Non mi è mai piaciuto il film Mary Poppins. Se c’è un film di Walt Disney finto e zuccheroso, è proprio questo, al di là della bravura di Julie Christie e dei suoi colleghi. Non è semplicemente una storia fantastica, adatta a grandi e bambini, il che andrebbe benissimo. Coinvolge anche la rappresentazione di alcuni aspetti sociali di fine Ottocento dandone una rappresentazione sognante e falsata. La categoria degli spazzacamini, ad esempio, viene fatta danzare lietamente sui tetti di Londra e il loro viso affumicato è reso vezzoso quasi si trattasse di un belletto. Invece, il loro lavoro era durissimo e spesso coinvolgeva anche i bambini, che, essendo di piccola taglia, potevano infilarsi nelle cappe del camino dove a volte finivano incastrati.
Ma qui non si parlerà degli spazzacamini, anche se meriterebbero.
Nel film, la madre dei bambini Jane e Michael è una suffragetta, o meglio la caricatura di una suffragetta. All’epoca già m’infastidiva vedere questa placida madre di famiglia che si vestiva per partecipare alle manifestazioni in favore del voto alle donne come se si preparasse ad andare a una partita a carte o a un tè con le amiche; e sospettavo che le cose non stessero proprio in questi termini. Il sospetto è stato confermato dal mio lavoro di redazione sulle prime letterature anglosassoni e con la ricerca iconografica da cui scaturivano fotografie e poster caricaturali con suffragette picchiate e nutrite a forza con estrema violenza. In tempi recenti ho apprezzato anche la visione del film Suffragette di Sarah Gavron del 2015 con Meryl Streep, Helena Bonham Carter e Carey Mulligan.
Essendo molto interessata al movimento delle suffragette, ho chiesto alla mia amica e blogger Clementina Daniela Sanguanini di scrivere un post per me e il suo splendido articolo ha fugato ogni dubbio, se pure ce ne fossero stati ancora. L’articolo è prezioso in ogni sua riga, e quindi abbiamo deciso di comune accordo di suddividerlo in due parti per dare modo di leggerlo con maggiore agio.
Ora lascio la parola a Clementina!
La donna di cui intendo parlarvi in questo post si chiama Emmeline Goulden Pankhurst, attivista politica e leader del movimento britannico che ha aiutato le donne a ottenere il diritto di voto. Una donna della metà dell’Ottocento che entra a gamba tesa nel Novecento, decisa a ottenere i diritti fino allora caparbiamente negati all’intero universo femminile. Potete vederla qui in una fotografia scattata nel 1913.
Emmeline nasce il 14 luglio 1858 da una famiglia appartenente all’alta borghesia di Manchester.
Come si evince dalla sua autobiografia, ultimata nell’estate del 1914 e intitolata “Emmeline Pankhurst. La mia storia” (Castelvecchi Editore), la sua infanzia coincide con il primo periodo di formazione della militanza che si struttura intorno a più fattori legati, in parte a elementi educativi, e in parte connessi alla nascita di sentimenti di empatia verso soggetti terzi, coinvolti in episodi di grave ingiustizia sociale.
Tra le vicende narrate nella prima parte del libro, quella inerente ai primi decenni di vita, almeno tre di esse spiccano per la loro capacità di attivare nella giovane Emmeline un profondo processo di presa di coscienza della condizione femminile. Tre passaggi che si dimostreranno fondamentali nel tracciare la formazione del suo carattere e la sua stessa condotta futura:
1) l’essere cresciuta all’interno di un ambiente culturalmente avanzato, liberale e palesemente schierato a difesa dell’abolizione della schiavitù americana, ma ugualmente pieno di contraddizioni;
2) l’aver elaborato, attraverso il racconto del fratello, un episodio di condanna a morte per un gruppo di feniani irlandesi, accaduto nella propria città e vissuto come un crimine
3) l’aver colto una frase devastante che ha aperto gli occhi sulla distorta percezione dell’immagine delle donne da parte degli uomini. Una visione tanto snaturata quanto radicata da resistere anche nei soggetti culturalmente e spiritualmente più evoluti, come suo padre. Nella fotografia qui accanto è ritratta nel 1870.
La giovane Emmeline, pur crescendo a stretto contatto con i tanti liberali, frequentati dal padre e con i tanti comitati a favore del suffragio femminile, seguiti attivamente dalla madre, fin da ragazzina comprende che il popolo inglese, persino negli ambienti più effervescenti, soffre una sorta di ottundimento, di ingenuità, tanto profonda quanto pericolosa che lo porterà, riponendo piena fiducia nelle ingannevoli promesse dei politici, a commettere errori clamorosi.
