley (1818)


Si tratta di un romanzo scritto dall’autrice britannica Mary Shelley fra il 1816 e il 1817, all’età di 19 anni. La delicata signora che vedete qui effigiata è proprio Mary Shelley, in un ritratto compiuto da Reginald Easton, presumibilmente usando la maschera mortuaria nel 1857 circa.

Il romanzo fu pubblicato nel 1818 e modificato dall’autrice per una seconda edizione del 1831. È questo il romanzo con cui nascono le figure letterarie del dottor Victor Frankenstein e della sua creatura, spesso ricordata come mostro di Frankenstein, ma anche, in maniera erronea, con lo stesso nome del suo artefice.

La genesi è piuttosto famosa, e la ricorderò brevemente. Nel maggio 1816, la sorellastra di Mary Shelley, Claire Clairmont, diventata l’amante di Lord Byron, convince i coniugi Shelley a seguirla a Ginevra. Il tempo piovoso (fu l’Anno senza estate) confina spesso gli ospiti in albergo e questi occupano il tempo libero leggendo storie tedesche di fantasmi, tradotte in francese e raccolte nell’antologia Fantasmagoriana. Byron propone allora di comporre loro stessi una storia di fantasmi. A causa delle lunghe conversazioni sulla natura dei principi della vita, sul galvanismo, sulla possibilità di assemblare una creatura e infondere in essa la vita, Mary ha l’incubo che è all’origine del grande mito gotico: uno studente che si inginocchia di fianco alla creatura che ha assemblato; creatura che, grazie a una qualche forza, comincia a mostrare segni di vita. 
Mary inizia il racconto decisa a ricreare quel terrore che essa stessa ha provato nell’incubo: il successo dello scienziato nell’animare la creatura l’avrebbe terrorizzato ed egli sarebbe scappato dal suo lavoro, sperando che, abbandonato a se stesso, l’essere sarebbe morto; ma la creatura rimane sconcertata dalla sua solitudine e avrebbe voluto delle spiegazioni, similmente a quelle di Adamo del Paradiso Perduto di John Milton.

Che cosa mi ha colpito: il rapporto tra il creatore e la sua creatura. Le pagine sulla solitudine del mostro sono bellissime, ma secondo me la relazione distruttiva e straziante tra Frankenstein e la creatura ha generato passaggi impagabili. La creatura tende le mani verso Frankenstein per toccarlo, quando egli è andato a coricarsi scosso dagli incubi per aver visto che la sua opera non è un modello di perfezione, ma la somma di tutti gli orrori. Lo cerca attraverso l’Europa, dopo essere stato abbandonato al suo destino. Pretende da lui una compagna, e fa terra bruciata attorno a Viktor quando egli si ritira dal progetto, uccidendo dapprima la fidanzata. Dopo che il creatore è morto, egli dà sfogo alla sua disperazione e si allontana scomparendo tra i ghiacci. Mi sembra che questo legame a doppio filo sia la riprova che tutti noi abbiamo lo spasmodico bisogno di capire da dove veniamo, e amiamo e odiamo la fonte della nostra esistenza.

Frankenstein del 1994, regia di Kenenth Branagh
che interpreta anche Viktor von Frankenstein, qui nella scena finale. 

Cime tempestose di Emily Brontë (1847)

Cime tempestose è l’unico romanzo di Emily Brontë, scritto fra l’ottobre 1845 e il giugno 1846. Pubblicato per la prima volta nel 1847, sotto lo pseudonimo di Ellis Bell; mentre una seconda edizione postuma fu curata da sua sorella Charlotte nel 1850. Il romanzo non venne accolto bene dalla critica: la sua struttura innovativa, che è stata paragonata a una serie di scatole cinesi, la raffigurazione della crudeltà fisica e mentale manifestata dai personaggi, l’odio a tutto tondo e i rancori generazionali suscitarono parecchia perplessità. Appartiene ai grandi capolavori della letteratura inglese, con le sue descrizioni della brughiera selvaggia che rispecchia solitudini interiori.

