I lupi stanno tornando. Ce ne danno testimonianza i numerosi avvistamenti in luoghi dove erano quasi scomparsi, i documentari che ce li mostrano, intenti alla caccia, o nell’atto di occuparsi della loro cucciolata. E sono significative  le interviste, magari a pastori infuriati per gli attacchi al bestiame, o anche le testimonianze di avvistatori le cui parole sono improntate alla paura. Ormai entrato da secoli nel nostro immaginario collettivo, questo splendido animale suscita inevitabilmente reazioni forti che, al di là del danno economico ai greggi, attingono anche all’inconscio e alle nostre paure ataviche, non fosse altro che per il tipico, inquietante ululato e i racconti sulla sua presunta “malvagità”.

Il rapporto tra uomo e lupo si è tradotto molto spesso una storia di sterminio, dove una specie, quella umana, ha cercato accanitamente di cancellare l’altra, quella animale, e ci è quasi riuscita. Si è trattato di una lotta senza quartiere, soprattutto dal momento in cui il lupo è stato caricato di una simbologia altamente negativa. Non è sempre stato così, anzi: indietro nel tempo, il lupo era venerato come portatore di forza e coraggio, qualità che si intendeva assumere come guerrieri e appartenenti alle élite sociali.

Ma andiamo con ordine. Per affrontare l’ardua impresa di presentare questo magnifico animale seguendo il mio modo consueto, mi farò aiutare da un’opera a lui dedicata che potrà servirmi da traccia per cogliere alcuni aspetti eminentemente culturali del lupo. Si tratta di Il tempo dei lupi del medievista Riccardo Rao, collocata a metà tra la saggistica e la narrativa e di piacevolissima lettura anche per chi non sia un appassionato di Medioevo. E, per rendere onore al lupo come merita, dividerò il post in due parti in modo che non sia troppo lungo e per renderlo a voi più godibile.

Facciamo innanzitutto una sommaria conoscenza del lupo grigio…

… secondo le scienze naturali

Il lupo grigio (Canis lupus secondo la classificazione di Linneus 1758), detto anche lupo comune o semplicemente lupo, è un canide lupino, presente nelle zone remote del Nordamerica e dell’Eurasia. È il più grande della sua famiglia, con un peso medio di 43-45 kg per i maschi, e 36-38,5 kg per le femmine. Oltre le dimensioni, il lupo grigio si distingue dagli altri membri del genere Canis per il suo muso e le orecchie meno appuntite. Il suo mantello invernale è lungo e folto, di colore prevalentemente grigio variegato. Alcuni esemplari presentano anche mantelli bianchi, rossi, bruni o neri. È la specie più specializzata dei Canis nell’adattamento alla caccia grossa cooperativa, come dimostrato dalla sua natura gregaria.
In passato era comune descrivere i branchi di lupi grigi come società competitive composte d’animali in concorrenza tra di loro, con un maschio e femmina “alfa” all’apice della gerarchia e con subordinati “beta” e “omega”. Studi più recenti hanno invece dimostrato che i branchi allo stato naturale sono semplicemente famiglie nucleari, che consistono in una coppia seguita dai suoi cuccioli degli ultimi 1-3 anni. Il lupo grigio è generalmente monogamo, con coppie che rimangono insieme per tutta la vita. Se un elemento della coppia muore, il superstite di solito trova facilmente un rimpiazzo. La cucciolata media consiste in 5-6 cuccioli. Nascono di solito in primavera, in coincidenza con l’incremento stagionale di cibo. Alla nascita i cuccioli sono ciechi, sordi e coperti d’una pelliccia bruna-grigiastra.

Ma ora abbandoniamo il lupo in carne e ossa, per quanto affascinante, e addentriamoci nel folto della foresta e del mito, dove troveremo…

La lupa di Romolo e Remo

... ovvero colei che allattò i gemelli più famosi nella storia di casa nostra: Romolo e Remo, i mitici fondatori di Roma. Secondo la leggenda Rea Silvia, che era stata costretta a farsi vestale e a fare quindi voto di castità, attirò l’attenzione del dio Marte, che la possedette con la forza in un bosco sacro. La fanciulla partorì i due gemelli, che vennero deposti in una cesta e lasciati in balia della corrente del fiume Aniene. La cesta si arenò ai piedi di un albero di fico o, secondo altre versioni, vicino a una grotta collocata alla base del Palatino, detta “Lupercale” perché sacra a Marte e a Fauno Luperco.

Una lupa, scesa dai monti al fiume per abbeverarsi, fu attirata dai vagiti dei due bambini, li raggiunse e si mise ad allattarli. Furono trovati da un pastore di nome Faustolo, il quale insieme alla moglie Acca Larenzia decise di crescerli come suoi figli. In qualsiasi modo siano andate le cose, nella storia la lupa fa una gran bella figura: non solo non divora i teneri bambini, ma esprime in pieno il suo istinto materno allattandoli.

Osserviamo tutti i protagonisti del mito nel quadro intitolato Faustolo trova la lupa con i gemelli (ca. 1616) eseguito da Pieter Paul Rubens. I corpi dei bambini sono il fulcro della composizione, e irradiano una luce abbagliante come in una pagana Natività. La lupa è acciambellata in segno di protezione. A sinistra si vede un vecchio, personificazione del fiume Tevere, e vicino a lui una ninfa. Il pastore Faustolo sta accorrendo sulla destra, ed è vestito secondo la moda ai tempi di Rubens. C’è anche un picchio, uccello caro a Marte, con delle ciliege nel becco.

