Buongiorno a tutti e ben trovati! Mi avevate dato per dispersa, ormai? Spero di no. Molti di voi sanno che quest’estate ho fatto un bel giro in Friuli, e ho visto posti meravigliosi sia dal punto di vista culturale che gastronomico, come la magnifica Trieste, la scenografica Udine, l’antica Aquileia… Per il resto sono rimasta a casa, ma il tempo è passato molto lentamente, e ho assaporato ogni istante con la massima tranquillità, riposandomi, leggendo, vedendo dei bei film e serie tv, e facendo delle brevi gite in Lombardia. E anche, com’è ovvio, ripassando per l’esame di Antropologia culturale che avevo programmato per il 3 settembre. Bene, direi di fare un po’ il punto della situazione sugli esami universitari, argomento che mi sta molto a cuore visto l’impegno profuso, insieme al mio solito resoconto semiserio…

STORIA DELLE ISTITUZIONI POLITICHE – Nel mese di maggio ho frequentato un laboratorio universitario obbligatorio per avere 3 crediti, e ho scelto “Feminisms, Fascism, War” con una professoressa scozzese di Dundee. Come vi ho già accennato, è stata un’esperienza entusiasmante, sia per quanto ho imparato in pochi incontri, sia per l’interazione con i miei compagni. Il problema era che stavo frequentando anche il corso di storia delle Istituzioni Politiche, così mi ero trasformata in una specie di gioppino che saltava dalle aule di via Santa Sofia a via Festa del Perdono nell’intento di non perdermi nemmeno una lezione dell’ultimo Modulo C che verteva sullo stato-nazione in età moderna.

Avevo programmato l’esame di Storia delle Istituzioni Politiche per il 25 giugno ed ero molto preoccupata perché la materia non è per niente semplice in quanto è un misto di politica, diritto, filosofia. Dovevo portare tre testi, brevi ma intensi come si dice in questi casi: “Lo Stato moderno in Europa – Istituzioni e diritto” a cura di Maurizio Fioravanti, dalla copertina gialla, “Storia delle istituzioni politiche – Dall’antico regime all’era globale” a cura di Marco Meriggi e Leonida Tedoldi, dalla copertina rossa; infine, per il Modulo C “La spada e la bilancia – La giustizia penale nell’Europa moderna (secc. XVI-XVIII)” di Leonida Tedoldi. Inoltre avrei dovuto sapere tutte le slide delle lezioni e gli appunti presi furiosamente nel corso delle stesse, con grande sollazzo dei miei compagni, che però alla fine se li contendevano. Prima di ogni esame, poi, cominciano a diffondersi voci incontrollate sui vari professori e sui loro umori variabili da parte di chi ha già sostenuto l’esame. Stavo studiando da febbraio, ripassando e glossando a più non posso, con il ripasso finale delle slide nei fine settimana del mese di giugno, e sono arrivata alla vigilia dell’esame con la testa che sembrava la centrale di Chernobyl appena prima della fusione del nocciolo.

Ero sesta in ordine progressivo. Come al solito sono arrivata nell’aula con la sensazione di avere un buco al posto dello stomaco e la testa completamente vuota. Non è una posa, la mia, ma a ogni esame ho la sensazione di non sapere nulla. All’ora dell’appello sono arrivati puntuali il docente dei moduli A e B, e la docente del modulo C. Non eravamo in tanti, ma la tensione si tagliava col coltello come in un thriller (mancava soltanto la colonna sonora). Coloro che davano l’esame per nove crediti, come la sottoscritta, sarebbero stati esaminati separatamente dai due docenti. La prima esaminanda era una “non frequentante”, e si è incartata subito sulla domanda a proposito dello Stato cetuale, cetual-assolutistico, di diritto e costituzionale. Mi sembrava comunque che il docente avesse un bel modo di interagire, dando degli spunti per sbloccarsi e, insomma, cercando di mettere a proprio agio. Nel frattempo osservavo la docente del Modulo C, che faceva tutto il contrario e fissava con la faccia di pietra la sfortunata vittima, senza porgere alcun aiuto, e addirittura, mentre i silenzi si prolungavano, fissandosi con interesse le unghie delle mani. Dovete sapere che questa docente era molto brava a spiegare, ma le lezioni erano totalmente frontali e senza alcuna possibilità di fare delle domande, né al termine della lezione né all’inizio della lezione successiva, cosa di cui mi sono lamentata nella valutazione della didattica.