Ecco cosa viene messo in luce…
Le militanti dei gruppi a sostegno del voto alle donne, conosciute in tenera età, si illudono che, stringendo un’alleanza con gli uomini dei partiti politici, troveranno chi porterà avanti le loro istanze: cosa che non accadrà mai. Agendo in questo modo interrompono il compito di lavorare per loro stesse per mettersi, invece, al servizio degli uomini che non solo non rispetteranno il patto, ma che faranno di tutto per metterle in condizione di retrocedere rispetto al cammino svolto.
Gli abitanti di Manchester, tendenzialmente inclini a difendere i principi di libertà, di pensiero e di espressione, si rivelano incapaci di effettuare una lettura obiettiva delle dinamiche legate a un avvenimento che si svolge alla fine del 1870, commettendo l’errore di condannare ingiustamente a morte alcuni partigiani legati alla causa irlandese.
Il padre, Robert Goulden, nonostante lo spirito liberale e abolizionista che lo ha sempre distinto, e nonostante il sostegno offerto alla causa del pari diritto di voto, forte dei suoi pregiudizi, non prevede affatto di concedere alla piccola Emmeline e alle sorelle gli stessi vantaggi educativi goduti dai loro fratelli. Una sera, passando con la moglie accanto al letto della bambina, creduta addormentata, si lascia sfuggire la frase: “Che peccato che non sia un ragazzo”.
Da quella frase, pronunciata con tono rammaricato, Emmeline deduce che “gli uomini consideravano loro stessi superiori alle donne” e che “le donne apparentemente si adeguavano a quella convinzione”. (cit: “Emmeline Pankhurst, la mia storia”, p. 12)
Il tempo scorre e la giovane viene mandata a Parigi a frequentare l’École normale supérieure di Neuilly-sur-Seine, per conseguire il diploma in chimica, contabilità e le cosiddette arti femminili, tradizionalmente accolte come parte fondamentale del programma scolastico per una ragazza e destinate a istruirla sul suo ruolo principale, cioè intrattenere al meglio il pubblico maschile: disegno, canto, ricamo, …
Qui diventa amica di Noémie Rochefort, figlia del repubblicano Henri Rochefort, imprigionato in Nuova Caledonia per aver avuto un ruolo importante all’epoca delle vicende legate alla Comune di Parigi. Sempre in Francia, Emmeline incontra anche un corteggiatore che si dilegua quando suo padre, Robert Goulden, dice chiaro e tondo che non è disposto a pagare una dote.
Tornata in Inghilterra, conosce e sposa, all’età di ventuno anni, Richard Pankhurst (nella fotografia), avvocato, sostenitore del diritto di istruzione, del diritto di parola e del movimento delle donne per i diritti delle donne: un romantico idealista.
Dal loro felice matrimonio, durato diciannove anni, nascono due figlie, Christabel e Sylvia, e un figlio, Henry, soprannominato Frank.
Poco dopo la morte del marito, avvenuta nel 1898, la Pankhurst riceve la proposta di candidarsi per il consiglio didattico di Manchester. È il 1900, un anno di forte recessione per il Regno Unito e, in particolare per Manchester. In questa circostanza, oltre a scontrarsi con un sistema scolastico dominato da leggi antiquate e insensibile alle proposte di riforma avanzate dai fronti più liberali, ella prende coscienza della forte misoginia insita in quell’ambiente.
In pratica, oltre all’ingiustizia del gap dei salari tra insegnanti donne e insegnanti uomini, a favore di questi ultimi, quell’anno viene pure varata una legge del Parlamento inglese che sottrae completamente il compito educativo alle donne, per assegnarlo unicamente alla componente maschile.
Contestualmente, apprende che l’istituto professionale di Manchester, a quei tempi reputato il secondo migliore d’Europa e da sempre avvezzo a spendere migliaia di sterline all’anno per la formazione tecnica, dichiara di non avere fondi per la formazione femminile.
Analoghe condizioni si registrano ovunque in Inghilterra: gli istituti professionali rifiutano l’iscrizione delle ragazze sotto la pressione delle associazioni maschili di categoria (associazione dei pasticceri, associazione dei panettieri, e così via). In pratica, scuole e associazioni di categoria intendono assicurare la formazione e il successivo inserimento nel mondo del lavoro – ahimè – solo ai ragazzi.
A tal proposito, in “Emmeline Pankhurst, la mia storia” (p. 31) l’autrice trae delle deduzioni molto precise, dipingendo con estrema nitidezza la sua percezione dell’universo maschile e femminile. Il passaggio relativo è il seguente:
“Mi fu presto chiaro che gli uomini considerano le donne come una categoria di serve della comunità, e che le donne erano destinate a rimanere in questo rango servile finché non se ne fossero liberate da sole”
Arrivata a questo punto, dopo essersi confrontata con le figlie, ormai cresciute e da sempre interessate al suffragio femminile, decide di formare e guidare un gruppo appassionato di donne militanti: l’Unione sociale e politica delle donne (WSPU). Era il 1902.