Altra immagine famosissima è quella della Lupa capitolina, ovvero una scultura in bronzo custodita ai Musei Capitolini, di ignoto artista medievale del XII o XIII secolo. Qui la lupa, anziché coricata, è ritta sulle quattro zampe, ed è gigantesca rispetto ai bambini cui offre le mammelle. In qualsiasi modo si raffiguri l’evento, è chiaro che inserire questo animale nel mito dei fondatori di Roma è indice di prestigio (sebbene secondo altri la lupa potrebbe indicare anche una donna che svolgeva la professione più antica del mondo, in quanto il termine “lupa” andava a significare una prostituta).

Salutiamo le sponde del fiume per spingerci a Nord, tra i ghiacci e le nebbie, a incontrare l’ammirazione per il lupo espressa sotto altre forme…


Il nome ideale per un figlio

Nell’antichità molti genitori norreni sceglievano il lupo come nome da dare ai propri figli. Ce ne offre una prova Beowulf, un poema epico anonimo, scritto in una variante sassone occidentale dell’anglosassone (o inglese antico). Ha datazione incerta, anche se parrebbe essere composto attorno al VIII secolo. Si ritiene che l’autore del poema inglese antico abbia rielaborato autonomamente materiale leggendario di origine nordica e tramandato oralmente, creando un’opera originale. In qualsiasi letteratura anglosassone che si rispetti, è in assoluto la prima proposta che troverete. Potete vedere qui accanto la prima pagina del manoscritto, conservata presso la British Library.

Il poema narra le vicende del re danese Hrothgar a Heorot, il “Cervo”, alle prese con un mostro di nome Grendel che attacca ripetutamente la dimora del sovrano, mietendo vittime tra i suoi guerrieri. In soccorso al disperato sovrano arriva Beowulf, nipote del re dei Geati, che abitano in Svezia meridionale. Beowulf affronterà sia Grendel sia la madre del mostro, in una serie di combattimenti epici. Beowulf è il prototipo dell’eroe che si scontra con il mostro, e non a caso nel suo nome è contenuto il termine “wulf”, lupo. Nel 2007 ne è stato tratto un film diretto da Zemeckis, dove la trama originale è stata un po’ rielaborata, secondo me in maniera interessante e convincente, facendo perno sulla figura della madre di Grendel.

Tanti lupi e lupacchiotti

Anche presso i popoli barbari che si muovono in Europa occidentale, viene spesso assegnato il nome  “wulf” a personaggi di rilievo. Fra i Goti abbiamo il vescovo Wulfila (letteralmente Lupacchiotto) che nel IV secolo traduce la Bibbia in lingua germanica. Eccolo qui in un’incisione del 1900 mentre spiega il Vangelo ai Goti.

Abbiamo anche l’esempio di alcuni re, veri (Ataulfo) o leggendari (Achiulfo, Ediulfo, Vutùlfo). E persino in casa nostra, nonostante la persistenza di nomi romani, vengono dati volentieri nomi di animali, tra cui Lupo e Lupaldo, seguito da Orso o Orsola – l’orso era un altro animale temuto e ammiratissimo come potete leggere nel mio post a lui dedicato – nella classifica delle preferenze.

Le cose vanno piuttosto bene, quindi, e nell’Alto Medioevo la convivenza tra uomo e lupo risulta equilibrata grazie anche all’estensione boschiva e al fatto che il lupo abbia le sue tane nella parte più profonda della foresta. L’abbondanza di prede negli immediati paraggi è garanzia che i branchi non sconfineranno troppo nei territori dell’uomo. Uomo e lupi non si pestano zampe e piedi a vicenda… almeno non più del necessario.

E allora quand’è che il lupo comincia a diventare “cattivo”?

Riccardo Rao ci segnala che la demonizzazione del lupo si basa su ragioni esclusivamente culturali e dipende dal processo di cristianizzazione che interessa l’Europa medievale.

Già l’Antico Testamento evoca il lupo in termini di prepotenza e violenza, ma è con il Nuovo Testamento che il lupo, evocato in un contesto pastorale, comincia a fare paura. Nel Vangelo di Matteo (7,15) si ammonisce: “Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci.” In un altro passo, sempre di Matteo (10, 16), dice: “Ecco, io vi mando come le pecore in mezzo ai lupi“. La metafora è quella dell’agnello come simbolo di Cristo, delle pecore come comunità di fedeli, e del pastore come loro guida. Il lupo diviene l’allegoria dei falsi profeti, o quello del male in sé che insidia le anime.

Sulla scorta dei testi evangelici, e degli scritti dei Padri della Chiesa, in passato vi fu una persona che dichiarò ufficialmente guerra al lupo… ma di questa persona vi parlerò nella seconda parte.


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Aspetto volentieri i vostri commenti su questo primo articolo dedicato al lupo. Inoltre, volete provare a indovinare il nome del gran nemico del lupo? Un indizio è contenuto nella domanda!


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Fonte testo:

  • “Il tempo dei lupi” di Riccardo Rao
  • Wikipedia per la scheda iniziale



Fonte immagini:

  • Wikipedia