Per fortuna mi ha chiamato lui per primo e tutta trepidante sono andata alla cattedra. Io mi ero preparata come argomento a piacere la nascita del welfare state. Invece mi ha chiesto: “Bene, cominciamo dal testo di Fioravanti… da che cosa vogliamo partire?” “Mannaggia la peppa,” ho pensato, “per una volta che mi chiede l’argomento a piacere, si parte con l’altro testo.” Comunque ho risposto astutamente che avremmo potuto incominciare con il primo saggio sullo Stato cetuale, cioè con l’argomento che l’altra studentessa non era riuscita a elaborare. Ho cominciato quindi a parlare di quanto vi ho accennato, inserendo anche il concetto del momento di emersione della sovranità in antico regime in rapporto a quello di abrogazione nelle Ordonnances di Luigi XIV. Il prof ha precisato meglio un paio di concetti, ma mi sembrava che andasse bene. Poi mi ha chiesto di parlare della nascita dei diritti sociali, e della Repubblica di Weimar. Siamo passati poi all’altro testo, che avevo portato e, aprendolo, ha sgranato gli occhi e ha detto: “Oooh! Quante annotazioni!” Sorridendo, mi ha detto che lui non annota nulla, e non fa nemmeno delle sottolineature. Mi ha chiesto se mi era piaciuto e io ho detto di sì, perché è chiaro che, anche se mi avesse fatto ribrezzo, avrei detto che era stupendo (alle volte i prof fanno delle domande proprio strane). Comunque mi ha chiesto lo stato totalitario nazista, e il suo tribunale politico. Infine è stata la volta degli argomenti a lezione, e lì mi ha chiesto il codice napoleonico. Quando gli ho detto del divieto di eterointegrazione, e del principio del combinato disposto, ha fatto un balzo dalla sedia verso di me e ha esclamato: “Lei è da 30!” Mi ha dato la mano e mi ha scritto il voto su un bigliettino. Era proprio raggiante, e io ero contenta… perché lui era contento!

Tuttavia ero molto intimorita perché avrei dovuto passare sotto le forche caudine dell’arpia, e sono tornata al posto con il mio prezioso biglietto. I miei compagni mi guardavano sorridendo, poiché durante l’esame avevano fatto il tifo per me. Da lì a poco mi chiama lei. Vado con il terzo libro, che ero pentitissima di aver scelto perché è molto complicato e ricco di dettagli sulla giustizia penale di antico regime, ma ormai era tardi per avere rimpianti. Mi chiede, sempre con la faccia di pietra, il sistema inquisitorio, al che parlo di accusatorio e inquisitorio per completezza; poi mi chiede il funzionamento del Tribunale dell’Inquisizione Romana. Quindi mi chiede di spiegare che cos’è la “common law“. Infine prende il libro e lo sfoglia, alla ricerca di argomenti per beccarmi in castagna. Io stavo sudando freddo. Va in fondo al libro e mi chiede di spiegare la nascita del sistema carcerario, al che tiro un sospiro di sollievo perché lo sapevo bene. Ho pensato poi che volesse vedere se avevo studiato tutto il libro, chiedendo l’argomento in fondo, cosa che peraltro mi è già capitata una volta. Ho parlato senza problemi, partendo dalle workhouse inglesi ai tempi di Elisabetta I. Alla fine mi ha detto, delusa: “Le confermo il 30,” e io ho pensato: “Brava, niente scherzi, sorella,” e siamo andate a firmare. Urrah! Un’altra tacca sul mio fucile.