Assemblea del WSPU. |
Pankhurst Centre, Manchester, ex sede della WSPU. |
Dall’autobiografia si evince con chiarezza che la scelta di costituire la WSPU poggia sull’esigenza, fortissima, di svoltare pagina e concretizzare l’obiettivo del voto alle donne, abbandonando i metodi acquiescenti, sin troppo remissivi, al limite della pecoraggine, perseguiti per decenni dai comitati suffragisti che si sono succeduti l’uno dopo l’altro.
Nello specifico l’autrice condanna aspramente il (mal)costume, adottato da tutte le leader dei movimenti che l’hanno preceduta, di “mendicare” il voto per le donne presso i partiti politici (costituiti da soli uomini), sostenendo incondizionatamente questi ultimi nell’utopica speranza che, così facendo, essi avrebbero tenuto fede alla promessa fatta. Ecco come descrive quelle riunioni (Emmeline Pankhurst, la mia storia; p. 33):
“Ogni anno, nei giorni di attività del Parlamento, l’associazione inviava una delegazione di donne alla Camera dei Comuni per incontrare i cosiddetti parlamentari amici e valutare la situazione della causa del suffragio femminile. La cerimonia era delle più convenzionali, per non dire farsesca. Le signore facevano i loro discorsi e i parlamentari facevano i loro. Le signore ringraziavano e i parlamentari rinnovavano il loro sostegno al suffragio femminile e assicuravano che avrebbero votato in suo favore non appena ne avessero avuto l’occasione. Dopodiché la delegazione, un po’ mesta ma del tutto tranquilla, se ne andava, e i parlamentari tornavano ai loro veri affari, che consistevano nell’appoggiare la politica del loro partito.”
Poco dopo la nascita della WSPU, nel 1904, Emmeline, partecipando a una riunione indetta da un altro gruppo di donne votate alla causa per il voto femminile, si avvede immediatamente della fondatezza dei propri sospetti: parlamentari e lobbisti fanno a gara, tanto sfacciatamente da ricorrere allo sfottò, a tirare per le lunghe dibattiti insulsi, conditi da risate e battutine ironiche, per ostacolare il progetto di legge destinato al suffragio femminile.
Decisa a non indugiare e non accettare di farsi calpestare ulteriormente dai politici, istintivamente prende la parola, attaccando bruscamente il parlamentare “amico” e incalzando un’infilata di domande, precise e puntuali che gelano la sala. Dopodiché invita tutte le donne presenti a seguirla all’esterno per un’adunata di protesta contro il governo. Le suffragiste invadono lo spazio antistante il palazzo e, tra gli spintoni dei poliziotti che ordinano loro di disperdersi, adottano una risoluzione di condanna del governo per aver permesso a una piccola minoranza di ostacolare il progetto di legge.
Quest’evento rappresenta il primo atto militante della WSPU, movimento che nell’arco di pochi mesi si farà conoscere ovunque anche grazie al brillante uso di slogan di forte impatto, come “Votes for Women”, voto alle donne, e “Deeds, not words”, fatti, non parole. Nella fotografia subito sopra, potete vedere una suffragetta arrestata dalla polizia inglese, mentre nella fotografia immediatamente successiva sono ritratte Annie Kenniye e Christabel Pankhurst nel 1908.
Da qui in avanti le attiviste della WSPU danno vita a una campagna politica unica nel suo genere, caratterizzata da una nutritissima serie di manifestazioni che ogni volta le sottopone a pestaggi, arresti e violenze da parte della polizia impegnata a respingerle con tutti i mezzi.
Inevitabilmente scoppia lo scandalo, ma esso non coglie di sorpresa la Pankhurst che, invece, dimostra di padroneggiare perfettamente la situazione, con mente lucida e sguardo lungimirante.
C’è metodo nell’azione di questo gruppo femminista, c’è strategia, c’è consapevolezza dell’importanza di porsi alla ribalta delle luci dei media per destare l’opinione pubblica. Leggete come l’autrice descrive il caso nella sua autobiografia (Emmeline Pankhurst, la mia storia; p. 41):
“Partecipammo a tutte le assemblee che prevedevano un discorso di Churchill. Lo incalzammo senza pietà; gli rovinammo tutti i passaggi migliori replicandogli a tono con delle ovvietà tali che la gente scoppiava a ridere. Alzavamo i piccoli cartelli bianchi (n.d.r. con la scritta Voto alle donne) dai più impensati angoli della sala… Non riuscimmo a sconfiggere Churchill, ma fu eletto (n.d.r. nella circoscrizione di Manchester) con una maggioranza assai ridotta, la più piccola tra tutte quelle dei candidati liberali di Manchester… A cosa serviva tutto questo?… Innanzitutto la nostra campagna di disturbo contribuì a rendere il suffragio femminile una notizia, prima non era mai stato così. I giornali erano pieni di notizie su di noi. In più risvegliammo le vecchie associazioni in favore del suffragio… Quanto lavorammo, distribuendo volantini, scrivendo con il gesso sui marciapiedi l’annuncio dell’incontro, chiamando una per una tutte le persone che conoscevamo e anche tutte quelle che conoscevamo solo di nome, andando a bussare porta per porta”.
