Qualche tempo fa trovai sul supplemento di un quotidiano una citazione del filosofo Giordano Bruno,  tratto da La cena de le Ceneri (1584), corredata da un breve articolo. Pur sapendo ben poco di questo filosofo, il passaggio mi colpì e conservai la pagina per poterla rileggere ogni tanto e, all’occasione, poter scriverne un post. Ora è venuto il momento!

Chi era Giordano Bruno, innanzitutto? Vediamo che cosa ci dice di lui l’enciclopedia Treccani, cui vi rimando per una lettura completa della biografia e soprattutto della parte filosofica che è molto complessa:

Filippo della famiglia dei Bruni assunse il nome di Giordano entrando a 17 anni nel convento di S. Domenico a Napoli. Sospettato di eresia, riparò a Roma (1576), di qui, deposto l’abito ecclesiastico, andò peregrinando di città in città; fu a Ginevra (1579), dove per alcuni mesi abbracciò il calvinismo, a Tolosa, a Parigi (dove pubblicò nel 1582 il De umbris idearum e la commedia il Candelaio), in Inghilterra (1583-1585), dove per alcuni mesi insegnò a Oxford e pubblicò a Londra, con il finto luogo di Parigi e di Venezia, Cena de le ceneri, De la causa principio et uno, De l’infinito universo et mondi, Spaccio de la bestia trionfante (1584), De gli eroici furori (1585).

Dopo un breve soggiorno a Parigi, passò nell’agosto del 1586 in Germania, e tra il 1590 e 1591 a Francoforte pubblicò i poemi latini De minimo, De monade, De immenso et innumerabilibus. Nel 1591 accogliendo l’invito di G. Mocenigo, si recò a Venezia dove, denunziato come eretico dal suo ospite, fu nel 1592 arrestato dall’Inquisizione e processato. Si dichiarò disposto a fare ammenda, ma, trasferito all’Inquisizione di Roma, e sottoposto a nuovo processo, rifiutò di ritrattarsi, onde fu come eretico condannato al rogo, che egli affrontò impavido a Roma in Campo de’ Fiori. 

Alla radice della filosofia bruniana può porsi l’intuizione della originaria unità e infinità del tutto, in cui l’uno-Dio, infinito in un solo atto, si riverbera e moltiplica in infinite sussistenze attraverso un processo di discesa necessario e immanente alla stessa natura divina. Anche nel campo letterario egli è tra coloro che preannunciano, nell’ultimo Cinquecento e nel primo Seicento, la letteratura più moderna. Si pone, risolutamente, in nome della libertà del poeta e dell’uomo, contro le regole letterarie esterne, ricavate ai suoi tempi dalla Poetica di Aristotele, contro le imitazioni, in particolare del Petrarca; inizia la violenta satira contro il pedante, cioè contro l’erudizione fine a sé stessa e la letteratura paga di semplici esornamenti. Rozzo, dialettale, sovente contorto e torrenziale, esprime tuttavia, spesso con rara potenza nella satira o nella esaltazione intellettuale, la sua ansia di dignità e di verità.

Veniamo però al passaggio che mi aveva tanto colpito da conservarlo:

Quantumque non sia possibile arrivar al termine di guadagnar il palio: correte pure, e fate il vostro sforzo, in una cosa de sì fatta importanza, e resistete sin all’ultimo spirto. (…) Non solo è degno d’onore quell’uno ch’ha meritato il palio: ma ancor quello e quel altro, ch’a sì ben corso, ch’è giudicato anco degno e sufficiente de l’aver meritato, ben che non l’abbia vinto.

Che cosa ci vuole dire il filosofo nolano? Provo a elencarne qualche significato per applicarlo alla nostra attività di scrittura:

– che gli obiettivi raggiunti facilmente e senza sforzo, o anche portati a compimento con frettolosità, hanno poco o nullo valore;
– che l’importante non è vincere, ma saper correre fino alla fine senza farsi scoraggiare e senza aspettarsi poste in palio;
– che bisogna gareggiare con onestà e senza mezzi e sostegni illeciti che arricchiranno le nostre tasche, ma non ci arricchiranno lo spirito;
– che non soltanto il vincitore è degno di lode e d’onore, ma anche chi ha gareggiato fino alla fine;

…e, aggiungerei, che non bisogna guardare sempre quello che fanno gli altri, ma andare avanti dritti per la propria strada.


La tentazione di Sant’Antonio
di Salvador Dalì (1946)
Musée des Beaux-Arts di Bruxelles

Quante volte abbiamo discusso di quanto sia difficile il mondo editoriale per chi non abbia contatti o conoscenze, e di come apparentemente raggiungano la celebrità sempre i soliti noti e non per merito?

Applicando le parole del filosofo alle nostre passioni, scriviamo e agiamo per il gusto di farlo e non aspettiamoci nulla in cambio. In questo modo, se non riceveremo nulla, non rimarremo delusi. Se riceveremo qualcosa – un complimento, una frase di ammirazione, una recensione scaturita dal cuore, un riconoscimento o un’opportunità – sarà come un regalo d’oro zecchino.

Se ci comportiamo in modo gioioso e rilassato, senza combattere contro la corrente avversa o perderemo energie, ne trarremo grande giovamento anche in termini di salute. Non aspettiamoci che tutto sia perfetto – e questo lo devo imparare io per prima – perché abbiamo a che fare con l’imponderabile, e le cose non vanno sempre come vogliamo. Così ci saranno sempre refusi nelle bozze che abbiamo corretto mille volte, o correzioni tralasciate, o una copertina che non è come la volevamo, o la svista che è rimasta o la frase che, riletta a mente fredda, avremmo scritto in modo diverso. Anche questo fa parte del nostro essere umani.

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E voi che cosa ne pensate? Quali sono le regole che vi siete dati per procedere senza lasciarvi scoraggiare troppo?

Fonti immagini:


Wikipedia