ANTROPOLOGIA CULTURALE – Anche questo esame è andato molto bene, ma è proprio vero che ogni esame è un caso a parte e che l’università è il regno dell’imprevisto. Antropologia, comunque, è una materia affascinante che ti schiude molto gli orizzonti. Era la prima volta che la studiavo in maniera così approfondita, su testi come “Antropologia culturale – I temi fondamentali” a cura di Stefano Allovio, Luca Ciabarri, Gaetano Mangiameli, “Contro natura – Una lettera al papa” di Francesco Remotti, che consiglierei vivamente a Salvini&Company. Dovevo anche portare, come non frequentante, cinque saggi tratti da “Dialoghi con i non umani” a cura di Emanuele Fabiano e Gaetano Mangiameli e, per i nove crediti, avevo scelto “Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande” di Edward Evans-Pritchard, un classicone. Come potete immaginarvi, anche qui stavo studiando da mesi e mesi.

Il giorno dell’esame mi sono recata alla sede preposta con il mio solito vagone di libri. Continuavo a riguardare una parte del primo libro che proprio non mi entrava in testa e che verteva su concetti filosofici di Percezione/Conoscenza. Anche in questo caso mi ero preparata un argomento a piacere, cioè “La diversità linguistica”, dato che le lingue sono il campo in cui lavoro. Per il resto ero abbastanza tranquilla, anche se… il mio obiettivo era quello di prendere un voto alto (vi spiegherò poi perché) … . Il docente è arrivato in ritardo, ma si è scusato. Il problema era che era solo soletto, e noi eravamo un esercito. Ha fatto il chilometrico appello e, molto flemmatico, ha cominciato a fare i calcoli per ripartirci su tre giornate, e preparare l’elenco, mentre noi spiavamo ogni suo movimento con ansia crescente. Ogni tanto si interrompeva perché gli veniva in mente qualcosa da comunicarci, e noi rosolavamo sulla graticola. La preparazione dell’elenco da affiggere fuori dall’aula ha richiesto altro tempo, con lacerazioni rituali di scotch tra i denti. Alla fine è uscito per appendere l’elenco e poi è rientrato che erano quasi le undici (erano trascorse due ore dall’orario ufficiale dell’appello). Noi pensavamo che stesse per cominciare, invece ha messo la sua roba nello zaino e ha fatto per uscire. Fissando le nostre facce allibite, ha detto: “Dopo torno, non preoccupatevi!” A momenti ci si scioglieva la faccia per l’ansia… Nell’attesa, mi sono messa a chiacchierare con altre tre studentesse, scambiandoci le relative impressioni (anche loro erano non frequentanti e venivano da altre facoltà) e notizie sui vari docenti. Infine, deo gratias, il prof è rientrato e ha cominciato a interrogare, e ci siamo accorti che era di manica larga.

Quando mi ha chiamato, ero la terza in ordine progressivo. Sono andata verso la cattedra, mi sono seduta. Mi ha guardato e mi ha chiesto, con simpatia, a che facoltà ero iscritta e se era il primo esame di antropologia. Ho avuto l’impressione, a mente fredda, che indirizzasse il tiro delle domande sulla facoltà, infatti al primo studente, iscritto a filosofia, ha chiesto proprio il capitolo su percezione/conoscenza. Mi ha fissato e… rullo di tamburi… mi ha chiesto la parte sulla globalizzazione, con i contributi di due autori. Ho cominciato quindi a parlare della storia dello zucchero del primo autore, che sapevo bene perché l’avevo studiata in storia moderna e storia economica, e poi del concetto di globalizzazione del secondo. Ho parlato per un bel pezzo, poi mi ha chiesto che cosa avevo scelto nel testo “Dialoghi con i non umani” e mi ha chiesto il testo sui cambiamenti climatici visti con gli occhi dei Q’eros nel Perù. Alla fine mi ha detto, sempre sorridendo, che non serviva interrogarmi sugli altri due testi, e mi ha dato 30. Phew!! E ora vi spiego perché era necessario che prendessi un voto alto…

STORIA ECONOMICA – … Infatti veniamo alle dolenti note: ho avuto un intoppo su questo esame, come se me lo sentissi. Si trattava di un esame a computer a risposte multiple: 40 domande in 75 minuti. Avevo studiato tantissimo come al solito, sottolineando e glossando il ciclopico libro “Potere e ricchezza – Una storia economica del mondo” di Ronald Findlay, Kevin H. O’Rourke e il più snello “L’economia italiana nell’età della globalizzazione” di Vera Zamagni. Mi ero fatta delle mappe delle rotte commerciali nell’epoca del mercantilismo, schemi e tabelle, un glossario con i termini di storia economica, studiato le maggiori teorie economiche su un libro di mio figlio. Insomma, un delirio.