Come previsto, l’opinione pubblica viene magnetizzata e, al di là della naturale segmentazione, giacché si acuiscono sia le voci a favore sia quelle contro il neonato movimento, tutti parlano della WSPU che, nel frattempo, registra una crescita formidabile.
Un cronista della stampa britannica ribattezza le dimostranti della WSPU, da semplici suffragiste, a “suffragette”. Emmeline, accoglie con favore il nuovo nome che avrà il potere di enfatizzare le azioni delle sue attiviste, distinguendole da tutte le altre. La foto di lato mostra Christabel e Emmeline Pankhurst.
Nonostante le proteste che proseguono di anno in anno, la Camera dei Comuni continua a prefiggersi l’espediente di promettere il voto favorevole al progetto della legge sul suffragio senza mantenere la parola data. Per contrastare questo perverso procedimento, le suffragette decidono di stampare opuscoli che divulgheranno nelle occasioni e nei luoghi più disparati e organizzano raduni improvvisati per le strade, anticipati solo da un breve suono di una campanella. Al suono della campanella i passanti rispondono richiamando e attirando intorno agli assembramenti centinaia e centinaia di persone: il metodo funziona a meraviglia.
Uno dei tanti arresti della Pankhurst |
Proporzionalmente all’azione magnetica sulla popolazione, le reazioni della polizia alle loro manifestazioni, però diventano sempre più violente. Nel 1906, durante un raduno fuori dal Parlamento, per presentare una risoluzione di protesta al Primo Ministro Herbert Henry Asquith, durante la quale Emmeline chiede al parlamentare per quale motivo si ostini a dichiarare che i genitori abbiano diritto di essere consultati per quanto riguarda l’educazione dei figli, se poi non intende assegnare alle madri il diritto di voto, gli addetti al servizio d’ordine strappano dalle mani delle manifestanti i cartelli e con essi iniziano a colpirle con foga, insultandole pesantemente. Le suffragette vengono poi arrestate e tradotte in carcere.
Siamo giunti alla fine della prima parte della biografia di Emmeline Pankhurst, ma ho ancora molto da raccontarvi. Se vi fa piacere continuarne la lettura, vi do appuntamento tra un paio settimane, con la seconda parte!
D’accordo?
Quali sono le vostre impressioni in merito agli argomenti finora trattati?
***
Biografia autrice:
Mi chiamo Clementina Daniela Sanguanini e sono nata a Milano il 23 dicembre del 1963.
Oltre a occuparmi di inchieste sociali e ricerche di mercato, dedico buona parte del mio tempo all’attività teatrale e a quella della lettura scenica, ossia la lettura ad alta voce abbinata all’azione teatrale.
Mi piace scrivere e coltivo diverse passioni tra cui spiccano sicuramente la Storia (e immancabilmente la Storia delle Donne), l’Arte (in tutte le sue forme), la Letteratura, il Teatro, la Filosofia (in particolare quella orientale), i Tarocchi.
Mi potete trovare presso il mio blog, L’angolo di Cle.
Vi aspetto! 🙂
BIBLIOGRAFIA:
Emmeline Pankhurst: Emmeline Pankhurst, la mia Storia – Castelvecchi Editore – 2015
Andrew Rosen: Rise Up, Women! The Militant Campaign of the Women’s Social and Political Union, 1903-1914 – Routledge Library Editions – 2014
Emmeline Pankhurst, su: Wikipedia, Enciclopedia Treccani
Black Friday, su Wikipedia
ICONOGRAFIA:
Tutte le immagini del post sono state tratte da Wikicommons
Figura 1 Emmeline Pankhurst nel 1913
Figura 2 Emmeline Goulden Pankhurst nel 1870
Figura 3 Richard Pankhurst
Figura 4 Assemblea del WSPU
Figura 5 Pankhurst Centre, Manchester, ex sede della WSPU
Figura 6 Suffragetta arrestata dalla polizia inglese
Figura 7 1908, Annie Kennye e Christabel Pankhurst
Figura 8 Christabel e Emmeline Pankhurst
Figura 9 Uno dei tanti arresti della Pankhurst
Grazie infinite, Cristina, di questa magnifica opportunità che mi hai offerto!