Nel romanzo si narra la storia di Heathcliff, del suo amore per Catherine, e di come questa passione alla fine li distrugga entrambi: tema centrale del libro è difatti l’effetto distruttivo che il senso di gelosia e lo spirito di vendetta possono avere sugli individui. L’amore tra i due giovani non ha nulla di sdolcinato nel senso romantico del termine. La storia è una sorta di lungo racconto che Ellen Dean, o Nelly (la governante della famiglia) rnarra a al signor Lockwood, il nuovo affittuario di Thrushcross Grange. Lockwood conosce Heathcliff, il padrone di casa, una ragazza adolescente riservata e scontrosa – presentata da Heathcliff come sua nuora – e infine un giovane che si comporta come un servo analfabeta. Poiché fuori ha incominciato ad imperversare una tempesta, a Lockwood viene concesso il permesso di passare la notte lì: si trova così costretto a soggiornare in una camera piena di strani segni e graffiti incisi sul muro. Vi appare spesso il nome di Catherine. Durante la tormentata notte lo spirito di una bambina di nome Catherine bussa alla finestra della stanza, chiedendo di entrare…

Che cosa mi ha colpito: la coloritura nera delle anime, e non riesco a trovare un altro modo per definirle. Sono tutte fosche, dure, spietate, specialmente i protagonisti Heathcliff e Catherine, che sono due metà della stessa anima, e difatti non hanno pace finché sono sono riuniti. Al loro confronto, gli altri personaggi sono tutte pallide controfigure, destinati a soccombere per mollezza di carattere o delicatezza di spirito. I protagonisti sembrano generati dalla stessa brughiera, e naturalmente condividono il medesimo destino di trasformarsi, dopo la morte, in anime in pena.

Qui potete vedere un’immagine tratta da Wuthering Heights  di Andrea Arnold del 2012, che a quanto pare è la miglior trasposizione cinematografica del libro; e, se volete, qui c’è il link Youtube al trailer ufficiale del film.

Kaya Scodelario interpreta Katherine in
Wuthering Heights di Andrea Arnold (2012).

Niente di nuovo sul fronte occidentale 

di Eric Maria Remarque (1929)

All’ovest niente di nuovo (titolo originale Im Westen nichts Neues) è un romanzo autobiografico scritto nel 1929 da Erich Maria Remarque, pseudonimo di Erich Paul Remark, che narra le vicende di un soldato tedesco durante la Prima guerra mondiale. Facendo leva sugli ideali della nazione, onore e orgoglio, gli insegnanti di una scuola tedesca persuadono i propri allievi ad arruolarsi come volontari per difendere la propria patria. Il protagonista, Paul Bäumer, si arruola insieme ad alcuni suoi compagni di classe. Hanno tutti diciannove anni e sono convinti di vivere una grande avventura e di essere destinati a diventare eroi. Tuttavia, con il passare del tempo, i ragazzi si accorgono di quanto la guerra sia inutile.

Giorno dopo giorno l’avventura si trasforma in una tragedia, in cui i vincoli di sostegno e cameratismo che servivano a superare le atrocità e le difficoltà quotidiane spariscono con la morte dei compagni di Bäumer. Anche al protagonista è riservato lo stesso destino. Morirà in una giornata serena, poco tempo prima della capitolazione dell’esercito tedesco, ormai agli sgoccioli. E l’espressione sul suo volto alla morte sarà così serena che nessuno immagina sia potuto morire in un ambiente tanto crudo quanto quello della guerra.

Avevo recensito questo libro sul blog e, se volete leggere la recensione “Il mio fiore di papavero, nel ricordo della Grande Guerra”, la potete trovare qui.

Che cosa mi ha colpito: la sofferenza. C’è una sofferenza palpabile che emanano le righe di questo libro. Una scena tra tutte, che vede come protagonista Müller, uno dei compagni di classe di Paul, come lui diciannovenne e anche lui volontario. Müller viene colpito da un razzo sparato a bruciapelo nello stomaco. Agonizzante, vive ancora una mezz’ora soffrendo orribilmente, lamentandosi e gridando. Sono pagine che sono quasi intollerabili alla lettura.

Spring in the Trenches di Paul Nash (1917).

Il buio oltre la siepe di Harper Lee (1960)

Il buio oltre la siepe, titolo originale To Kill a Mockingbird (Uccidere un usignolo) è un romanzo della scrittrice statunitense Harper Lee. Pubblicato nel 1960, ebbe un immediato successo, e nello stesso anno di uscita all’autrice fu assegnato il premio Pulitzer. La storia viene raccontata in prima persona dalla protagonista Scout adulta. In Alabama, all’inizio degli anni trenta, Jean Louise (Scout) e Jeremy (Jem) Finch sono due ragazzini orfani di madre che vivono nella cittadina immaginaria di Maycomb.