Il problema è che l’esame, sostenuto il 15 luglio, si è rivelato di tipo nozionistico-mnemonico sulla maggior parte dei quesiti: la scelta di %, come “Indicate il calo del PIL tedesco in Germania nel 1929” (?), oppure “Indicate la % di crescita dell’immigrazione in Italia dal dopoguerra ai giorni nostri” (??), o ancora “Scegliete la % di aumento del trasporto aereo dagli Stati Uniti nel secondo dopoguerra” (???), oppure di date molto precise.  Ora, io sapevo i concetti, e grossomodo gli eventi, ma indicare una percentuale con uno scarto di cinque punti no. Inoltre capisco che ci possano essere esami che vanno meno bene, ma ritengo che un esame fatto così non abbia alcun senso, perché non verte sulla comprensione, ma sulla memorizzazione di numeri. Infatti è stata un’ecatombe generale con la metà di respinti e con voti in generale molto bassi, come le volte precedenti. Io ho preso soltanto 22 e, dopo aver fatto un sondaggio tra amici e parenti, e una riflessione personale, ho rifiutato il voto. Mio marito mi ha fatto un mazzo quadrato, perché sosteneva che mi conveniva accettare e andare avanti, ma a questo punto ne facevo una questione di principio.

Stavo meditando di gettare la spugna e cambiare proprio materia, quando un mio compagno mi ha detto: “Ma perché non provi a ridarlo a dicembre? Fai un ripasso di un paio di giorni, magari ti va meglio.”  Ora, a dicembre ho di meglio da fare nella vita e quindi mi sono detta: o adesso o mai più, e quindi ho ripreso in mano i libri dopo l’esame di Antropologia. Vi assicuro che, nei giorni scorsi, mi veniva la nausea nello sfogliare, per l’ennesima volta, i grafici sull’impennata nel commercio dei chiodi di garofano, il gold standard o le banche universali tedesche. Ho ridato l’esame proprio lo scorso giovedì. In attesa di entrare nell’aula ho fatto due chiacchiere con alcuni ragazzi che, sconfortati, stavano ripetendo l’esame da non so quante volte, e si lamentavano anche loro dei voti bassi. Qualcuno ha scritto al professore facendo presente che l’alto numero di bocciati e i voti bassi non deponevano in favore di come era strutturato l’esame. Mi pare proprio che abbia fatto orecchie da mercante (ahahahah, ho fatto una battuta!), perché c’erano di nuovo le percentuali e le date. Mi sembra, però, che sia andata un po’ meglio. Tuttavia una cosa è certa: se il voto è di nuovo basso, o peggio, rifiuto ancora il voto e cambio la materia in storia delle Dottrine Politiche, anche se è tostissimo.  Il voto di Antropologia è stata una dimostrazione che ho ragione, infatti ho ridato questo esame di storia economica in gran segreto, perché, se rifiuto di nuovo il voto, mi tocca un altro mazzo quadrato… ! Quindi acqua in bocca, mi raccomando! 😉

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Bene, che ne pensate? In questo momento sono esattamente a metà del mio percorso universitario, con 90 crediti e 12 esami affrontati. La prossima volta invece vi racconterò qualcosa del mio stato dell’arte su scrittura, concorsi e su questo blog.

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Fonte immagini:

  • Foto iniziale: Pixabay
  • Re Enrico II di Francia che cura gli scrofolosi (miniatura del XVI secolo)
  • Edward Curtis photo of a Kwakwaka’wakw potlatch with dancers and singers
  • Firma ufficiale dei Trattati di Roma, nella sala degli Orazi e Curiazi del Palazzo dei Conservatori sul Campidoglio di Roma, 1957