Risponderò con vero piacere ai commenti che i tuoi gentili lettori vorranno lasciare.
A presto e ancora grazie! ^_^
Cle
Grazie a te di esserti prodigata e aver scritto questo bellissimo post, ricco di spunti di riflessione, come sempre del resto! Emmeline merita di essere conosciuta a fondo, e non soltanto come icona femminista.
ottima e analitica ricostruzione del duro compito di chi deve evidenziare ciò che al tempo non era considerato e ora completamente, o quasi completamente, assodato. Attendo il seguito.
Grazie dei complimenti, Andrea e scusa se rispondo solo ora, appena ho potuto farlo (il sabato è la giornata del mio volontariato al FAI). In effetti la stesura articoli come di questo richiedono un’accurata documentazione e mi auguro che troverai interessante anche la seconda parte.
Per avere, invece, un approfondimento sui diversi aspetti del percorso di emancipazione femminile, ti rimando a questa pagina , nella quale troverai tutti i link ai miei precedenti articoli riguardanti il tema: http://langolodicle.blogspot.it/p/storia-della-donna-del-xix-e-xx-secolo.html
Ancora grazie e… alla prossima!
Il rischio che stiamo correndo noi tutti, e inserirei anche gli uomini, è di dare per scontate le nostre attuali libertà. Capisco che lo spettacolo della politica sia avvilente, ma bisognerebbe comunque andare a esercitare il diritto di voto, se non altro per rispetto di chi si batté per far sentire la sua voce, e perse anche la vita per questo.
Bellissimo articolo, per cui ringrazio Cristina e l'autrice. Mi state curando dalla frettolosità internettiana con i vostri pezzi! Mi ha colpita… tutto (ed è tutto una benefica novità), ma in particolare mi sono soffermata sull'immagine di quel padre che, credendo la figlia addormentata, esprime il suo "peccato!". Immagino che lui abbia pensato alle caratteristiche battagliere di Emmeline, alle sue capacità, ma immagino anche cosa possa avere provato lei ascoltando le sue parole. Due settimane? Okay, ci sarò. 🙂
Quel passaggio ha rappresentato per Emmeline un vero shock, la presa di coscienza, in età infantile (aveva circa sette anni all’epoca in cui si verificò l’accaduto) del vissuto, nudo e crudo, della donna presso la sua società. Emmeline descrive il padre come un uomo molto buono, affettuoso e di ampie prospettive, ciononostante la sua percezione delle donne, che pure difendeva con vigore, era impregnata del sentire collettivo, seppure quello meno misogino, che comunque voleva la donna come una sorta di complemento alla vita dell’uomo.
A questo punto ti aspettiamo per la seconda parte! 😀
Che trauma in effetti ascoltare parole del genere da un padre che si adora. Provo a mettermi nei panni di Emmeline, ritornare bambina e ascoltare una frase del genere da parte di mio padre. Penso che non me ne sarei mai fatta una ragione!
Oh, allora non sono l'unico a trovare troppo zuccherosi i film Disney, meno male 😀
La lotta delle "suffragette" è stata un evento cardine nella storia occidentale del XX secolo, uno dei passaggi alla base dell'evoluzione civile dell'occidente importante quanto l'illuminismo. Giusto celebrare una delle leader della causa, tanto più se ricordiamo che in Italia siamo arrivati ultimi (insieme alla Francia) nel concedere il voto alle donne.
Ciao Ariano e grazie del bel commento. Come te, penso che sia importante e giusto celebrare una leader del movimento delle suffragette, considerando l’importanza di quel movimento, nella vita di allora e ancora oggi. Solo una precisazione, in Europa, noi e la Francia siamo arrivati tardi, solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia ha emesso il decreto il 31 gennaio del ’45, che è poi diventato vigente solo nel ’46. Ma c’è un paese europeo ancora più ritardatario: la Svizzera, che ha dato il voto alle donne solo nel 1971!
Non lo sapevo. Beh, almeno per una cosa siamo stati (di poco) migliori della Svizzera 😀
Penso che ben pochi dicano di non amare "Mary Poppins". Ho fatto un giro in rete anche tra le reviews anglosassoni, e siamo davvero in pochi con il pollice verso. Ci dobbiamo nascondere come una setta di eretici! 😀 In generale preferisco i vecchi cartoni animati della Disney, quelli fatti a mano.
Vero, in Svizzera sono stati gli ultimi a livello europeo a concedere il diritto di voto alle donne. Questo ci dovrebbe far riflettere e non dare per scontati i nostri diritti attuali.
