Nello scorso post sul mio esame di Storia della Stampa e dell’Editoria (qui li link), avevo preannunciato il mio desiderio di condividere con voi un estratto molto divertente, ricavato da Il libro. Editoria e pratiche di lettura del Settecento, una raccolta di interventi di vari autori nell’ambito di un ciclo di conferenze sulla storia del libro nel XVIII secolo.

L’intervento che ho scelto s’intitola Il libro in satira. Pier Jacopo Martello e la rappresentazione del mondo dell’editoria  di Alessandra Di Ricco e parla della ricerca spasmodica di notorietà e prestigio sociale a qualsiasi costo, oliando bene i meccanismi del mercato editoriale.

Felice Arcadia di Konstantin Makovsky (1890), collezione privata

Siamo appunto nel Settecento italiano, e nel mondo poetico dell’Arcadia. Per chi non lo sapesse o non lo ricordasse, l’Accademia dell’Arcadia era un’accademia letteraria fondata a Roma il 5 ottobre 1690 da Gian Vincenzo Gravina e da Giovanni Mario Crescimbeni. Era considerata non solamente come una semplice scuola di pensiero, ma come un vero e proprio movimento letterario che si era sviluppato e si era diffuso in tutta Italia durante tutto il Settecento in risposta a quello che era considerato il cattivo gusto del Barocco. Essa si richiama nella terminologia e nella simbologia alla tradizione dei pastori-poeti della mitica regione dell’Arcadia e il nome fu trovato durante una adunata ai Prati di Castello, a quei tempi un paesaggio pastorale. Oltre al nome dell’Accademia, emblematico, fu scelto seguendo questa tendenza anche il nome della sede, una villa sulla salita di via Garibaldi sulle pendici del Gianicolo: “Bosco Parrasio“. I suoi membri furono detti Pastori, Gesù bambino (adorato per primo dai pastori) fu scelto come protettore; come insegna, venne scelta la siringa del dio Pan, cinta di rami di alloro e di pino e ogni partecipante doveva assumere, come pseudonimo, un nome di ispirazione pastorale greca.

Dopo il necessario ripasso veniamo alla parte divertente, cioè al fatto che molti ambiziosi vedevano sancita la propria promozione culturale con l’ottenimento della patente di arcade. Le satire di Pier Jacopo Martello, membro dell’Arcadia sotto il nome di Mirtilo (lo potete vedere nell’immagine qui sotto, sono una presa in giro della smania di essere ascritti a poeti arcadi, e anche un dettagliato e ironico prontuario che insegna come usare i meccanismi dell’industria culturale per acquisire un’immeritata fama.

Nelle sue satire Pier Jacopo Martello usa un luogo di stampa di fantasia, Cosmopoli, e si nasconde dietro l’anonimato nel dettare le sue sette satire, anche se manifesta l’intenzione di farsi riconoscere come autore: le iniziali di ciascuna di esse compongono il suo nome pastorale, Mirtilo. Le satire sono indirizzate a un certo “Baron di Corvara” dal Segretario Cliternate – lo stesso Martello – cui il barone si è rivolto per soddisfare l’ambizione di diventare pastore d’Arcadia.

Il Segretario gli confezionerà dei versi che il barone spaccerà come suoi. La sua ambizione è descritta come il capriccio di un non più giovanissimo, e certamente ignorante, cicisbeo. Raggiungere i torchi, cioè veder stampate le sue opere, deve rimanere l’obiettivo principale cui punterà il barone. Affinché la pubblicazione incontri un sicuro successo sono necessarie alcune operazioni preliminari. Occorre come prima cosa allestire una ben organizzata rete di corrispondenti con i quali carteggiare regolarmente (Ma cosa ho a suggerir che assai mi preme. / Affiggetevi avanti in un lunario / tutte le poste ed i lor giorni insieme.) A questi destinatari il barone manderà qualche regaluccio, e gradiranno che sia dato loro dell’Illustrissimo e del Colendissimo. Tanto onore sarà corrisposto con l’invio di libri e manoscritti, che il barone esporrà sui tavolini della propria casa e mostrerà agli ospiti, ammirati e invidiosi, quando offrirà loro lauti rinfreschi. Il giorno dopo gli invitati correranno a farsi fare copia di quei preziosi manoscritti, e nella bottega del copista si sentirà risuonare solo il nome del barone (Stupiran, voi commerci aver coi dotti / di quanta è Italia, allor che ognuno inzuppa / i savoiardi entro il caffè biscotti.) 

