Il 9 novembre 1989 migliaia di persone cominciano a prendere a picconate il Muro di Berlino, simbolo per eccellenza di divisione e separazione tra le due Germanie. Il 14 luglio 1789 una folla armata e inferocita, stanca di secoli di dispotismo e ingiustizie, assalta la fortezza della Bastiglia fino a conquistarla e a liberare i prigionieri.

Duecento anni esatti separano queste date, in una coincidenza impressionante.

Ma c’è di più, perché i due eventi hanno alcuni elementi in comune, al di là dell’altissimo significato storico e politico. La folla che ha smantellato nel 1989 il muro di Berlino, infatti, si è portata a casa una pietra come souvenir. Anche la fortezza simbolo del dispotismo è stata gradatamente  smantellata e i cittadini hanno preso delle pietre come ricordo.

L’anno seguente, in occasione della Festa della Federazione del 14 luglio, sulle rovine della fortezza vengono piantati degli alberi, e un imprenditore edile e comandante della milizia di un distretto, il cittadino Palloy, si vanta di essere stato tra i seicento che hanno preso la fortezza e che hanno perciò il diritto di portare una medaglia di rame che rappresenta una muraglia. Per demolire la Bastiglia, questo cittadino ha trascurato il suo lavoro. Nel suo cantiere, Palloy ha tutta una collezione di pietre della fortezza e le distribuisce. Alcune sono diventati cippi per delimitare i confini della Francia, altre le ha scolpite per ricavarne busti di personalità.

Un’altra signora, Madame de Genlis, porta sempre al collo una medaglia ricavata da una pietra della Bastiglia con al centro, in lettere di diamanti, la parola “libertà”.  I federati giunti a Parigi per la grande festa della Federazione acquistano medaglie commemorative, e mercanteggiano sul prezzo d’una pietra della Bastiglia, acquistano i modelli sotto vetro dove si vede la pianta del carcere e le fasi della conquista.

Naturalmente, in queste circostanze portarsi via un pezzo di muro è un atto compiuto sotto una spinta interiore di genere emotivo, ma è indubbio che all’epoca fu il primo passo per la nascita del marketing allo scopo di propagandare le idee rivoluzionarie. Questa modalità diventa pervasiva al punto da penetrare nelle abitazioni dei francesi addirittura attraverso il vasellame e le stoviglie.

Qui accanto potete vedere alcuni esempi tratti dalla collezione del Musée Carnavalet di Parigi, di cui vi ho parlato nel post al seguente link.
Il primo esempio sulla sinistra è un piatto in ceramica policroma di Faenza con la scritta “W la République Française 1794“. Nella realizzazione ci sono delle bandiere laterali, e un berretto frigio simbolo di libertà sormonta la scritta. Il secondo esempio sulla destra è una brocca sempre in ceramica di Faenza, realizzata a Nevers e datata 1789. Viene dedicata ai tre ordini e ha la scritta “Sou tien“, cioè “Sostieni”. Addirittura nel terzo esempio di stoviglie è rappresentata l’esecuzione di Luigi XVI Capeto nel 1793. Certo che appendere alla parete un piatto con un’esecuzione capitale… ma tutti i gusti sono gusti. Malgrado le difficoltà finanziarie che attraversano le manifatture di Sèvres durante la rivoluzione, si continua a produrre dei pezzi nella tradizione del XVIII secolo, ornati stavolta di emblemi e allegorie rivoluzionarie come testimonia il vaso ovoidale a fondo blu con due medaglioni: La France gardant la Constitution e un mazzo di fiori su uno sfondo di paesaggio con la figura della Raison.

Ma è nella raffigurazione pittorica che la propaganda rivoluzionaria, usando la bellezza, si fa raffinata e potente. Questo genere di messaggi visivi hanno sempre rappresentato, storicamente, un modo per comunicare un contenuto politico o religioso, per esprimere il proprio potere di ricchezza e censo e soprattutto per trasmettere il punto di vista del vincitore, come nell’arazzo di Bayeux sulla conquista normanna dell’Inghilterra.

Troviamo un esempio di questa operazione nei due ritratti di Jean-Paul Marat: il primo sulla sinistra è realizzato da Joseph Boze nel 1793, sempre collocato presso il nostro musée Carnavalet, e il secondo viene eseguito da Jacques-Louis David. Brevememte ricordo che Jean-Paul Marat, uomo politico, giornalista e agitatore, viene assassinato da Charlotte Corday il 13 luglio 1793. Egli accoglie la fanciulla immerso in una tinozza da bagno con acqua medicamentosa. Lo affliggeva, infatti, una malattia della pelle, probabilmente contratta durante il periodo in cui, per sfuggire all’arresto, si rifugiava nelle fogne (alcuni dicono nelle cantine) di Parigi; e pare peraltro che non fosse nemmeno un Adone dalla nascita. Tale malattia comunque lo costringeva a lunghe sedute nell’acqua per alleviare il dolore, dove peraltro riusciva a scrivere servendosi di una tavola di legno. Dopo una breve conversazione, Charlotte Corday lo uccide conficcandogli un pugnale nel petto, mentre egli sta leggendo la falsa lettera di supplica utilizzata dalla donna come pretesto per farsi ricevere.



La differenza tra i due quadri è lampante, ma noi ci concentreremo sul secondo, Morte di Marat. La scena della morte è stato molto abbellita, anzi, è stata resa eroica: David ha tolto tutti i particolari più triviali dell’ambiente – in fondo l’uomo era morto in maniera poco esaltante, accoltellato in una vasca da bagno e con un asciugamano in testa – ad esempio non ci sono oggetti domestici, ma solo il necessario per scrivere. La scena è molto sobria, dalle tinte verdastre raggelate, contrastanti con il telo bianco che richiama il lenzuolo di Cristo. Il volto dell’uomo, ingentilito nei tratti, è sereno, proprio come quello di un martire. L’addome che sporge dalla vasca è ben tornito nella muscolatura. Il braccio destro è abbandonato e regge ancora la penna che probabilmente stava usando prima di essere ucciso. Con l’altra mano, invece, Marat tiene la lettera utilizzata dalla Corday per essere ricevuta. Non c’è traccia, però, dell’assassina, come se non fosse mai esistita. Lo spazio della morte e del silenzio si apre nel grande sfondo vuoto e oscuro.

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Esempi come questi sono innumerevoli nella storia dell’umanità. Ve ne vengono in mente qualcuno di particolarmente interessante, anche dei nostri giorni?

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Fonti:


Testo:
“La vita quotidiana in Francia al tempo della rivoluzione” di Jean-Paul Bertaud


Immagini:
“Presa della Bastiglia” di Jean-Pierre Houël (1789)
Fotografie del vasellame, Muséè Carnavalet di Parigi
“Ritratto di Jean-Paul Marat” di Joseph Boze (1793)
“Morte di Marat” di Jacques-Louis David (1793)