Mi piacerebbe vedere il film sulle suffragette, magari compro il dvd. Molto interessante questo post, penso che dobbiamo essere grate alle donne che hanno combattuto per il riconoscimento dei nostri diritti e che hanno fatto da apripista in Europa.
A me è venuto voglia di leggere l'autobiografia di Emmeline. Penso che abbia ancora tanto da insegnarci! Il film sulle suffragette te lo consiglio davvero, Giulia, ci sono delle grandi attrici che interpretano i ruoli e lo spaccato sociale che ne esce fa davvero venire la pelle d'oca.
Confermo che il film merita senz'altro la visione. Meryl Streep, che nella pellicola interpreta Emmeline, è piuttosto convincente. A mio avviso il libro autobiografico, da cui ha attinto ampiamente anche la regista, Sarah Gavron, è ancor più incisivo, persino più toccante e, al di là di tutto, rivela quanto l'autrice avesse idee molto chiare e fosse dotata di sguardo lungimirante. Abbiamo di sicuro un debito di gratitudine verso quelle donne: a costo di grandissimi sacrifici hanno spianato la strada che tutte noi oggi possiamo percorrere.
Grazie di aver apprezzato il post!
Ora mi sono proprio convinta della necessità di leggere l'autobiografia. ^_^
Letto ed apprezzato, adesso attendo la seconda parte.
Ciao Nick.
Grazie mille di aver gradito questa prima parte e di aver lasciato traccia del tuo passaggio, sua qui che sul mio blog. Ti aspetto per la seconda tranche!
Grazie del passaggio, Nick. Buona domenica!
le suffragette avevano ragione, e non si può non condividere il pensiero sulle conquiste duramente ottenute e oggi vanificate (penso soprattutto alle norme sul lavoro). Si danno troppe cose per scontate, per esempio oggi con le agenzie di lavoro temporaneo una donna che rimane incinta non viene nemmeno più licenziata, non serve più licenziare…
Penso anche che oggi molte "lotte" di attualità, quelle che riempiono le prime pagine, sembrano la parodia di quelle per cui lottarono i nostri predecessori, ma questo sarebbe un discorso lungo.
Il film Disney è bello, gli attori sono bravissimi e molto simpatici, con il sonoro originale è ancora più bello; ma è vero che la caricatura della suffragetta (sia pur meno pesante che in altri film o romanzi) si poteva evitare con un minimo di intelligenza, anche nel 1960.
Concordo al 100% su quanto scritto da Giuliano nel suo commento. Negli ultimi decenni si è registrata un’involuzione di tendenza in merito ai diritti precedentemente conquistati (e non parlo solo di quelli che riguardano l’universo femminile), a partire da quelli inerenti al mondo del lavoro. Sono altresì d’accordo sul fatto che molte lotte oggi (ri) portate avanti da alcuni personaggi del nostro (scialbo) panorama politico assomiglino sempre più a una goffa scimmiottatura di quelle per cui scesero in campo i nostri predecessori.
Per quanto concerne la rappresentazione delle suffragette e degli spazzacamini in Mary Poppins, penso semplicemente che il marchio Disney abbia da sempre scelto un taglio edulcorato della realtà occidentale al fine di esaltarne i valori, culturali e anche politici, in cui ha sempre creduto il suo fondatore. In fondo Walt Disney, che senza dubbio rimane un grande genio creativo a prescindere dal suo orientamento politico, non ha mai nascosto di preferire le idee della destra americana più reazionaria.
Siamo nate e cresciute in possesso di diritti che le donne di altri paesi possono solo sognarsi, ma c'è ancora molto da fare. Vedo una fonte di pericolo nel torpore che in generale ci avvolge per cui non ci sono più punti di riferimento politici cui aderire, compreso, come avete ben sottolineato, il mondo del lavoro per cui si continuano a perdere posizioni. Tutto è estremamente confuso, o reso tale.
Complimenti, un articolo molto interessante. Se penso a quante figure femminili coraggiose e determinate hanno contribuito a rendere le donne ciò che oggi possono vantare di essere (nonostante ci siano frange maschiliste che si affacciano sempre in qualche settore), guardo con maggiore ammirazione alle battaglie che hanno condotto senza piegarsi né cedere a compromessi.
Ringrazio Marina dei complimenti all’articolo. Chiaramente non posso che essere in sintonia con chi volge lo sguardo colmo di immensa ammirazione verso le donne che hanno portato avanti battaglie durissime, spesso a costo di sacrifici enormi dal punto di vista personale, per l’emancipazione femminile.
Ancora grazie!