Il padre Atticus è avvocato e, nonostante il poco tempo concessogli dalla sua professione, si occupa con grande sensibilità e affetto dell‘educazione dei due figli, col solo sostegno della brava domestica nera Calpurnia. La bambina è impegnata, durante l’estate, in giochi avventurosi col fratello Jem, più vecchio di quattro anni e con l’amico Dill, suo coetaneo. I tre ragazzi sono attratti dalla misteriosa presenza del vicino di casa Boo (Arthur Radley), in passato membro di una gang di giovinastri, il quale vive segregato in casa. Oltre la siepe che separa la casa dei Radley dalla strada c’è l’ignoto. Il “buio oltre la siepe” rappresenta l’ignoto e la paura che genera il pregiudizio. Nel 2015 fu pubblicato Va’, metti una sentinella che raccontava le vite degli stessi personaggi di To Kill a Mockingbird in un’epoca successiva, ma che ricevette critiche contrastanti specialmente in rapporto al personaggio di Atticus.

Che cosa mi ha colpito: Atticus Finch, ovvero il padre ideale. Penso che chiunque abbia letto questo libro dopo aver visto il film, non può che immaginarsi Atticus Finch interpretato da Gregory Peck: un uomo di saldi principi morali, fermo nella difesa nei deboli, e nello stesso tempo affettuoso con i suoi figli che ha il compito di allevare da solo in quanto vedovo. Dice la voce narrante di Scout: “Me lo ricordo quando mio padre mi regalò quel fucile; mi disse […] di ricordarmi che era peccato sparare a un usignolo […] perché sono uccellini che non fanno niente di male, cantano e fa piacere sentirli, non mangiano le sementi, non fanno il nido nelle madie, non fanno altro che rallegrarci con il loro cinguettio.”

Il buio oltre la siepe del 1962 diretto da Robert Mulligan.
Gregory Peck interpreta Atticus Finch e la piccola Mary Bdham
è la figlia Jean Louise “Scout” Finch.

L’amico ritrovato di Fred Uhlman (1971)

L’amico ritrovato (titolo originale inglese: Reunion) è un romanzo dello scrittore tedesco Fred Uhlman, dal quale nel 1989 fu tratto anche un adattamento cinematografico. Insieme a Un’anima non vile e Niente resurrezioni, per favore forma la cosiddetta Trilogia del ritorno.


Ha come protagonista Hans Schwarzun ragazzo ebreo di sedici anni che vive a Stoccarda, in Germania. La sua è una famiglia dell‘alta borghesia, tranquilla e rispettata, dalle idee aperte e quasi incurante della propria identità ebraica. Descrive i genitori come persone pacate e amorevoli nei suoi confronti, che mantengono buoni rapporti sia con i cristiani sia con gli ebrei. Un giorno di febbraio del 1932, alla classe di Hans viene aggregato Konradin von Hohenfels, un ragazzo di nobile famiglia. Con la sua eleganza e i suoi modi Konradin intimidisce i ragazzi, ma Hans desidera ardentemente diventargli amico. Tuttavia Konradin si dimostra poco attratto da lui, così come dal resto dei compagni. Hans riesce però a catturare l’attenzione di Konradin grazie a una collezione di monete, e nasce tra i due ragazzi un’amicizia fortissima che andrà oltre le vicende delle persecuzioni razziali e della storia stessa.

Che cosa mi ha colpitol’amicizia tra i due ragazzi, che è il concetto attorno a cui ruota tutto il libro. I due adolescenti sono divisi da molti fattori: il ceto sociale, l’educazione ricevuta, il fatto di essere uno un cristiano e l’altro ebreo, la ricchezza e la nobiltà per Konradin, una famiglia altoborghese per Hans. Ma la loro amicizia sarà in grado di superare le barriere del tempo, di essere davvero più forte della morte.

Per finire la mia carrellata vi propongo un fotogramma del film del 1989 che mostra Hans e Konradin.






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E per voi quali sono gli “scrittori di un solo libro”? Con quale dei vostri romanzi vi piacerebbe essere ricordati?


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Fonte delle trame: Wikipedia, fortemente adattate e integrate