Ma non basta! Occorre stabilire contatti a Parigi e a Londra, aggiungere corrispondenti all’esterno, nomi prestigiosi, e farsi spedire i loro libri. Il barone si incaricherà di ristamparli a sue spese, tradotti da altri nella nostra lingua. Tutti gli autori ambiscono infatti aver fama all’estero e gli stranieri sanno di poter contare sul favore dei lettori italiani, che li idolatrano. (Giunti, fateli poi girare intorno / fateli ristampar  per voi tradotti / di chi è di nostra e di lor lingue adorno.) L’Italia, tuttavia, decaduta dal suo primato europeo, non esporta più cultura, e il barone contraccambia i libri ricevuti dalla Francia e dall’Inghilterra con spedizioni di casse di vino e agrumi, le uniche merci nazionali ancora in grado di farsi apprezzare a Londra e Parigi.

Il risveglio del libertino, circondato da artisti e professori
di William Hogarth (1735)

Per il barone è giunta l’ora di fare sul serio, cioè di dare alla luce la sua intera produzione in versi! che ammonta a 80 sonetti, 6 canzoni, 4 egloghe e 40 madrigali. Per avere più valore la raccolta dovrà essere stampata non presso uno stampatore locale, cioè romano, ma a Firenze, con l’approvazione linguistica dell’Accademia Fiorentina. Il libro dovrà distinguersi come prodotto tipografico di qualità, curato nel formato, nella carta, nei caratteri, nell’impaginazione, nei fregi e nei rami, tra i quali spiccherà l’ovale con il profilo dell’autore, classicamente atteggiato (In un dodici grande e in carta fina / stampisi con caratteri d’argento / la poesia, che a un bel corsivo inchina.)

Stampato in non più di cento copie, affinché diventi subito raro, il libro del barone potrà prendere posto tra gli oggetti di pregio che sono ricercati, e tesaurizzati, dal “bel mondo”. Il libro finirà sugli scaffali dei grandi signori ignoranti cui l’autore l’avrà donato, e da qui sarà prelevato solo per essere ostentato ai visitatori con la devozione che si deve alle sacre reliquie (O se il torrà, lo toccherà co’ guanti, / ostentandolo altrui, come per grazia / le reliquie si mostrano de’ Santi.)

A questo punto prende avvio il gioco del mercato, nel quale il barone è invitato a inserirsi allo scopo di pilotare a suo vantaggio le leggi della domanda e dell’offerta, che appaiono dunque truccate. A muovere i fili della macchina c’è anzitutto la forza dell’opinione: resosi raro e prezioso, il libro del barone diventa oggetto della ricerca affannosa delle “anime ansiose” di acquistarlo, ma nelle librerie non si trova, tranne l’unica copia che, non per caso, è in vendita all’insegna del Corvo (una libreria romana con sede in piazza Pasquino) al prezzo inarrivabile di “tre ducatoni”. Il barone ne cede allora un esemplare al proprio confessore, che naturalmente si vanta in giro di averlo ottenuto “a buon patto”. Da qui in avanti il libro non potrà scendere sotto tale soglia. Per evitare poi la concorrenza, il barone avrà provveduto a porre sul frontespizio “del papa il privilegio / e de’ Prenci fra noi di prima classe.”

Il libro del barone andrà incontro a una seconda edizione, da lui fatta fare di nascosto a Parigi, ma in sole cento copie: dirà, mentendo, che la tiratura è stata realizzata a sua insaputa. La stessa messa in scena si ripeterà l’anno successivo, quando, dopo quella di Parigi, ormai dimenticata, ne spunterà un’altra in Olanda. per realizzare queste edizioni non serve troppo denaro, ma occorre impiegarlo al momento giusto, avvalendosi, ad Amsterdam come a Lipsia o a Londra, dell’aiuto di qualche frate trafficone che si incarichi di seguire le operazioni di stampa (A far questo, o Baron, non van tesori; / basta spender a tempo, e in Amsterdam / un frate aver che a trafficar dimori.)

In questo modo il libro diventa un best-seller, e il successo ottenuto con le edizioni fintamente non autorizzate farà gonfiare di boria il barone. Alla fine delle sette satire il barone però si ravvederà: non gli importa più rimanere in Arcadia e di essere un sedicente poeta senza alcun talento. Ma il panorama editoriale che ci illustra Jacopo Martello esce davvero a pezzi dalle sue satire.

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Senz’altro avrete riconosciuto tante, tantissime somiglianze di quel mondo, e quei meccanismi editoriali, con quelli dei giorni nostri. Come si comporterebbe il barone di Corvara con gli strumenti di oggi per acquisire fama e possibilmente soldi? Che consigli gli darebbe Pier Jacopo Martello?

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Fonte testo:

Il libro. Editoria e pratiche di lettura del Settecento di AA.VV.
Wikipedia per Accademia dell’Arcadia


Fonte immagini: Wikipedia