Queste donne hanno fatto sacrifici immensi. Penso soltanto a che cosa significava l'ostracismo sociale all'epoca. Non venivano comprese dai mariti, dai fidanzati, dai padri, dalla stessa compagine al femminile in ambito familiare. Proviamo solo a immaginarci se noi, per una nostra presa di posizione, avessimo tutta la famiglia contro.
Molto interessante e delucidante, aspetto di leggere anche la seconda parte che immagino completerà il quadro. Che molti film della Walt Disney non siano realistici lo immaginavo, a partire dai cartoni animati che hanno stravolto le favole originali. Che si tratti di abitudine per rendere tutto bello e adatto alla censura dell'epoca?
Grazie Nadia, sono contenta di sapere che hai apprezzato questa prima parte e che proseguirai la lettura dell’articolo sino alla fine. Per quanto riguarda la visione disneyana ho fornito il mio punto di vista nella risposta al commento di Giuliano. Non direi che si trattasse dell’adeguamento a una censura scesa dall’alto del governo USA, anche perché il film è del 1964 come Il dottor Stranamore di Kubrick che possiamo definire uno dei grandi capolavori della satira politica del cinema americano, quanto semmai dell’adeguamento del regista, Stevenson, alle idee politiche e ai criteri culturali del suo produttore, Walt Disney.
Proprio di recente ho visto su Rai Storia un documentario a proposito dell'esistenza di Walt Disney. E' stato molto interessante perché accompagnato da interviste e spezzoni di filmati d'epoca, ma è stato anche curioso constatare come anche la critica sia stata divisa in due. C'era chi sosteneva che aveva fatto sognare intere generazioni con la sua indubbia genialità, e sviluppato la fantasia. Invece i detrattori dicevano che, specialmente in merito ai parchi tematici, avesse creato un mondo falso e senza spessore, e appiattito ulteriormente la cultura americana.
Comunque di tutto questo nei libri di storia del liceo non c'è nulla, salvo un paragrafetto. Forse è un po' ora di rivedere i libri di testo.
Ciao Marco, grazie di essere passato sia qui che sul mio blog! La tua osservazione è sacrosanta e io cosa posso rispondere, se non che sono convinta che il sessismo non sia mai morto e che i roghi esistano ancora? Sì, perché il linguaggio è anch’esso un’arma. Un’arma potentissima.
Se è deprimente volgere lo sguardo, alla disoccupazione femminile nell’Italia di oggi, alla precarizzazione, alla violenza maschile, allo sfaldamento di alcuni diritti delle donne, all’aumento del numero di obiettori ecc., lo è ancor di più se ci si concentra sull’educazione, sulla cultura. E qui mi collego esattamente alla questione da te acutamente rilevata.
Stante che nel 1948 la nostra Costituzione ha sancito, tra i tanti principi sui quali si fonda il nostro ordinamento, il principio di uguaglianza il quale afferma che “tutti i cittadini godono di uguaglianza giuridica senza distinzioni di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, e del loro sesso”, e stante che a redigere quel documento siano stati tanti “padri costituenti” e tante “madri costituenti”(ricordo Leonilde Iotti, Bianca Bianchi, Rita Montagnana Togliatti, Teresa Mattei), oggi tutto questo appare sfumato, sbiadito, quasi si parlasse di una sorta di mondo favoleggiante.
A riprova di ciò che sostengo non c’è solo la totale (o quasi) omissione nei testi scolastici delle lotte portate avanti dalle donne per la conquista dell’affermazione dei diritti femminili, ma la certezza che nel corso degli anni, ovunque nel mondo occidentale, è stata portata avanti un’operazione di dispersione culturale e di trasposizione linguistica (a questo proposito invito a prendere ad esempio il linguaggio statistico, che non è per nulla neutrale, e che attraverso il ricorso al sostantivo “uomini” ha abbondantemente concorso all’invisibilità sociale delle donne) che ha sostanzialmente cercato di cancellare gran parte del nostro cammino di emancipazione.
Per citare qualche altro esempio dei risultati conseguiti attraverso questa operazione di dispersione culturale, basterà semplicemente guardare ai giocattoli per le bambine, agli stereotipi usati per le ragazze, al mondo del lavoro e a quello dello spettacolo, a come ancora gran parte del cinema, della televisione, dei giornali, della pubblicità, in pratica a come tantissimi media rappresentano ancora oggi le donne.
Forse nel mio commento ho peccato di superficialità. Mi spiego meglio: mi rendo conto che i libri di storia abbiano difficoltà a trattare tali argomenti perché la Storia nei licei viene affrontata dall'antica Grecia fino al 1945, quindi il tempo per farlo è limitato.
Forse potrebbe essere ora di introdurre (o reintrodurre) nel programma delle ore di antropologia sociale. Ho sentito che la Boldrini e la Fedeli avevano in mente di dedicare delle ore alla consapevolezza digitale: iniziativa lodevole (rispetto a inventarsi parole come ministra), si potrebbero mettere assieme le due cose.
Sarebbe più che opportuno!
Sarebbe ora di rivedere testi scolastici e di compensare le lacune storiche con l'introduzione di ore di antropologia culturale all'interno del programma scolastico. Ma qui non si tratta solo di sperare che ambo le operazioni abbiano inizio (stiamo parlando di un paese dove anche le questioni più semplici vengono trasformate in problemi insormontabili), ma anche di sperare che gli argomenti in gioco vengano trattati senza storture e senza svilimento.
Considerando i gravissimi tagli all'istruzione, portati avanti anno dopo anno col beneplacito di tanti governi, e tenendo conto del sessismo che ha sempre contraddistinto le loro scelte, così come della pochezza (per usare un eufemismo) dell'attuale offerta di programmi elettorali, financo dell'aberrazione della stessa legge elettorale vigente, vedo il raggiungimento di questa meta assai difficile nel breve termine.
Posso solo aggiungere che i libri di storia nelle scuole sono, da sempre, il trionfo dello stereotipo in tutti i campi. 🙁
E se lo dici tu, con tutta l'esperienza che hai in materia, come possiamo essere speranzose, almeno nel breve termine?
Però possiamo immaginare che si possa iniziare a fare un passo avanti. Questo non è da escludere, anzi, me lo auguro. Credo, infatti, che sia importante qualsiasi sforzo in questa direzione, anche gli sforzi microscopici, se sommati uno all'altro, possono contribuire a modificare lo stato dell'arte.
Confermo anch'io. I libri di Storia sono lacunosi per quanto riguarda questo argomento (e non è il solo).
Magnifica esposizione di un argomento troppo spesso trascurato.
Storia vibrante di esperienze, non priva di risvolti che irritano per come questa donna e tutto ciò che ha mirabilmente creato è stato trattato.
Ovviamente anche questo articolo sarà segnalato alla mia alunna.
Come sarà stato vivere in quegli anni difficili? Lottare coi denti per ottenere un diritto che oggi ci pare così scontato? E soprattutto… come avremmo agito noi, che viviamo in questa epoca, pur non ancora del tutto libera da queste discriminazioni?
Non posso che commentare elencando domande…
Cara Luana, anzitutto ti ringrazio di essere passata, lasciandoci questi importanti spunti di riflessione.
Permettimi di fare qualche considerazione. Su come sarà stato lottare in quegli anni, un’idea ce la siamo fatta: durissimo. Su come avremmo agito noi al posto di queste donne tanto coraggiose lo tradurrei in “come agiamo noi oggi”, quindi, “a che punto siamo arrivate”. Mia impressione è che ci sia ancora tantissimo da fare, su tanti fronti. L’ottenimento del diritto di voto alle donne è solo un aspetto, per quanto importantissimo, della questione. I temi sono molteplici e, volendo toccare argomenti che finora non sono emersi dal dibattito, mi permetto di evidenziarne alcuni. Per esempio, sono ancora tante le persone, uomini e donne, che colpevolizzano il comportamento o l’abbigliamento delle donne, soprattutto se vittime di stupro o di aggressioni sessuali (“si veste da puttana”; “se l’è cercata”;…). Ancora c’è chi isola le donne che scelgono di divorziare da un marito/compagno violento (“è una testa calda”; “poteva chiudere un occhio per amore dei figli”;…). Poi ci sarebbe un lungo discorso da aprire intorno al lavoro cosiddetto atipico e flessibile. Una tipologia di lavoro, sempre più diffusa, che miete vittime tra uomini e donne, giovani e meno giovani, ma di sicuro penalizza più le donne rispetto agli uomini, visto che quest’ultime, da sempre, sono coloro alle quali si demanda anche l’accudimento di casa e famiglia e che, con la flessibilità del lavoro, la sua atipicità e il precariato derivante rimangono costantemente in stato di disponibilità, senza più ritrovare un proprio spazio e un proprio tempo. Mi fermo qui solo perché lo spazio dei commenti non è quello di un post, ma direi che di problemi da risolvere ve ne sono ancora tantissimi e, probabilmente rifletterci sopra, insieme, sarebbe auspicabile.
Colpevolizzare le donne sulla base dell'abbigliamento è una delle operazioni più bieche che si possano fare e anche di più facile presa sull'opinione pubblica. Mi viene in mente anche il "matrimonio riparatore", ancora in uso in determinate società, in cui la vittima, dopo aver subito lo stupro, si trova costretta a sposare il proprio violentatore per riacquisire onorabilità. Non posso nemmeno immaginare la violenza fisica, e anche a quella psicologica, di queste donne messe al bando dalla comunità senza nessuna colpa.